I Nibelunghi (1889)/Avventura Ventisettesima
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Avventura Ventisettesima
In che modo essi giunsero a Bechelara
Iva il margravio allor là ’ve le donne
Ei ritrovò, la sposa sua, la figlia,
E ratto lor dicea la molto cara
Novella ch’egli avea, della sua donna1
5A quelle case giungere i fratelli.
Dolce compagna mia, disse Rüedgero,
Onestamente assai v’è d’uopo accôrre
Gl’incliti re, poiché con lor famigli
A corte ei vanno. Bellamente ancora
10Hàgen v’è d’uopo salutar, fedele
Uom di Gunthero. E tale ancor sen viene
Con essi; egli è Dancwarto, e un altro appellasi
Volkero, di virtù ricco d’assai.
Tutti i sei prenci con la figlia mia
15Baciar v’è d’uopo, e presso agli altri prodi
Restarvi con cortesi atti ed onesti.
E le donne assentìan, pronte nell’alma
A cotesto, e però da’ lor forzieri
Le vesti si cercâr meravigliose,
20Chè con esse a l’incontro de’ gagliardi
Voleano incamminarsi. Oh! gran faccenda
Quella fu inver delle leggiadre donne!
Falso color di minio in esse alcuno
Non ritrovò. Portavano alla fronte
25Bende lucenti d’or (cappelli egli erano
Ricchi e pomposi), perchè il vento sperdere
Lor belle chiome non potesse. Questa,
Sulla mia fede, è veritiera cosa.
In tal faccenda lasciam noi le donne,
30Chè qui, pel campo, un correre d’assai
Di Rüedgero si fea dai famigliari
Là ’ve i prenci incontrâr. Lieta accoglienza
Del margravio in la terra elli si aveano.
Rüedgèr gentile, principe margravio,
35Come avanzar li scorse, oh! di qual foggia
Lietamente parlò! Voi benvenuti,
Voi prenci, insiem co’ vostri! Alla mia terra
Deh! quanto volentieri io qui vi trovo!
E a lui con lealtà, senz’odio in core,
40I cavalieri s’inchinâr. Mostrava
Chiaro davver che amico egli era; ancora
Hàgene ei salutò di più segnata
Guisa, chè conosciuto ei l’ebbe in pria,
Ed a Volkero questo ei fe’ pur anco,
45A Volkèr di Borgogna. Anche egli accolse
Di tal guisa Dancwarto, e il cavaliero
Accorto gli dicea: Poi che volete
Prender cura di noi, chi de’ famigli
Nostri che qui menammo, alcun pensiero
50Darsi vorrà? — Disse il margravio: Buona
La notte abbiate voi, chè a tutti vostri
Famigli, che con voi menaste in questa
Nostra contrada, a’ palafreni ancora
Ed a le vesti, tal farò difesa,
55Che niuna cosa perderassi, quale
Danno vi rechi quanto d’uno sprone,
E voi, famigli, i padiglioni al campo
Ratto spiegate; e se qualcuna cosa
Qui perderete, di cotanto resto
60Io qui mallevador. Togliete adunque
Le briglie e andar lasciate i palafreni.
Raro d’assai fe’ un ospite cotesto
Pria di quel dì; però allegrârsi molto
Gli ospiti mo’ venuti, e come a questa
65Cura si attese, cavalcando i prenci
Di là venìan, gittavansi su l’erba
Da tutte parti lor famigli. Aveano
Grand’agio invero, e penso che giammai
Cosa più cara di cotesta in quello
70Vïaggio a loro non toccò. Discesa
La nobile margravia era frattanto
Dinanzi al borgo con la figlia sua
Molto leggiadra, e furon viste allora
Lor starsi al fianco le amorose donne
75E molte vaghe giovinette. Assai
Gioielli esse recavano e pompose
Vesti pur anco, e le nobili gemme
Da lungi risplendean su le lor vesti
Ricchissime. Davver! che bellamente
80Erano adorne. E là giugneano intanto
Gli ospiti e discendean dai palafreni
Anche. Deh, sì! cortesi atti ed onesti
Di Borgogna ne’ prodi altri rinvenne!
Trentasei giovinette, anche con esse
85Molte donne (e conforme a bel desìo
Eran formate lor persone), incontro
A que’ forti venìan con molti prodi
Ardimentosi, e da nobili donne
Un bel saluto allor si fe’. Baciava
90La giovane margravia i tre monarchi,
E fea cotesto anche la madre. Stavale
Hàgene accanto allora, e sì le fea
Comando il padre di baciarlo, ed ella
Guardavalo, e di tanto egli le apparve
95E fosco e tetro, che cotesto assai
Tralasciato ell’avrìa di voglia buona.
