I Suppositi (prosa)/Atto primo

Atto primo

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Prologo Atto secondo

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ATTO PRIMO.




SCENA I.

NUTRICE e POLIMNESTA.


Nutrice.     Nessuno appare; sì che esci, Polimnesta, nella via, dove ci potremo vedere intorno, e saremo certe almeno non esser da alcun altro udite. Credo che in casa nostra per insin le lettiere, le casse e gli usci abbino gli orecchi.

Polimnesta.     E bigonzoni e pentole l’hanno similmente. [p. 63 modifica]

Nutrice.     Tu motteggi pure, ma ti sarebbe meglio, in fè di Dio, che tu fussi più cauta che non sei. Io t’ho detto mille volte, che tu ti guardi di parlare, che tu sia veduta, con Dulipo.

Polimnesta.     Perchè non vuoi ch’io gli parli così come fo agli altri?

Nutrice.     A questo perchè t’ho risposto più volte; ma tu vuoi fare a tuo senno, e te e Dulipo e me precipitare ad un tratto.

Polimnesta.     Maisì, gli è ben un gran pericolo!

Nutrice.     Tu te ne avvedrai. Ti dovrebbe pur essere a bastanza, che per il mezzo mio vi ritroviate tutta la notte insieme: bench’io el fo mal volentieri, e vorrei che l’animo tuo in più onorevole amore di questo si fusse occupato. Duolmi che, lasciando tanti nobilissimi gioveni, che ti aríano amata e per moglie congiuntasi, tu t’abbi per amatore eletto un famiglio di tuo padre, dal quale non ne puoi se non vergogna attendere.

Polimnesta.     Chi n’è stato principio se non la nutrice mia? chè tu continuamente lodandomi or la bellezza sua, or li gentileschi costumi, or persuadendomi che egli oltra modo mi amava, non cessasti pormelo in grazia, e farmi di lui pietosa, e successivamente accendermi del suo amor, come io ne sono.

Nutrice.     È vero che da principio te lo raccomandai, per la compassion che ne avevo, e per le continove preci con che mi sollecitava.

Polimnesta.     Anzi per la pensione1 e prezzo che tu ne traevi.

Nutrice.     Tu puoi credere quel che ti pare: tuttavia renditi certa, che s’io avessi pensato che poscia voi dovessi procedere così innanzi, nè per compassione o pensione, nè per prece o prezzo te ne arei parlato.

Polimnesta.     Chi la prima notte lo introdusse al mio letto, se non tu? chi altri che tu? Deh taci, per tua fè, chè mi faresti dir qualche pazzia.

Nutrice.     Or sarò stata io cagione di tutto il male!

Polimnesta.     Anzi di tutto il bene. Sappi, nutrice mia, ch’io non amo Dulipo nè un famiglio, e ho posto più [p. 64 modifica]degnamente il cuor mio, che tu non pensi: ma non ti vô dire più innanzi.

Nutrice.     Ho piacere che tu abbi mutato proposito.

Polimnesta.     Anzi non l’ho mutato, nè voglio mutarlo.

Nutrice.     Che di’ tu adunque?

Polimnesta.     Ch’io non amo Dulipo nè un famiglio, e non ho mutato nè mutar voglio proposito.

Nutrice.     O questo non può stare insieme, o ch’io non t’intendo: parlami chiaro.

Polimnesta.     Non ti vô dir altro, perchè ho dato la fè di tacerlo.

Nutrice.     Stai di narrarlo per dubbio ch’io lo riveli? Tu ti fidi di me in quello che t’importa l’onore e la vita; e temi ora narrarmi cotesto, che certissima sono essere di poco momento verso gli altri secreti di che io son di te consapevole?

Polimnesta.     La cosa è di più importanza che non ti pensi; e volentieri te la direi, quando tu mi prometta non solo di tacerla, ma di non fare segno alcuno onde sospicare si possa che la sappi.

Nutrice.     Così ti do la fede mia; sicchè parla securamente.

Polimnesta.     Sappi che costui che réputi che sia Dulipo, è nobilissimo siciliano, ed è il suo vero nome Erostrato, figliuolo di Filogono, uno de’ più ricchi uomini di quel paese.

Nutrice.     Come Erostrato? non è Erostrato questo vicin nostro il quale...

