I Mille/Capitolo XXIV

Capitolo XXIV. Roma

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CAPITOLO XXIV.

ROMA.

Son le tue zolle sante, ed i tuoi colli
Templi, ove l'uom che ne respira l'aura
Se non risente dignità — la creta
Sortiva dello schiavo!...
 (Autore conosciuto).



Io m’inchino davanti alla grande metropoli del mondo, davanti... alla grandissima meretrice!

Panteon delle maggiori grandezze umane, ed oggi fatta lupanare d’ogni schiuma di ribaldi dell’universo.

E tale doveva esser la sorte dell’orbe!

Calpestando sotto i suoi piedi d’acciaio le nazioni, e dalle nazioni precipitata all’ultimo grado della scala umana.

Papi ed imperatori altro non furono che carnefici della giustizia suprema!

Eppure m’inchino davanti a te, Roma!... perchè in te spero, in te che lavata dall’immondizia di cui sei insudiciata, oggi riapparirai risplendente dell’aureola della libertà come a’ tempi de’ tuoi [p. 110 modifica] Cincinnati, non più per aggiogar le nazioni, ma per chiamarle alla fratellanza universale.

Nel tuo seno sono convenuti, è vero, i due genii malefici all’umanità, l’impostura e la tirannide, ma che monta? cadranno davanti alla fatale spada della giustizia.

I popoli camminano a passo di testuggine, è vero, ma progrediscono1; quei signori che un giorno non avrebbero degnato la plebe d’uno sguardo, oggi l’accarezzano per timore che si ricordi dell’insanguinato loro albero genealogico e della propria potenza. — Potenza! ma..... potenza del bue o del cammello.

In una delle aule del Vaticano, ove il generale dei Gesuiti (generale, eh!..... non c’è male per i modesti sedicenti discepoli del Giusto!) teneva il suo ufficio, eran adunati in tre: il generale, il suo primo segretario, pezzo grosso, ed il nostro conosciuto monsignor Corvo che li valeva tutti e due per malvagità ed astuzia.

I tre si sedettero e misuraronsi coll’occhio volpino, da capo a piedi, senza un sorriso, perchè cotesta è gente che non sorride, nemmeno coll’amante, o se sorride qualche volta, quello è sorriso del coccodrillo. Essa non ama, non compiange, ma odia con tutta l’intensità di cui è capace il cuor umano, e sacrifica, se fosse nelle [p. 111 modifica] sue mani, l’intiera umana famiglia, per soddisfare vizii ed ambizione.

«Il fine giustifica i mezzi.» Misurate tutto l’enorme cinismo di questa massima del gesuitismo, d’una setta la cui aspirazione è il cretinismo ed il servilismo dell’uomo che non è gesuita, ed avrete un’idea della sua nefandezza. Infine: dominare i potenti massime con la confessione, e con loro il mondo.

Il gesuitismo e la tirannide rappresentano il male nella famiglia umana. Essi sono quelle piante parassite, che vogliono vivere e mangiare a spese delle altre, e non si contentano di mangiar per uno, vogliono mangiar per cento: e per sostener la loro ingiustizia, cercano con ogni mezzo atroce di dominare le plebi, da loro chiamate canaglia.

«Ebben, monsignore,» principiò il generale diretto a Corvo «che nuove della Sicilia?»

«— Pessime, eminenza! pessime: pare che la fortuna arrida in ogni modo ai filibustieri, oggi trattati da eccellenze dai generali borbonici. Essi sono tosto padroni dell’isola intiera, meno le quattro orientali fortezze, e probabilmente non tarderanno ad incamminarsi verso lo stretto di Messina per passare sul continente. Ed allora io non so che pesci si piglieranno anche per la nostra Roma — che V. E. sa essere il boccone più squisito per quei maledetti eretici».

All’ultima parte di quel discorso gesuitico, il generale impallidì, e lasciando cadere ambe le [p. 112 modifica] mani sulla smisurata pancia, era lì lì per mandare uno di quei sospiri dolorosi che mostrano la depressione dell’animo. Ma si trattenne, e siccome il pericolo era tuttor lontano, e anch’egli non mancava di dissimulazione, si fece animo, e così ricominciò:

«Ma come va? Tutti quei nostri emissari inviati da noi, dall’imperatore, e raccomandati da Cavour e dalla corte di Napoli, non sono stati capaci di liberarci da quel pirata? — »

«— Favole, eminenza, favole! o quegli emissari non sono arrivati, o se arrivati, sono stati infetti dal morbo generale d’insurrezione e si sono gettati nelle fila dei Mille, ormai tenuti come esseri superiori davanti a cui tutto deve piegare.»

