I divoratori/Libro primo/XX
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XX.
Non fu più concesso ad Aldo di suonare il pianoforte, perchè disturbava Nancy nel suo lavoro. Egli doveva anche stare in casa per ricevere chiunque venisse, perchè Nancy non fosse importunata.
Quando all’ora di pranzo ella non voleva interrompere il corso dei suoi pensieri venendo a tavola, era Aldo stesso che, in punta de’ piedi, le portava i pasti; perchè la domestica dal passo pesante e dal viso stupefatto la irritava e la distraeva. Un silenzio riverente regnava sulla casa.
Baldelli, della casa editrice di Roma, ebbe sentore del Libro e venne a Milano per sapere se era possibile averlo. L’editore milanese del Ciclo di Liriche, che distrattamente aveva omesso di pagare le ultime due edizioni di quel libriccino fortunato, mandò, senza che glielo si domandasse, un «chèque» quasi inverosimile, e suggerì per la nuova opera una edizione di lusso rara e ricercata.
Nancy non rispose a nessuno, non badò a nessuno. Il Libro, come un falco, le teneva gli artigli conficcati nel cuore.
Era una sera d’inverno; sotto la lampada accesa Nancy scrisse al sommo di una pagina bianca: «Capitolo XVII». Ella scrisse questa intestazione accuratamente, devotamente, disegnando i numeri romani con penna amorosa. Questo era il capitolo culminante del Libro. Per raggiungerlo, l’opera si era andata lentamente innalzando, in ripida e audace ascesa. Ma da quel punto il poema doveva fluire e precipitare, in largo, irrefrenabile torrente fino alla sua portentosa chiusa. Questo capitolo era il sommo, l’apogeo e la corona.
Nancy si passò rapidamente la mano sulla fronte, ricacciando all’indietro i morbidi capelli scompigliati. Poi guardò nervosamente Aldo. Egli sedeva all’altro lato del tavolo con dei fogli di carta da musica davanti a sè. Il cerchio di luce della lampada gli pioveva pacatamente sul lucido capo chino. A Nancy parve ch’egli avesse l’aria tediata e triste.
— Che c’è, Aldo? — gli chiese, stendendo verso di lui attraverso la tavola una mano affettuosa.
Nella esuberante gioia dell’ispirazione, essa si sentiva molto tenera e pietosa.
— Oh, niente, niente, — sospirò lui. — Avevo l’idea di scrivere un preludio. Ma non posso far nulla senza provarlo al pianoforte. E ciò ti disturberebbe. Non importa, non importa! Non curarti di me.
— Ma certo che mi curo di te, — disse Nancy; e alzatasi gli andò vicino e si chinò su di lui, posandogli con affetto una mano sulla spalla. E vedendo sul foglio davanti a lui una riga di minime e di semiminime, sorrise, ricordando che nella sua infanzia le parevano ometti che s’arrampicassero sopra uno steccato orizzontale.
— Sai bene, — disse Aldo passando e ripassando la penna sulla faccia di uno degli ometti e facendolo diventare più grande e più nero degli altri, — sai bene che Ricordi pubblicherà quelle mie romanze; ma credo che le abbia accettate solamente perchè le parole sono tue... Allora ho pensato di scrivere una cosa che fosse tutta mia... una specie di preludio, come l’«Après-midi d’un Faune». Ma sarebbe proprio necessario che lo provassi al pianoforte...
— Lo so, povero caro, — disse Nancy, accarezzandogli i morbidi capelli. — Lo so, che sono una cattiva e perfida egoista che mette a soqquadro tutto, con questo mio Libro. Ma abbi pazienza, abbi pazienza! — E Nancy gettò uno sguardo di appassionato desiderio verso quel «Capitolo XVII» che, in grandi caratteri, le arrideva capovolto sul foglie bianco dall’altra parte della tavola. L’inchiostro ancora bagnato del «XVII» luccicava e le faceva cenno di affrettarsi. — Aspetta che abbia finito il mio Libro. Vedrai, vedrai allora! Farai tutto quello che vorrai. Ce ne andremo a passare dei giorni azzurri in campagna; e saremo felici, ultracelestialmente felici! — E poi soggiunse, per fargli piacere: — E saremo anche ultramericanamente ricchi!
Egli levò su di lei i neri occhi profondi, ed ella pensò che somigliava al San Sebastiano del Murillo.
— Il tuo Libro ha inghiottito tutto il bene che mi volevi! — disse Aldo.
— Ma no, — disse Nancy, e gli accarezzò la bella fronte. — Ma se sei tu, se è la tua presenza, la tua arcangelica bellezza che mi ispira e mi aiuta a scrivere!
Aldo sospirò.
— Eh, lo so che sono una nullità!... E non mi resta che a rallegrarmi che, per il fatto che non sono un mostro, ti ho aiutata a scrivere il tuo Libro.
Nancy sentì una fitta di rimorso.
— Non dire delle cose amare, cuor mio, — pregò. — Devo, devo essere egoista per un po’ di tempo ancora! Se non scrivo mi pare di avere nel cervello un demone pazzo che strepita e stride per venir fuori... Ed oh! Aldo! quando mi veggo davanti la carta lucida e bianca, piena di abbaglianti promesse, sento d’un tratto in me l’urto dell’ispirazione, e la chiamata! Allora dalla vecchia penna d’avorio balza e scaturisce la parola, facile, rapida, piana.. E mi pare di essere una fonte d’acqua montanina che lancia in fulgido zampillìo la sua vita al sole.
Aldo prese ed attirò a sè il dolce viso acceso.
— Lavora dunque, — disse, e la baciò. — Nulla deve interrompere la tua opera.
— No, no, nulla al mondo! — disse Nancy.
Nel dirlo uno strano brivido passò in lei, un rapido battito le scosse il cuore, e sentì la radice dei suoi capelli rizzarsi come tante piccole spine. Poi più nulla.
La strana sensazione svanì, ed essa si volse per tornare al suo posto; si fermò ritta accanto alla tavola, e chinò lo sguardo sul «Capitolo XVII». L’inchiostro ancora umido brillava sulla cifra. Ma Nancy aspettava — aspettava di sentirsi ripetere sotto al cuore quel palpito strano, trillante, indescrivibile. Volse lo sguardo ad Aldo. Egli stava pingendo pensosamente la faccia di un’altra semiminima, facendola diventare grande e nera.
Allora Nancy sedette, e intinse la penna d’avorio nella bocca spalancata del calamaio. Ah! Ecco! ancora! Ecco, il battito! il battito! Come una piccola mano morbida che la colpisse nel cuore! Ed ora, un fremito lungo, un tremolìo, come d’uccelletto imprigionato!
— Aldo! Aldo! — gridò, e cadde avanti, col viso nascosto sulle braccia.
E i suoi capelli diffusi ondeggiarono sul «Capitolo XVII», e sfregiarono la bianca pagina aspettante.