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atto primo. — sc. i. 63


Nutrice.     Tu motteggi pure, ma ti sarebbe meglio, in fè di Dio, che tu fussi più cauta che non sei. Io t’ho detto mille volte, che tu ti guardi di parlare, che tu sia veduta, con Dulipo.

Polimnesta.     Perchè non vuoi ch’io gli parli così come fo agli altri?

Nutrice.     A questo perchè t’ho risposto più volte; ma tu vuoi fare a tuo senno, e te e Dulipo e me precipitare ad un tratto.

Polimnesta.     Maisì, gli è ben un gran pericolo!

Nutrice.     Tu te ne avvedrai. Ti dovrebbe pur essere a bastanza, che per il mezzo mio vi ritroviate tutta la notte insieme: bench’io el fo mal volentieri, e vorrei che l’animo tuo in più onorevole amore di questo si fusse occupato. Duolmi che, lasciando tanti nobilissimi gioveni, che ti aríano amata e per moglie congiuntasi, tu t’abbi per amatore eletto un famiglio di tuo padre, dal quale non ne puoi se non vergogna attendere.

Polimnesta.     Chi n’è stato principio se non la nutrice mia? chè tu continuamente lodandomi or la bellezza sua, or li gentileschi costumi, or persuadendomi che egli oltra modo mi amava, non cessasti pormelo in grazia, e farmi di lui pietosa, e successivamente accendermi del suo amor, come io ne sono.

Nutrice.     È vero che da principio te lo raccomandai, per la compassion che ne avevo, e per le continove preci con che mi sollecitava.

Polimnesta.     Anzi per la pensione1 e prezzo che tu ne traevi.

Nutrice.     Tu puoi credere quel che ti pare: tuttavia renditi certa, che s’io avessi pensato che poscia voi dovessi procedere così innanzi, nè per compassione o pensione, nè per prece o prezzo te ne arei parlato.

Polimnesta.     Chi la prima notte lo introdusse al mio letto, se non tu? chi altri che tu? Deh taci, per tua fè, chè mi faresti dir qualche pazzia.

Nutrice.     Or sarò stata io cagione di tutto il male!

Polimnesta.     Anzi di tutto il bene. Sappi, nutrice mia, ch’io non amo Dulipo nè un famiglio, e ho posto più degna-


  1. Qui nel senso di Locazione od Affitto, come ha per lo più pensio nella bassa latinità. L’Ariosto ripete questa parola stessa anche nella commedia in versi: «Perchè n’avete pensïone e prezio.»