I Marmi/Parte prima/Ragionamento sesto/Zuccherino zanaiuolo e Baldo mazzieri
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Zuccherino zanaiuolo e Baldo mazzieri.
Zuccherino. Buona sera, messere.
Baldo. Che fai tu qua, Zuccherino, fra gentiluomini? La tua stanza è stare in Mercato vecchio e non andare intorno ai Marmi.
Zuccherino. Cercava il pedante di messer Gismondo, compare della signoria vostra, che venisse a casa, ché lo voglion pagare e cacciar via.
Baldo. La cagione? (benché i pedanti ne danno mille il dí delle cause da bastonargli e mandargli alla mal’ora) sai tu perché?
Zuccherino. Non so troppo bene: e’ mi par che egli andasse ieri fuori con Carlo e gli andava di dietro, come voi sapete che fanno tutti i pedanti; e il fanciullo, essendo inanzi lá da Santa Maria maggiore, parve che quel maniscalco, che è colá in testa, aveva, poco inanzi che vi passassero, scagliato fuori un ferro caldo; ed era ancóra rovente, quando, passando il pedante, e il ferro essendo rotolato un poco discosto piú del solito, il maestro gli disse: — Ricogli quel ferro. — Il fanciullo súbito gli sputò su e, quando lo senti friggere, rispose: — Maestro, egli è di fuoco. — A che te ne sei tu avveduto? — A questo — disse egli; e vi sputò su ancóra. — Adunque — segui il pedante — a sputar sopra una cosa, si conosce se l’è calda: questa filosofia ho io imparata oggi: or va lá! — Ben sapete che ’l pedante ignorante, stamani, essendo a tavola e venendo le lasagne, la sua riverenza, per veder se le cocevano, sputò nella scodella, e, non le vedendo friggere, con il mestolino se ne cacciò in gola una buona cucchiaiata; onde le lo cossero malamente la bocca, le gengie, la lingua, il palato e l’ugola tanto che ne pianse. Pur, vergognandosi, stette cheto, dicendo fra sé: — Questo civettino di Carlo m’ha uccellato di quel ferro — e, mordendosi il dito, disse — Io te ne pagherò. — Dopo desinare egli lo menò in camera; e la signoria vostra sa che cosa è la discrezione de’ pedanti: egli tolse il suo staffile, che è quattro dita largo, secondo che dice la fante, che gne ne vide in mano su quella furia, e gne ne ha date tante e tante che il povero Carlo, che ha le carni tenerine, gli fila tutto il forame sangue, che tutta quella casa è sotto sopra; e vedete di quello che egli gli ha dato! Dice ben la fante: — Io vorrei inanzi che si fossi sfogato la stizza sopra di me, tanto che fossi svelenito per sei mesi.
Baldo. Odi furfante! Io ramazzerei, se gli stesse in casa mia.
Zuccherino. Andrea, suo fratel maggiore, l’ha cercato tutto di per ficcargli un temperatoio nella pancia, ma non l’ha saputo trovare; e messer, per non far tanto romore, lo vuol pagare e cacciarlo via: però era venuto qua a’ Marmi a veder se ci fosse per disgrazia.
Baldo. Non ne cercare altrimenti, ché il porco debbe averla presa per la piú corta. Dimmi, ècci nessuna cortigiana che sia da niente?
Zuccherino. Voi l’avete detta alla prima.
Baldo. È possibile che non ci sia qualche cosa di buono? o di cattivo, ma che avessi garbo?
Zuccherino. La signora (che io non ho a memoria quel nome strano) che sta lá... dal canto alle Rondine... per andar piú inverso Guaifonda... da quell’orto del Campaccio.
Baldo. Tu debbi essere stato alla taverna, ché la lingua ti s’appallottola in bocca, perché tu non sai dir dove; ciò è il cervello ti fumma.
Zuccherino. So ben quella che io vo’ dire, ma non voglio che sappiate chi; però vo girandolando: vedete se del pedante l’ho detta a punto?
Baldo. Che volevi tu dir di cotesta cortigiana, di cotesta che tu non vuoi che si sappi il nome?
Zuccherino. Io portai la zana a un signore l’altra sera bene ben fornita e due volte la ritornai a empiere; cosí fece ancóra il cuoco. Oh che gran catenone d’oro aveva egli al collo!
Baldo. Disse il Gonnella che i pazzi maggiori portan piú grosse catene.