Ma ciò che il sire della casa a lei
Indisse, ella compir dovea d’un tratto,
E si turbava il suo color, che pallido
100Si fece e rosso. Ella baciò Dancwarto
Ancora e poscia il suonator di giga;
A lui, pel gran vigor di sua persona,
Tal saluto si fea. Prese per mano
La giovane margravia il valoroso
105Giselhèr di Borgogna, e ciò a Gunthero,
Ardimentoso eroe, fece pur anco
Di lei la madre. Per gran gioia vennero
Elle così con questi forti, e l’ospite
In ampia sala con Gernòt sen gìa,
110Là ’ve assisero allor dame e guerrieri.
Tosto s’indisse agli ospiti venuti
Il miglior vino di versar. Davvero!
Che non potean di miglior guisa i prodi
Accoglienze toccar! Ma con amanti
115Occhi alla figlia si guardava intanto
Di principe Rüedgèr; ciò si fea bene.
Molti gagliardi cavalieri a lei
In fondo al cor professavano amore;
Ella potea mertar cotesto, ed era
120D’alti sensi d’assai. Ma ciò ch’ei vollero,
Pensavan elli; e di cotesto nulla
Avverar si potea.2 Molto guardossi
Da questa parte e quella a giovinette
Ed a matrone (e là sedeano molte),
125E quell'ospite suo d’alma d’assai
Affettüosa si mostrava intanto
Quello di giga sonator famoso.
Giusta il costume ei separârsi allora
E in altra parte cavalieri e donne
130Si ritraean. Nell’ampia sala apposte
Furon le mense, e ad ospiti anche ignoti
Liberalmente si prestâr servigi.
Anche sen venne, per amor degli ospiti,
A quella mensa l’inclita margravia,
135E la sua figlia appo l’altre donzelle
Lasciò che si restasse; e lei non videro
Gli ospiti e di cotesto elli si dolsero
Veracemente. Come tutti insieme
Bevanda e cibo ei presero, le belle
140Addotte fûro in quella stanza ancora,
E nessun detto si celò che fosse
Festoso e lieto. Favellava assai
Volkero intanto, un cavaliere ardito
E cortese. Egli disse, egli, di giga
145Inclito suonatore, apertamente:
O margravio possente, assai con grazia
Iddio fece per voi, da che vi diede
Sposa davver leggiadra tanto, e lieta
Vita pur anco! Che s’io fossi prence,
150Il suonator soggiunse, e la corona
Anche portassi, a donna mia vorrei
La vostra posseder leggiadra figlia,
E n’ha desìo quest’alma. Eli’è avvenente
A guardarsi, ed è buona anche ed illustre.
155Disse il margravio allor: Di qual mai foggia
Questo avvenir potrìa che disïasse
Alcun che regni, la mia dolce figlia?
Io, la mia donna, qui siam noi stranieri;
Che giova mai di fanciulla a persona
160Bellezza grande? — E Gernòt rispondea,
L’uom cortese d’assai: Deh! s’io dovessi
Conforme al mio desìo toccarmi sposa,
Sempre di cotal donna io sarei lieto!
Piacevolmente assai Hàgene disse:
165Or sì che il mio signor, prence Gislhero,
Donna tôrsi dovrà! D’alto lignaggio
È la margravia, e a lei servir potremmo
Tutti noi volentieri, io co’ suoi fidi.
Così, con diadema, ella dovrìa
170Là venir tra i Burgundi. — E piacque assai
A Rüedgero quel detto e piacque ancora
A Gotelinde; ei sì davver nell’alma
N’aveano gioia! Adopravansi allora
I cavalieri perchè a donna sua
175Si prendesse Gislhèr nobile ed inclito
La giovinetta come pur s’addice
A re sovrano. A ciò che avvenir dee,
Chi opporsi mai potrà? La giovinetta
Fu allor pregata ch’ella andasse in corte,
180E si giurò che la leggiadra donna
Data a Gislhèr sarebbe, ed ei promise
Che quella amata avrìa d’assai, sì degna
Di amore. A la fanciulla altri3 assegnava
Terre e castella, e poi con sacramento
185La mano asseverò del nobil sire,
Anche prence Gernòt, che sì cotesto
Fatto sarìa. Disse il margravio allora:
Poi che non ho castella, in sempiterno
Ligio con fede vi sarò. Ma intanto
190Oro ed argento a questa figlia mia
Sì donerò, quanto potranno mille
Giumenti carreggiar, perchè ciò appaghi
Con onor dell’eroe sposo i congiunti.
S’indisse allor che stessero, conforme
195A costume, entro un circolo gli sposi.
Ambo; e là dirimpetto, con gioiosa
Anima, s’appostâr molti garzoni.
Ei pensavano in cor ciò che i garzoni
Fan volentieri. Cominciossi intanto
200L’amorosa fanciulla a dimandare
Se il cavaliere ella volea. Rancura
Ciò le fu in parte; eppure, ella bramava
Di prendersi il garzon cortese e bello.