Polimnesta.     Taci, se vuoi, e ascoltami, ch’io ti chiarirò del tutto. Quello che infin qui Dulipo hai reputato, è, come io ti dico, Erostrato, il quale venne per dare opera agli studi in questa città, ed essendo appena uscito di barca, mi scontrò nella Via Grande,2 e subito s’innamorò di me; e di tal veemenzia fu questo amor suo, che in un tratto mutò consiglio, e gettò da parte e libri e panni lunghi, e deliberòssi ch’io sola il suo studio fussi; e per aver comodità di vedermi e di ragionar meco, cambiò li panni, il nome e la condizione con Dulipo suo servo, che solo aveva di Sicilia menato seco: sì che egli, quel dì medesimo, di Erostrato padrone e studente, si fece Dulipo famiglio, e, nell’abito che tu il vedi, studente di amore; e tanto per diversi mezzi tramò, che dopo alcuni dì gli venne fatto di acconciarsi per famiglio di mio padre. [p. 65 modifica]

Nutrice.     E questa cosa tu l’hai per certa?

Polimnesta.     Per certissima. Dall’altra parte, Dulipo, facendosi nominare Erostrato, con la veste del padron suo, e libri ed altre cose convenienti a chi studia, e con la reputazione di essere figliuolo di Filogono, cominciò a dar opera a le lettere, nelle quali ha fatto profitto, ed è venuto in buon credito.

Nutrice.     Non abitano altri Siciliani qui, o non ce ne sono intanto mai venuti, che gli abbino scoperti?

Polimnesta.     Non ce n’è capitato alcuno per stanziarci, e pochi per transito ancora.

Nutrice.     È stata gran ventura. Ma come insieme convengono queste cose, che ’l studente, che tu vuoi sia Dulipo e non Erostrato, ti ha fatta dimandare per moglie a tuo padre?

Polimnesta.     È una finzione che si fa per disturbare il dottoraccio da la berretta lunga, il quale con ogni instanzia procura di avermi per moglie. Aimè! non è egli quel che viene in qua? Che bel marito! mi farei bennanzi3 monaca.

Nutrice.     Tu hai ragion certo. Come ne viene per farsi vedere! Dio, che pazza cosa è un vecchio innamorato!


SCENA II.

CLEANDRO dottore, PASIFILO parasito.


Cleandro.     Non erano ora, Pasifilo, gente innanzi a quella porta?

Pasifilo.     Sì erano, sapientissimo Cleandro: non ci hai veduta Polimnesta tua?

Cleandro.     Eravi Polimnesta mia? per dio, non l’ho conosciuta.

Pasifilo.     Non me ne maraviglio: oggi è uno aere grosso, mezzo nebbioso, ed io l’ho più compresa a i panni, ch’io l’abbia raffigurata al viso.

Cleandro.     Io, la Dio grazia, di mia età ho assai buona vista, e sento in me poca differenzia di quel ch’io ero di venticinque o trenta anni.

Pasifilo.     E perchè no? sei tu forse vecchio?

Cleandro.     Io sono nelli cinquantasei anni.

Pasifilo.     (Ne dice dieci manco!) [p. 66 modifica]

Cleandro.     Che di’ tu dieci manco?

Pasifilo.     Dico ch’io te istimavo di dieci anni manco: non mostri passare trentasei o trentotto al più.

Cleandro.     Io sono pur al termine ch’io ti narro.

Pasifilo.     In buona età sei tu, e l’abitudine tua promette che arriverai alli cento anni. Lasciami vedere la mano.

Cleandro.     Sei tu chiromante?

Pasifilo.     Chi ne fa maggior professione di me? móstramela di grazia. Oh che bella e netta linea! non ne vidi un’altra mai sì lunga: tu camperai più di Melchisedech.

Cleandro.     Tu vuoi dir Matusalem.

Pasifilo.     Oh! io credevo che fussi tutto uno.

Cleandro.     Tu sei poco dotto nella Bibia.4

Pasifilo.     Anzi dottissimo, ma in quella che sta nella botte. Oh come è buono questo monte di Venere! Ma non siamo in luogo comodo: vógliotela vedere un’altra mattina ad agio, e ti farò intendere cose che ti piaceranno.

Cleandro.     Tu mi farai cosa gratissima. Ma dimmi: di chi credi tu che Polimnesta più si contentasse, avendolo per marito, di Erostrato o di me?