Zuccherino. Ben sapete che quella collana gli dava quattro o cinque volte al collo. La buona signora, quando egli si fu stracco la notte, e che dormiva sodo, la si levò su, e, avendo disegnato quel che la voleva fare e ordinato, gli tagliò un gran pezzo di quella collana e fece da uno orafo saldarla e acconciarla, di notte, che la non si pareva tocca, e la rimesse al suo luogo giusta giusta. La mattina lui medesimo aperse la camera (ché la sera s’era serrato da sé), e, venendo le fanti ad aprir le finestre, si stette buona pezza, disse il Boccaccio, seco ancor nel letto; e come suole accadere a chi disordina e dorme assai, ad avere un capo che gli pare un cestone, disse che aveva dormito troppo. — Si — rispose la cortigiana — voi avete la testa molto infiata e gli occhi grossi. — Levatosi poi e, brevemente, volendo fare le solite volte della catena, sí, per dio!, la non v’arrivava a un pezzo. Disse egli allora, accorgendosi d’esser truffato: — Veramente il capo m’è stanotte ingrossato. — E finse d’esser cordovano e lasciò star la catena senza due giravolte manco; e stando in festa e allegrezza, e spandendo scudi per presenti, mancie e colazioni, si guardava da torno se vi fosse cosa da pareggiarsi. La donna, che gne ne vedde bere, era la piú allegra femina del mondo. Non vi saprei or dire come ella s’andasse: il signore si partí tutto allegro, come colui che vidde il modo da ritornare sul suo capitale. Passati alquanti dí, la sua signoria tornò alla festa e, trattenendo la donna che non dormisse (come colui che aveva disegnato e dormito il giorno), quando l’ebbe stracca, finse addormentarsi; ed ella fece da vero. Poi, levatosi, andò per aprir le casse; ma non ci fu mai ordine: la sorte gli fu favorevole in questo, perché la cortigiana era entrata la sera seco in letto e non s’era levata una mirabil filza di perle dal collo; onde egli, trovatole cosí al buio, destramente gne ne sfilzò e a una a una se le inghiottì. La mattina vennero le brigate, ed egli, con la solita allegrezza levatosi e forse maggiore, faceva lo splendido piú che mai. Quando la femina s’accorse non aver le perle, pur stette un pezzo in forse e cercato se in cassa fossero, e poi, ricordandosi chiaramente d’averle tenute a collo, cominciò a fare parole molto brusche con il signore. Egli con una modestia grande fece cercare tutti i suoi panni, e dal nudo si cominciò a vestire e dolevasi molto che la signora avesse di lui tal concetto preso. Ora, dopo lo aver tutte le cuciture rifrustate, e accompagnatolo fuori, si diede a cercare minutamente s’in camera, dove la notte era stato chiuso, l’avesse ascoste; perché trarle in alcun luogo non le poteva, e, non le trovando, s’ebbe da impiccare. Alla fine il signore, abandonando la mariuola, ne guadagnò altretanto che ella gli aveva tolto.
Baldo. Noi t’abbiamo inteso e sappiamo, chi ella è.
Zuccherino. Voletemi voi comandar nulla? Io voglio ire a dir che io non lo trovo.
Baldo. Poi dove andrai?
Zuccherino. Alle Marmerucole, ché io sono aspettato da duo fiaschi di quel sottile, a desco molle, con il Mascella famiglio d’Otto, da Minciasso battilano e da Popone ortolano.
Baldo. Oh che cricca!
Zuccherino. Che volete voi fare? paribusse con parisse!
Baldo. Poi, doppo il bombettare che esercizio è il vostro?
Zuccherino. Giocare da bere per un’altra sera.
Baldo. Come? vi lascia giocare voi altri furbi il tavernieri?
Zuccherino. Il nostro giuoco non è di carte, dadi o corna o tavola di nove o dodici, ma giuocamo a indovinare, cose d’ingegno, perché ci vogliamo fare spermentati.
Baldo. Di grazia, dimmene quattro; poi va, diléguati, che mai piú ti vegga.
Zuccherino. Noi facciamo a indovinare una cosa, e chi non l’indovina mette un soldo nello infrescatoio, tanto che due fiaschi ne venghino o uno, secondo che noi ci troviamo ferrata la borsa; e siamo talvolta sei e sette a questa festa: come dire: quale è quella cosa che si può dire che ciascuno la conosca, la possi adoprare, che sia in uso e si sappia il nome e poi non si trovi né dottore né poeta che sappi come la si vadia?
Baldo. Che diavol di pazze materie son le vostre?
Zuccherino. Ditelo voi e ve la dirò; e che non, che voi non sapete qual parte della barella va inanzi o dietro?
Baldo. Ah, ah, che novelle!
Zuccherino. Qual è quella cosa che non è buona se la non è ricotta e mai se ne trova cruda? Che cosa è quell’altra che non se ne trova mai se non cotta e non si può mangiare cotta? Qual è quell’animal che s’impregna per il becco? Quell’altra cosa che quello che la fa non n’ha bisogno, colui che la fa fare non la vuole per lui e colui di chi ella è non gli serve a nulla?
Baldo. Vatti un poco a nascondere e sta sano, ché coteste girandole non mi vanno.
Zuccherino. Io me ne vo, ma ditemi: chi è quello che vive, avendo le budella fuor del corpo e, se l’avesse dentro, sarebbe morto? E che si che voi non sapete ancóra perché l’asino ragghia di maggio?
Baldo. Perché va in amore.
Zuccherino. Anzi perché non è morto il mese passato. E me ne vo galoppando: buona sera alla signoria vostra.