Vergogna avea di tal dimando in quella
205Guisa che fanno ancor molte fanciulle.
Ma consiglio le dava il padre suo
Rüedgero, perchè: «Sì, lui volentieri
Mi prendo» ella dicesse. Ecco! la cinse
Di sue candide mani il giovinetto
210Gislhero allor subitamente. Oh! assai
Breve goder di tanto ella ebbe poi!
Disse il margravio: Quando tornerete
In cavalcando (come è pur costume)
Voi, re nobili e grandi, a vostre case
215Di Borgogna, darovvi esta mia figlia
Da menarvi con voi. — Quelli promisero
Cotesto allora. Udìansi plausi, e tosto
Sì fu d’uopo lasciarli. A le lor stanze
D’irne fu indetto a le fanciulle, ancora
220Di dormir, di posar fino al novello
Giorno fu ingiunto agli ospiti. Lor pasto
Si preparò. Di ciò davasi cura
Attentamente de l’ostello il sere.
E com’avean mangiato, irne alla terra
225Volean tosto degli Unni. Io sì fo cenno,
Il nobil sere disse allor, che questo
Mai non avvenga! E qui restarvi è d’uopo
Anche, ch’io penso che ospiti sì cari
Qui raramente m’ebbi assai. — Rispose
230Dancwarto allora: Esser non può cotesto!
Ove torrete voi le provvigioni
E il pane e il vino, se restar qui dènno
Anche la notte cavalieri tanti?
E il sere come udì, così dicea:
235Questo sermon lasciate, e voi, diletti
Signori a me, cotesto, oh! non vorrete
Ricusarmi! Apprestar le provvigioni
Per quattordici dì poss’io davvero
Per voi, per quanti qui con voi venièno
240Famigli vostri. Nulla non mi tolse
Di miei possessi Ètzel regnante ancora.
E là fu d’uopo rimanersi ancora
Fino al dì quarto, ben che assai di tanto
Si schermissero quelli. Anche si fece,
245Per cortesia dell’ospite, tal cosa
Che lunge assai se ne parlò. Donava
Destrieri e vesti a quegli ospiti suoi.
Indugiar non potean più lungo tempo,
Indi partir fu d’uopo, e Rüedegero,
250L’uom di gran senno, poco assai potea
Risparmiar per sua molta cortesia,
Chè ciò che alcuno sì bramava, a quello
Ei non seppe negar. Dovea gradito
Andar cotesto a tutti! Ora, dinanzi
255Alle porte, adducean li palafreni
Già con lor selle i nobili valletti,
E molti innanzi a lor venìan de’ prenci
Forestieri. Alla mano ei si recavano
Lor targhe; di partir per quella terra
260D’Ètzel re, cavalcando, elli avean brama.
A tutti attorno l’ospite suoi doni
Offerendo venìa pria che alla sala
Scendessero que’ chiari ospiti suoi.
Ora ei potea liberalmente e in grande
265Onor vivere il prode; avea concessa
A Giselhèr la sua leggiadra figlia.
E, intanto, a re Gunthero, inclito eroe,
Ben che raro accogliesse i doni altrui,
Ei diè un guerresco arnese; anche potea
270Con molto onor portarlo il re possente
E illustre; e tosto s’inchinò Gunthero
Alla man di Rüedgero inclito. Ancora
Ei diè a Gernòt un’arma buona assai,
Quale egli poi portò da valoroso
275Nelle battaglie, e di tal dono invero
Godea la donna del margravio. Eppure,
Il buon Rüedgero, per quell’arma, un giorno
Dovea perder la vita! E Gotelinde,
Come a lei s’addicea, poi che alcun dono
280Il re si prese, un dono suo d’affetto
Ad Hàgene offerìa, perch’egli a feste
Senza sua aita non andasse. E quegli
A ricusar si diede. Hàgene disse:
Di tutto ciò ch’io vedo qui, non io
285Altra cosa vorrei portar con meco
Fuori di quello, appeso alla parete,
Scudo lucente. Volentieri io quello
D’Ètzel vorrìa portarmi alle contrade.
E la margravia, come udì cotesta
290D’Hàgen parola, di sua acerba cura
Si ricordò. Bene le stava il pianto!