Pasifilo.     Di te senza dubbio: ella è una giovene magnanima; fa più conto de la reputazione che acquisterà per essere tua moglie, che di ciò che all’incontro sperare possa da quel scolare, che Dio sa quel ch’egli è a casa sua!

Cleandro.     El fa molto il magnifico in questa terra.

Pasifilo.     Sì, dove non è chi gli dica il contrario. Ma faccia a sua posta; la tua virtù val più che tutta Sicilia.

Cleandro.     A me non conviene lodar me stesso; tuttavia dirò pur per la verità, che la mia scienza al bisogno mi è più valuta, che tutta la roba ch’io avessi potuto avere. Io uscî di Otranto, che è la patria mia, quando fu preso da’ Turchi, in giubbone, e venni a Padova prima, ed indi in questa città; dove leggendo, avvocando e consigliando, in spazio di venti anni ho acquistato il valore di dieci milia ducati e più.

Pasifilo.     Queste sono vere virtù. Che filosofia? che poesia? Tutto il resto de le scienzie, verso quelle de le leggi, mi pajono ciance. [p. 67 modifica]

Cleandro.     Ciance ben dicesti; unde versus: Opes dat sanctio Iustiniana; Ex aliis paleas, ex istis collige grana.

Pasifilo.     O buono! Di chi è? di Vergilio?

Cleandro.     Che Vergilio? è d’una nostra chiosa eccellentissima.

Pasifilo.     Bella e morale certo, e degna di porsi in lettere d’oro. Tu debbi oggimai avere acquistato più di quello che ad Otranto lasciasti.

Cleandro.     Triplicato ho le mie facultà: è vero ch’io vi perdei uno figliolino di cinque anni, che avevo più caro che quanta robba sia al mondo.

Pasifilo.     Ah! troppo gran perdita veramente.

Cleandro.     Non so se morisse, o pur viva ancora in cattività.

Pasifilo.     Io piango per compassione ch’io n’ho: ma sta di buona voglia, chè con Polimnesta ne acquisterai degli altri.

Cleandro.     Che pensi tu di queste lunghe che Damone mi dà?

Pasifilo.     È il padre desideroso di ben locare la figliuola: prima che determini, vuol pensarci e ripensarci un pezzo; ma non dubito che in tuo favore non si risolva in fine.

Cleandro.     Gli hai tu fatto intendere ch’io gli voglio far sopraddote di doi milia ducati d’oro?

Pasifilo.     Io non son stato a quest’ora.5

Cleandro.     Che ti risponde?

Pasifilo.     Non altro, se non che Erostrato gli offerisce il medesimo.

Cleandro.     Come può obligarsi Erostrato a questo, essendo figliuolo di famiglia?

Pasifilo.     Credi tu ch’io sia stato negligente a ricordarglielo? Non dubitare, che l’avversario tuo non è per averla, se non forse in sogno.

Cleandro.     Va, Pasifilo mio, se mai aspetto da te piacere, e truova Damone, e digli ch’io non gli dimando altro che sua figliuola, e non voglio da lui dote: io la doterò del mio, e se dua milia ducati non sono a bastanza, io gliene aggiugnerò cinquecento, e mille, e quel più che vuole egli medesimo. Va, e fa quell’opra: so che tu saprai fare. Non intendo a modo alcuno perdere questa causa. Non tardar più, va adesso. [p. 68 modifica]

Pasifilo.     Dove ti ritroverò poi?

Cleandro.     A casa mia.

Pasifilo.     A che ora?

Cleandro.     Quando vorrai tu. Ben ti inviterei a desinare meco, ma digiuno questa vigilia di Santo N., il quale ho in devozione.

Pasifilo.     (Digiuna tanto che ti muoi di fame.)

Cleandro.     Ascolta.

Pasifilo.     (Parla coi morti, che digiunano altresì.)

Cleandro.     Tu non odi?

Pasifilo.     (Nè tu intendi?)

Cleandro.     Ti sei sdegnato perch’io non ti invitai a disinare meco? Tuttavia tu ci puoi venire: ti darò di quello che averò io ancora.

Pasifilo.     Credi tu che mi manchi dove mangiare?

Cleandro.     Non credo già che ti manchi, Pasifilo mio caro.

Pasifilo.     Siene pur certo: ho chi mi priega.

