I Mille/Capitolo XXIII
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CAPITOLO XXIII.
IL RIPOSO.
Malheur aux coeurs ingrats, et nés pour les forfaits, |
Ne avevan ben bisogno di riposo i Mille, poveri giovani! — la parte eletta di tutte le popolazioni italiane, ma non avvezza ai disagi, alle privazioni — figli di famiglie distinte, eran gran parte studenti — molti laureati — e tutti, con poche eccezioni consacrati all’eroismo e al martirio, per la liberazione di questa nostra terra, un dì padrona del mondo. — E fu gran colpa veramente la conquista del mondo conosciuto che dovea necessariamente aver per conseguenza l’odio universale.
I Mille, per la maggior parte non marini, avean lasciato le nausee di mare, per ingolfarsi nelle stragi delle battaglie, e per sentieri quasi impraticabili eran pervenuti in Palermo, ove cacciando davanti a loro un esercito di ventimila uomini delle migliori truppe borboniche, liberavano la Sicilia intiera in solo venti giorni. Ed in sette sanguinosi combattimenti, coadiuvati dai loro fratelli del mezzogiorno, compivano l’opera sognata dai grandi italiani di tutte le epoche.
Dopo la ritirata dell’esercito borbonico, i Mille poterono organizzarsi, e formaronsi nello stesso tempo varii piccoli corpi, comandati da esperti ufficiali, e Palermo, da una piazza d’armi del dispotismo, divenne in pochi giorni un semenzaio di militi della libertà italiana.
Che bel vedere nelle ore fresche della giornata quei vispi giovani figli della Trinacria, all’esercitazioni militari, con uno slancio, una volontà da consolar l’animo del veterano per cui l’Italia redenta fu il sogno di tutta la vita. — E l’Italia, ripeto, avrebbe potuto redimersi intieramente in quell’epoca gloriosa, se l’inerzia degli uni e la malizia degli altri non avessero inaridito il germe potente dell’eroismo nazionale.
La sosta in Palermo dopo l’evacuazione dei nemici fu pure impiegata ad opere giovevoli. Il gran numero di ragazzi, vagando per le strade, ove per lo più trovano una scuola di corruzione, furono raccolti, riuniti in stabilimenti idonei, ed educati alla vita dell’onesto cittadino, o milite. — Si migliorò la condizione degli stabilimenti di beneficenza, e si supplì di viveri tutta la parte della popolazione indigente, e tutta quella danneggiata dal bombardamento e dalla guerra in generale.
L’organizzazione del Governo Dittatoriale fu pure attuata, e vi contribuirono varii esimii patriotti della Sicilia — tra cui primeggiava l’illustre avvocato Crispi, uno dei Mille.
Distribuite le forze nazionali in tre divisioni, esse presero il nome d’Esercito meridionale, che mosse verso l’oriente per compiere l’assunta missione emancipatrice.
Una divisione comandata dal generale Türr (surrogato per causa di malattia dal generale Eber) s’incamminò per il centro dell’Isola. La divisione di destra comandata dal generale Bixio per il littorale a mezzogiorno; e quella di sinistra comandata dal generale Medici per la costa settentrionale, con ingiunzione di riunire quanti volontari si sarebbero presentati ad accrescere le forze nazionali; e tutte coll’ordine di concentrarsi nello stretto di Messina.
Più che dai contingenti isolani, i Mille furono aumentati da varie spedizioni posteriori, partite dal continente.
La prima spedizione comandata da Agnetta1 giunse col Veloce, piroscafo piccolo, e prese parte agli ultimi combattimenti di Palermo. Le altre più o meno numerose, seguirono ed accrebbero il numero dell’esercito meridionale con forti militi del settentrione e del centro.
Il generale Sirtori, capo di Stato Maggiore dei Mille, rimase in Palermo Prodittatore della Sicilia — ed ogni cosa in generale camminava in favore della fortunata rivoluzione.
A Roma però, in intelligenza con Torino e Parigi, focolari d’ogni malizia, tramavasi contro la stessa, e preparavansi tutti i mezzi per arrestarla ed annientarla.
- ↑ Il drappello condotto dall’Agnetta era misto di Italiani e di Ungheresi, e non sorpassava il numero di 100. L’Agnetta è quello stesso che, finita la campagna del 1860, ebbe un duello col Generale Bixio al quale si presentava per ordine di Garibaldi, in conseguenza di un violento diverbio che ebbe luogo il 30 maggio nella chiesa di S. Giuseppe.