«Un solo, Talarico, calabrese, mandato da Napoli con nave da guerra, fu messo a terra di notte, e prometteva di compier l’opera a qualunque costo. Ma successe a lui, come al Cimbro di Mario. Nella stessa notte si vide giungere al nuoto a bordo della flotta, pieno di spavento, e confessando di non sentirsi capace a ferire quel capo di masnadieri, perchè ciurmato. Eppure Talarico è il più famigerato brigante dell’Italia meridionale, ed a lui si promisero ricompense spropositate. — »

«— Ecco, esclama l’eminenza, in questi casi mai si deve facilitare, e se avessero seguito i miei consigli, non si sarebbero lasciati partire dalla Liguria quei rompicolli. Il serpe si schiaccia [p. 113 modifica] subito che comparisce. Il male si sana nel suo principio; cronico, diventa incurabile.»

«Tutti questi grandi politiconi volevan mangiar i rivoluzionari in insalata. Lasciateli partire, dicevano, ed essi non potranno sfuggire alle numerose crociere nostre e del Governo sardo che li aspettano nel Mediterraneo. E se per disgrazia non fossero incontrati dalle flotte, le coste della Sicilia sono così assiepate da soldati, che saranno esterminati in qualunque parte essi approdino. — »

«— Altro che sterminio, urlava il primo segretario che divideva la paura del suo padrone! Esterminati! per S. Ignazio, se non fermano quei manigoldi al Faro, siamo belli e spacciati! Chi diavolo li ferma più quando abbiano messo il piede sul continente con tutta questa febbre di rivoluzione che s’è impadronita dei nostri italiani, un dì sì devoti e mansueti!». —

E l’eminenza e il suo segretario, cogli occhi spalancati, esalavano a vicenda tutta la paura e la soma di delitti affastellati nell’anima perversa e scellerata.

Non così il monsignore; esso non era tranquillo quando entrò dal generale per dar parte della difficile sua missione. Ma la paura dei due per un pericolo ancor lontano, manifestato non ostante una provetta dissimulazione, in cui erano ambi maestri, lo rinfrancava, e con voce rassicurata, diretto al generale, così si espresse:

«— Vostra eminenza sia tranquilla, tutto non [p. 114 modifica] è perduto ed abbiamo i sovrani di Parigi e di Torino che se non fossero ambi svisceratissimi per la S. Sede ed il gesuitismo ch’è la stessa cosa, il loro proprio interesse li farà cauti, che devono combattere la rivoluzione a tutt’oltranza, e so da fonte degna di fede che navi da guerra bonapartesche sono già nello stretto di Messina per impedire il passaggio degli avventurieri sul continente2, e che nell’alta Italia si prepara un poderoso esercito per combatterli se passassero3. — »

«— Voi siete la più solida colonna dell’ordine nostro, monsignore, esclamava l’eminente un po’ rassicurato, e qualunque cosa vi piaccia chiedermi, ve la concedo con tutto compiacimento. — »

«— Avrei veramente bisogno che quel vecchio ebreo, di cui parlai tempo fa a vostra eminenza, fosse consegnato a mia disposizione, rispose il Corvo. Egli è diventato inoffensivo a forza di torture corporali e morali — per la maggior gloria di Dio (assassini) io l’ho fatto ridurre al punto in cui noi vogliamo. Esso trovasi nel più completo idiotismo ora, e potremo, quando V. E. nella sua saviezza voglia ordinarmi la pubblica conversione, presentarlo ai romani come un vero miracolo dello Spirito Santo». —

Maledizione! Quando sparirà dalla faccia della [p. 115 modifica] terra questa tetra, scellerata, abbominevole setta che prostituisce, deturpa, imbestialisce l’essere umano? E i popoli vanno a messa, a vespro, a confessarsi, a comunicarsi, a baciar la mano a quest’emanazione pestifera dell’inferno! E ciò costituisce il potere della tirannide.

Io mi nascondo, colle mani, il volto dalla vergogna d’appartenere a questa schiatta d’imbecilli, che si chiamano spudoratamente popoli civili!

«— Altro, esclama il generale dei birbanti! al più presto noi faremo conoscere ai mondo cattolico la misericordiosa potenza del divino nostro maestro. E questa sarà una luminosa disfatta della millantatrice eresia che in questi ultimi tempi con tanta malizia ha cercato di abbassare la santa nostra istituzione».



  1. Non si esageri però - e si stia cauti contro la gramigna - prete. Nizza avea un convento nel 1860; oggi ne ha ventinove. Al prete basta un letamaio monarchico qualunque per ingrassare gl’infernali suoi semi e farli prosperare.
  2. Fu vano il veto di lord John Russel.
  3. Provato da documenti officiali.