Cleandro.     Anzi ne sono certissimo; ma so bene che in luogo alcuno non sei meglio veduto che in casa mia. Io ti aspettarò.

Pasifilo.     Orsù, verrò, poichè me lo comandi.

Cleandro.     Fa che mi porti buona novella.

Pasifilo.     E tu provvedi ch’io vi ritrovi buona scodella.

Cleandro.     Ti loderai di me.

Pasifilo.     E tu vedrai l’opra mia.


SCENA III.

PASIFILO e DULIPO servo.


Pasifilo.     Che avarizia e miseria d’uomo! truova scusa di digiunare, perchè non desini con lui, quasi ch’io abbia a mangiare con la sua bocca! Eh, perchè6 egli è usato apparecchiare splendidi conviti, onde io gli debba restare molto ubbligato se mi vi chiama! Oltra che parcissimamente sia [p. 69 modifica]parata la mensa, c’è differenzia sempre grandissima tra il suo cibo e il mio: io non gusto mai del vino ch’egli beve, nè del pane ch’egli mangia; senza altri vantaggiuzzi che in uno medesimo desco ha sempre da me: e gli pare che se talvolta mi tiene seco a desinare o a cena, avere soddisfatto ogni fatica che continuamente per esso mi piglio. Credería forse alcuno che d’altra maggior cosa mi sia liberale: io posso dir in verità, che mai, da sei o sette anni in qua ch’io tengo sua pratica, non mi donò mai tanto che vaglia una stringa. El si crede ch’io mi pasca del suo favore, perchè talvolta dice, e con fatica ancora, una parola per me. Oh! se io non mi procacciassi altrond’il vivere, come ben la farei! Ma sono come il bevero7 o la lontra, che sta8 in acqua o in terra, dove io ritrovo miglior pastura. Io non sono men domestico di Erostrato, ch’io sia di costui; or dell’uno or de l’altro più amico, quanto or l’uno or l’altro mi apparecchiano miglior mensa: e così bene mi saprò reggere tra loro, che quantunque l’uno mi veggia o intenda ch’io sia con l’altro, non però si fidi manco di me; perchè gli fo poi credere ch’io séguito l’avversario per spiarne secreti: e così ciò che da tutti trar posso, riporto all’uno e l’altro. Sortisca questa pratica l’effetto che vuole; a me ne arà grazia qualunque d’essi ne rimarrà vincitore Ma ecco Dulipo, il famiglio di Damone: da lui intenderò se il suo padrone è in casa. — Dove si va, Dulipo galante?

Dulipo.     A cercare s’io truovo chi disinare voglia col padron mio, il quale è solo.

Pasifilo.     Non ti affaticar più, chè non ne puoi trovare uno più atto di me.

Dulipo.     Non ho commissione di menarne tanti.

Pasifilo.     Perchè tanti? io solo verrò.

Dulipo.     Come solo, chè dieci lupi hai nel stomaco?

Pasifilo.     Questa è usanza de’ famigli, avere in odio tutti gli amici del suo padrone.

Dulipo.     Sai tu per che causa?

Pasifilo.     Perchè hanno denti.

Dulipo.     Anzi perchè hanno lingua.

Pasifilo.     Lingua! e che dispiacere t’ha fatto la mia lingua? [p. 70 modifica]

Dulipo.     Scherzo, Pasifilo, teco: entra in casa, chè tu non tardassi troppo, chè ’l padron mio è per intrare a tavola.

Pasifilo.     Desina egli così per tempo?

Dulipo.     Chi si leva per tempo, mangia per tempo.

Pasifilo.     Con costui viverei io volentieri. Io mi atterrò al tuo consiglio.

