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atto primo. — sc. iii. | 69 |
parata la mensa, c’è differenzia sempre grandissima tra il suo cibo e il mio: io non gusto mai del vino ch’egli beve, nè del pane ch’egli mangia; senza altri vantaggiuzzi che in uno medesimo desco ha sempre da me: e gli pare che se talvolta mi tiene seco a desinare o a cena, avere soddisfatto ogni fatica che continuamente per esso mi piglio. Credería forse alcuno che d’altra maggior cosa mi sia liberale: io posso dir in verità, che mai, da sei o sette anni in qua ch’io tengo sua pratica, non mi donò mai tanto che vaglia una stringa. El si crede ch’io mi pasca del suo favore, perchè talvolta dice, e con fatica ancora, una parola per me. Oh! se io non mi procacciassi altrond’il vivere, come ben la farei! Ma sono come il bevero1 o la lontra, che sta2 in acqua o in terra, dove io ritrovo miglior pastura. Io non sono men domestico di Erostrato, ch’io sia di costui; or dell’uno or de l’altro più amico, quanto or l’uno or l’altro mi apparecchiano miglior mensa: e così bene mi saprò reggere tra loro, che quantunque l’uno mi veggia o intenda ch’io sia con l’altro, non però si fidi manco di me; perchè gli fo poi credere ch’io séguito l’avversario per spiarne secreti: e così ciò che da tutti trar posso, riporto all’uno e l’altro. Sortisca questa pratica l’effetto che vuole; a me ne arà grazia qualunque d’essi ne rimarrà vincitore Ma ecco Dulipo, il famiglio di Damone: da lui intenderò se il suo padrone è in casa. — Dove si va, Dulipo galante?
Dulipo. A cercare s’io truovo chi disinare voglia col padron mio, il quale è solo.
Pasifilo. Non ti affaticar più, chè non ne puoi trovare uno più atto di me.
Dulipo. Non ho commissione di menarne tanti.
Pasifilo. Perchè tanti? io solo verrò.
Dulipo. Come solo, chè dieci lupi hai nel stomaco?
Pasifilo. Questa è usanza de’ famigli, avere in odio tutti gli amici del suo padrone.
Dulipo. Sai tu per che causa?
Pasifilo. Perchè hanno denti.
Dulipo. Anzi perchè hanno lingua.
Pasifilo. Lingua! e che dispiacere t’ha fatto la mia lingua?