I divoratori/Libro primo/XIX

XIX

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XIX.

Mancavano quattro mesi a finire l'anno della liberalità di Carlo, e Aldo allora sentì che bisognava pur scuotersi e sgobbare. Egli aveva cominciato col decidere che si stabilirebbero a Milano. E si erano stabiliti a Milano.

Poi, niente. Non era successo niente. E Aldo non aveva fatto niente.

Ora, conosceva troppo bene suo fratello Carlo per credere che, finito l'anno, egli continuerebbe le sue sovvenzioni. Carlo aveva detto: «non ti darò più un soldo». [p. 137 modifica]E Carlo era un uomo che aveva un ridicolo rispetto della propria parola. Dunque Carlo era una fonte esaurita. Valeria, suocera affettuosa ma inetta, aveva mostrato ad Aldo i suoi conti e i suoi libretti, facendogli toccare con mano che Nancy non avrebbe potuto aver nulla, oltre le sue meschine quaranta mila lire di dote. Restava lady Sainsborough, quella vecchia originale d’inglese, che a Napoli si era presa di tanta simpatia per Aldo. Ma anche lei non aveva risposto alle ultime due lettere che Aldo le aveva scritte. Probabilmente aveva anche modificato il suo testamento. Dunque nulla da fare.

Bisognava dunque scuotersi, agitare. Bisognava «sgobbare».

Aldo si scosse... e sgobbò. Scrisse una terza lettera a lady Sainsborough.

Poi si decise a chiedere a Carlo che gli desse un impiego nella direzione delle sue filature di seta. Carlo blandamente rifiutò. Allora andò dagli editori del primo libro di versi di Nancy, e propose a loro che gli facessero un adeguato anticipo sul libro non ancora scritto di sua moglie. Anch’essi blandamente rifiutarono.

Allora, colla coscienza di aver fatto tutto il suo possibile, Aldo decise che era inutile agitarsi e sgobbare di più, e lasciò che gli eventi seguissero il loro corso.

Nancy non gli era di nessun aiuto, di nessuna utilità. Egoisticamente ingolfata nel suo Libro, stava tutto il giorno in camera sua, seduta al suo tavolo, coi capelli tirati dietro alle orecchie, con gli occhi strani e lucenti. Se egli entrava nella stanza, ella, senza smettere di scrivere, alzava la mano sinistra imponendo il silenzio — gesto che egli trovava insopportabile. Se egli non obbediva a quel gesto e s’inoltrava, ella levava su di lui quegli occhi chiari, smarriti, interroganti — allora lui si sentiva nervoso, costretto ad affrettarsi, e dimenticava quello che aveva avuto l’intenzione di dirle. [p. 138 modifica]

Così tirò avanti, pasticciando colle quaranta mila lire, passando i suoi giorni a leggere i giornali, a suonare il pianoforte, e andando ogni sera al Savini o all’Eden finchè veniva l’ora di andare alla Patriottica a giocare al poker o al baccarat.

Alla Patriottica s’imbatteva spesso con Nino, che sedeva sempre imbronciato e solitario. Alla vista di Aldo, la bocca di Nino si contraeva in una smorfia amara, a tal segno che ad Aldo veniva il nervoso al solo vederlo; ed era convinto che quella faccia da pesce morto gli portasse sfortuna al giuoco. Aldo si sentiva doppiamente irritato alla sua vista per il fatto che Carlo — che per lui, suo proprio fratello, si era rifiutato a fare qualsiasi cosa — aveva recentemente preso per socio questo Nino, il quale, tanto per farsi valere (o anche per puro dispetto) si era messo a lavorare volgarmente come un negro, le sue dieci o dodici ore al giorno. Carlo, assai soddisfatto, si faceva vedere in galleria, col sigaro in bocca, a braccetto di Nino, come se fossero fratelli; mentre quell’assurdo zio Giacomo, come una vecchia gallina, trotterellava accanto a loro, raggiante e ridicolo.

E lui, Aldo — che, insomma, era o non era il fratello di Carlo? — doveva andare a zonzo stupidamente da solo, fumando delle sigarette a buon mercato; oppure correre a fianco dello zio Giacomo, come un estraneo, come un «outsider», ascoltando per la millesima volta l’antifona nauseante del ritorno e della riabilitazione del Figliuol prodigo, Nino.

Aldo andò da Clarissa a lamentarsi; ma questa non gli dimostrò nè simpatia, nè compassione. Lo ascoltò, distratta, stropicciandosi le unghie d’una mano sul palmo dell’altra, e guardando dalla finestra. Egli si era aspettata una ben altra accoglienza. Sperava che ella gli avrebbe in soave atto di carezza posato una mano sul capo recli[p. 139 modifica]nato, dicendogli: «Povero bello!» come talvolta aveva fatto negli anni scorsi... Ma quando egli reclinò il capo, ella seguitò distrattamente a stropicciarsi le unghie d’una mano sul palmo dell’altra, e a guardar fuori dalla finestra.

Egli sentì che dalla benevolenza di Clarissa poteva dipendere tutto il suo avvenire; e, quasi per un senso di dovere verso Nancy, egli afferrò una di quelle mani bianche e la baciò col suo bacio più morbido e conturbevole.

— Oh, Aldo! non fare la lumaca, — disse Clarissa ritirando la mano. Poi lo squadrò da capo a piedi e disse: — Bah! Ringrazio il cielo che m’ha fatto sposar Carlo!

A questa dichiarazione Aldo non credette affatto. Tuttavia questa frase, aggiunta a tutti gli altri smacchi, lo urtò. Quando partì, comprese che Clarissa lo considerava come l’esclusiva proprietà di Nancy, quanto il paio di antichi candelabri d’argento che ella le aveva dato per regalo di nozze; e comprese che ella non riprenderebbe mai nè lui nè i candelabri. Quelle fiamme per lei non si accenderebbero più.

Nancy aveva scritto un terzo del Libro. Era una grande opera: un Libro di cui il mondo parlerebbe.

Come il portento di Giovanna d’Orléans, una visione ultra terrena le aveva incendiato il cuore. Sentiva il Genio, come una grande aquila imprigionata, agitare le immense ali nel suo cervello, e l’Ispirazione, abbagliante e indefinita, le stendeva le braccia. Epiteti fini e fiammanti, rime e ritmi, come bimbi coronati di rose, irruppero cantando nella sua fantasia; e la giovane Idea, sciolti i luminosi capelli, sorse nuda e nuova innanzi a lei...

Ecco: il bianco-e-nero Fiore della Frase apre i tuonanti petali: e sulla carta bianca sfolgora e vive il Poema.