Dulipo.     Ti sarà utile. — Tristo e infelice discorso fu il mio, che a’ desideri miei attissima salute reputai mutare col mio servo l’abito e ’l nome, e farmi di questa casa famiglio. Speravomi, come la fame per il cibo, per l’acqua la sete, il freddo per il fuoco, e mille altre simili passioni per appropriati remedî si estinguano, così l’amorosa mia brama, per il continuo vedere Polimnesta e spesso ragionare con essa, ed a furtivi abbracciamenti quasi ogni notte ritrovarmeli appresso, dovesse aver fine. Aimè! che di tutti gli umani affetti solo è amore insaziabile. Sono oggimai dui anni che sotto spezie di famiglio di Damone ad amor servo, dal quale, sua mercè, quanto di bene possa innamorato cuor desiderare, io, sopra tutti gli amanti avventuroso, ho conseguito: ma quando fra tal abbondanzia dovrei e ricco e sazio ritrovarmi, io sono e più povero e più desideroso che mai. Ahi lasso! che fia di me, se adesso per Cleandro mi sarà tolta? il qual per mezzo di questo importuno parasito procaccia averla per moglie. Non solo de li notturni amorosi solazzi rimarrò privo, ma di parlarli ancora. Egli tosto ne sarà geloso, nè pur lascerà li uccelli la possano vedere. Avevo speranza interrompere al vecchio ogni disegno, dopo che ’l mio servo, il quale con nome e panni e credito mio si finge essere me, gli avevo posto rivale e concorrente; ma il cavilloso dottore ogni dì ritruova nuovi partiti da inclinare Damone a le sue voglie. Hammi dato il servo mio intenzione tenderli una trappola a l’incontro, dove la maliziosa volpe impacciata resti. Quel ch’egli ordisca, non so; nè l’ho veduto questa mattina. Or andando io ad eseguire ciò che il padron m’ha comandato, in un medesimo viaggio vedrò di ritrovarlo, o in casa o dove che sia, acciocchè nello amoroso mio travaglio da lui riporti, se non ajuto, almen qualche speranza. Ma ecco a tempo il suo ragazzo che esce nella via.


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SCENA IV.

DULIPO, CRAPINO ragazzo di Erostrato.


Dulipo.     O Crapin, che è di Erostrato?

Crapino.     Di Erostrato? di Erostrato sono libri, veste, denari e molte altre cose ch’egli ha in casa.

Dulipo.     Ah ghiotto! io ti domando che m’insegni Erostrato.

Crapino.     A cómpito, o a distesa?9

Dulipo.     S’io ti prendo ne’ capelli, ti farò rispondermi a proposito.

Crapino.     Tarruò!10

Dulipo.     Aspettami un poco.

Crapino.     Io non ci ho tempo.

Dulipo.     Per dio, proveremo chi di noi corre più forte.

Crapino.     Tu mi dovevi dare vantaggio, chè hai più lunghe le gambe.

Dulipo.     Dimmi, Crapino, che è di Erostrato?

Crapino.     Uscì questa mattina per tempo di casa, e non è mai ritornato: io lo vidi poi in piazza, che mi disse ch’io venissi a tôrre questo cesto, e che tornassi lì, dove Dalio mi aspettaría; e così ritorno.

Dulipo.     Va dunque, e se tu il vedi, digli ch’io ho gran bisogno di parlargli. Meglio è che anch’io vada alla piazza, che forse lo troverò.




Note

  1. Qui nel senso di Locazione od Affitto, come ha per lo più pensio nella bassa latinità. L’Ariosto ripete questa parola stessa anche nella commedia in versi: «Perchè n’avete pensïone e prezio.»
  2. Una delle contrade di Ferrara.
  3. Così le antiche stampe. Le più moderne: ben anzi.
  4. Così pronunziasi in alcun luogo invece di Bibbia: qui intendesi a far nascere più facilmente l’equivoco con altra parola che derivasse da bibo, e atta a significare il vino.
  5. A dirgli cotesto non ho indugiato a ora. — (Tortoli.)
  6. Questo perchè (quando non sia omissione della stampa, invece di per dio che, come nella commedia di questo stesso titolo in versi) sarebbe qui pure usato in un senso non solito nelle scritture, ma pur frequente nell’uso familiare; senso ironico, e corrispondente ad E sì che. Qualcuno mutò, non sappiamo con qual fondamento, perchè in forse. Con egual forza troveremo nella scena III dell’atto secondo: «Sì, che voi sete diligenti!» ma più espresso verso la fine del medesimo atto, dove Cleandro esclama: «O scelerato senza fede! perchè io non avevo pensato di donargli, ec.» Vedi anche la Cassaria in prosa, pag. 38, lin. 34.
  7. Ant. stamp.: bivero; varietà non notata dalla Crusca.
  8. Il più recente tra gli editori delle Commedie ariostesche propone, ma senza necessità vera, di correggere sto.
  9. Cioè, compitando, o leggendo distesamente, a dilungo? — (Tortoli.)
  10. Interiezione da scherno, e di perduta significazione.