I Caratteri/I caratteri morali/La tenacità
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22.
LA TENACITÀ
La tenacità1 è difetto di ogni ambizione che comporti spese, e il gretto è cotal uomo che riuscito vittorioso con un coro tragico offre a Dioniso una benda di legno con sopra scrittovi il suo nome2; e quando il popolo fa volontarie offerte in assemblea3, egli alzatosi se ne va via zitto zitto. E allorché marita la figliola, vende le carni della vittima toltene quelle dei sacerdoti, e prende a nolo per le nozze servitori che mangino a casa propria4. E se comanda una trireme stende in corsia le coperte del pilota e mette da parte le proprie5; e quando ci son le feste delle Muse6 è capace di non mandare a scuola i figliuoli, ma dice che sono ammalati affinché non paghino il contributo. E tornando dall’aver fatto la spesa al mercato, porta da sé la carne e gli erbaggi in seno7. E rimane a casa, se ha dato la veste a smacchiare; e se un suo amico fa una colletta8 e gliene è stato parlato9, egli, vedendolo venir da lui, torna indietro da quella strada e va verso casa per la giravolta10. Alla moglie poi che ha portato dote non compera un’ancella, ma per le volte ch’essa esce noleggia al mercato un paggetto che l’accompagni11; e porta calzature che sono state più volte risolate, e dice che sono non meno resistenti del corno12; e quando s’alza, pulisce la casa e rifà i letti; e quando si mette a sedere, rivolta il tabarro che suol portare13 sul braccio.
Alla lettera ἀνελευθερία sarebbe da tradurre con «illiberalità», essendo per appunto il contrario della larghezza di chi dona senza troppo contare o misurare. E però traduco «tenacità», ché tenaci e stretti sono i non liberali e i non larghi, quelli insomma che hanno soverchia prudenza o timore di spendere oltre le forze: e «tenacità» usata per sé sola significa quindi «grettezza». Anche tradurre ἀπουσία è difficile e non c’è dubbio che sia da leggere ἀπουσία: ma Teofrasto vuol dire che la grettezza e tenacità consiste in star lontani, in aborrire d’ogni ambizione che comporti spese. Nell’Etica a Nicomaco di Aristotele il nostro gretto è definito μικροπεπής ed è illustrato cosi: «dopo aver fatto grandi spese, ne perde tutto il merito per una spilorceria».
Un coro tragico, più costoso di un coro comico, di solito era allestito da ricchi cittadini su designazione degli arconti. Il nostro fa le opere che è obbligato a fare per l’allestimento del coro, ma quando poi si tratta di ringraziar gli dèi per la buona riuscita delle feste, allora, potendo decider lui sul dono da fare, lo fa non di oro o di metallo più vile ma addirittura di legno, e non fa iscrivere altro sulla benda di legno che soltanto il suo nome, senza nessuna menzione né del poeta, né degli attori, né della festa che vi si celebrava.
Per non dover loro somministrare anche le vettovaglie.
Leggo ἐν τῶι δήμωι invece di ἐκ τοῦ δήμου, che sembra lezione corrotta dal seguente ἐκ τοῦ μέσου. Ma l’ἐκ τοῦ μέσου è difficile a tradurre, poiché in greco esso dice che il nostro era nel mezzo dell’assemblea e che però se ne va sebbene tutti lo vedano, senza dir nulla. «Levarsi di mezzo» in italiano ha tutt’altro valore.
Comandante della nave era colui che l’aveva a proprie spese allestita. Anche in questo caso l’eroe della tenacità, dopo avere speso per l’armamento e allestimento della trireme, cade nella gretteria delle coperte. Le scuole erano sacre alle Muse, e verosimilmente gli scolari erano tenuti a contribuirvi il dì che ne ricorressero le feste.
Sarà da leggere con i codici più recenti τὰ κρέα αὐτός φέρει «ν» καὶ τὰ λάχανα ecc.
La solita colletta, con l’obbligo di restituzione del danaro senza nessun interesse.
Il participio è passivo ed è indeterminato, come resulta da quel che segue subito dopo.
Traduco così τὴν κύκλωι, giacché in italiano uscir per la giravolta dicesi di chi esce per la più lunga senza che altri se n’avvegga.
Il nostro eroe appartiene alla borghesia danarosa, e però non era possibile che sua moglie uscisse sola per le vie della città come una qualunque altra donna del volgo, ché questi, così impicciosi, erano i costumi di allora. E dunque non gli comprerà una cameriera che stia sempre in casa, ma dal mercato delle donne noleggerà per le sue uscite un paggetto.
Letteralmente: «non sono diverse dal corno».