Chè troppo allora ella pensò la morte
Di Nuodungo;4 e l’avea Witige un tempo
Ucciso in campo, ed ella aveasi fiero
295Di lagrimar desìo. Darovvi, al prode
Ella rispose, quella targa. Iddio
Dal ciel volesse che anche fosse in vita
Chi al braccio la portò! Ma spento cadde
Quello in battaglia, e però sempre è d’uopo
300Ch’io sì ne pianga. A me, misera donna,
Di ciò sorviene alto bisogno! — E intanto
Dal seggio suo la nobile margravia
Si mosse ed afferrò l’ampio pavese
Con sue mani bianchissime. Il recava
305Ad Hàgene la donna, ed egli in mano
Sì lo prendea. Fu dato al cavaliero
Per grande onor quel dono. Un involùcro
D’una stoffa lucente e in prezïose
Gemme posava sul fulgor di quello,
310Nè rischiarò giammai targa migliore
Il giorno chiaro. Se qualcun volea
Acquisto farne, egli era sì di mille
Marchi degno in suo prezzo. Hàgene intanto
Che il pavese da lui via si recasse,
315Precetto fece. Ma Dancwarto a corte
Il suo vïaggio incominciar volea,
E però molte vesti e ricche assai
Gli diè la figlia del margravio, quali
Egli fra gli Unni assai pomposamente
320Recar dovea. Ma nullo di que’ tanti
Doni ch’ebbero quelli, a le lor mani
Sarìa venuto se non per l’amore
Dell’ospite signor, che bellamente
Offerta sì ne fece. Elli dipoi
325Tanto nemici gli si fean, che a morte
Dovean colpirlo un dì. Volkero intanto,
Volkèr gentile, con la giga sua
Graziosamente a Gotelinde innanzi
A collocarsi andò. Sulla sua giga
330Dolci suoni destò, cantò suoi lai,
E di tal guisa, poi che si partìa
Da Bechelara, si prendea commiato.
E la margravia fe’ recarsi allora
Un cofano, e davver d’assai cortesi
335Doni ora udrete favellar. — Ne tolse
Ella dodici anelli e sì li pose
In mano a quello lì schierando. Questi
Recherete di qui, disse colei,
D’Ètzel alle contrade e sì alla corte,
340Per mio comando, porterete ancora,
Perchè, nel tempo che di là ritorno
Farete voi, dir mi si possa almeno
Qual mi feste servigio a questi giorni
Di lieta festa. — E volentieri assai
345Ciò che indisse la dama, egli eseguìa.
Disse agli ospiti il sire: Andar v’è dato
Più lentamente assai, ch’io stesso voglio
Accompagnarvi e dire ancor che buona
Difesa avrete voi, sì che nessuno
350Vi farà danno in su la via. — Le some
Rapidamente assai furono apposte.
Con cinquecento prodi or s’apprestava,
Con vesti ancora e palafreni, il sire,
Quali ei con sè con molta festa e gioia
355Di là portava; e niuno in vita ancora
In Bechelara si tornò. Con baci
D’affetto assai di là prendea commiato
Il sire, e fea cotesto anche Gislhero,
E ciò gl’indisse l’anima sua bella.
360Con braccia attorno avvinte, a ogni leggiadra
Donna un saluto feano quelli, e piangerne
Dovetter poi molte fanciulle vaghe.
Da tutte parti allor furon dischiuse
Le finestre, e il signor co’ suoi gagliardi
365Al suo destriero già venìa. Che il core
Loro annunziasse alto dolor, mi penso,
Chè molte là piangean fanciulle adorne
E molte dame. Per lor dolci amici
Doglia bastante elle sì avean, chè mai
370Non li videro poscia in Bechelara.
Eppur, con festa, cavalcâr lunghesso
L’arena, appo il Danubio, i valorosi
Fino alla terra ch’è degli Unni. Allora
Il nobile Rüedgero, egli, gentile
375Cavalier, così disse a’ Borgognoni:
Nascoste già non dènno esser di noi
Le novelle, che omai scendiam vicini
Agli Unni. Cosa a lui che sia più dolce,
Mai non intese Ètzel sovrano. — E tosto,
380Per Osterrìch in giù, veloce andava
Un messaggiero, e a tutte genti attorno
S’annunzïò che da Worms i possenti
Venìan, di qua dal Reno. A’ famigliari
Del sire non potea cosa più dolce
385Avvenir di cotesta. E i messaggieri
Andavano però con lor novelle
Affrettati a ridir che i Nibelunghi
Appo gli Unni venièno. O donna mia
Kriemhilde, bene accôr tu dêi cotesti.
390A grande onore i tuoi fratelli cari
Vengono omai. — Si stette a una finestra
Donna Kriemhilde allor, ch’ella aspettava
Li suoi congiunti, come fanno amici
Per loro amici. Ed ella rivedea
395Uomini assai della sua patria terra.
N’ebbe l’annunzio il sire ed a sorridere
Incominciò di gioia. Oh! mio contento!
Dicea Kriemhilde. Nuove targhe assai
E bianchi usberghi portano qui seco
400Li miei congiunti. E chi toccar desìa
L’oro di me, di me pensi al dolore,
Ed io per sempre gli sarò amica.