Sarà certamente, col codice V, ὃν αὐτὸς φορεῖ: e significa che egli porta sulla spalla o a braccio il tabarro per non insudiciarlo. Il verbo φορεῖν è intensivo di φέρειν, ma φέρειν τρίβωνα, «portare un mantello», è forse molto diverso da ἔχειν τρίβωνα che significa anche «indossare il mantello»; e però non è dubbio che Teofrasto voglia qui descriverci il gretto allorché mettendosi a sedere in teatro rivolta il tabarro sul quale poi siede e che del resto egli ha cercato di non indossare neppure, per non sciuparlo. Se dovessimo leggere αὐτὸν come propone Diels sarebbe: lacernam quam ipsam fert, ma il significato non cambierebbe affatto.
- ↑ [p. 126 modifica]Alla lettera ἀνελευθερία sarebbe da tradurre con «illiberalità», essendo per appunto il contrario della larghezza di chi dona senza troppo contare o misurare. E però traduco «tenacità», ché tenaci e stretti sono i non liberali e i non larghi, quelli insomma che hanno soverchia prudenza o timore di spendere oltre le forze: e «tenacità» usata per sé sola significa quindi «grettezza». Anche tradurre ἀπουσία è difficile e non c’è dubbio che sia da leggere ἀπουσία: ma Teofrasto vuol dire che la grettezza e tenacità consiste in star lontani, in aborrire d’ogni ambizione che comporti spese. Nell’Etica a Nicomaco di Aristotele il nostro gretto è definito μικροπεπής ed è illustrato cosi: «dopo aver fatto grandi spese, ne perde tutto il merito per una spilorceria».
- ↑ [p. 126 modifica]Un coro tragico, più costoso di un coro comico, di solito era allestito da ricchi cittadini su designazione degli arconti. Il nostro fa le opere che è obbligato a fare per l’allestimento del coro, ma quando poi si tratta di ringraziar gli dèi per la buona riuscita delle feste, allora, potendo decider lui sul dono da fare, lo fa non di oro o di metallo più vile ma addirittura di legno, e non fa iscrivere altro sulla benda di legno che soltanto il suo nome, senza nessuna menzione né del poeta, né degli attori, né della festa che vi si celebrava.
- ↑ [p. 126 modifica]Per non dover loro somministrare anche le vettovaglie.
- ↑ [p. 126 modifica]Leggo ἐν τῶι δήμωι invece di ἐκ τοῦ δήμου, che sembra lezione corrotta dal seguente ἐκ τοῦ μέσου. Ma l’ἐκ τοῦ μέσου è difficile a tradurre, poiché in greco esso dice che il nostro era nel mezzo dell’assemblea e che però se ne va sebbene tutti lo vedano, senza dir nulla. «Levarsi di mezzo» in italiano ha tutt’altro valore.
- ↑ [p. 126 modifica]Comandante della nave era colui che l’aveva a proprie spese allestita. Anche in questo caso l’eroe della tenacità, dopo avere speso per l’armamento e allestimento della trireme, cade nella gretteria delle coperte.
- ↑ [p. 127 modifica]Le scuole erano sacre alle Muse, e verosimilmente gli scolari erano tenuti a contribuirvi il dì che ne ricorressero le feste.
- ↑ [p. 127 modifica]Sarà da leggere con i codici più recenti τὰ κρέα αὐτός φέρει «ν» καὶ τὰ λάχανα ecc.
- ↑ [p. 127 modifica]La solita colletta, con l’obbligo di restituzione del danaro senza nessun interesse.
- ↑ [p. 127 modifica]Il participio è passivo ed è indeterminato, come resulta da quel che segue subito dopo.
- ↑ [p. 127 modifica]Traduco così τὴν κύκλωι, giacché in italiano uscir per la giravolta dicesi di chi esce per la più lunga senza che altri se n’avvegga.
- ↑ [p. 127 modifica]Il nostro eroe appartiene alla borghesia danarosa, e però non era possibile che sua moglie uscisse sola per le vie della città come una qualunque altra donna del volgo, ché questi, così impicciosi, erano i costumi di allora. E dunque non gli comprerà una cameriera che stia sempre in casa, ma dal mercato delle donne noleggerà per le sue uscite un paggetto.
- ↑ [p. 127 modifica]Letteralmente: «non sono diverse dal corno».
- ↑ [p. 127 modifica]Sarà certamente, col codice V, ὃν αὐτὸς φορεῖ: e significa che egli porta sulla spalla o a braccio il tabarro per non insudiciarlo. Il verbo φορεῖν è intensivo di φέρειν, ma φέρειν τρίβωνα, «portare un mantello», è forse molto diverso da ἔχειν τρίβωνα che significa anche «indossare il mantello»; e però non è dubbio che Teofrasto voglia qui descriverci il gretto allorché mettendosi a sedere in teatro rivolta il tabarro sul quale poi siede e che del resto egli ha cercato di non indossare neppure, per non sciuparlo. Se dovessimo leggere αὐτὸν come propone Diels sarebbe: lacernam quam ipsam fert, ma il significato non cambierebbe affatto.