I Caratteri/I caratteri morali/La superstizione
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16.
LA SUPERSTIZIONE
La superstizione invero parrebbe essere timidezza verso la divinità1, e il superstizioso cotal uomo che lavatesi le mani2 e aspersosi di acquasanta e messosi in bocca una foglia di alloro3, così cammina tutto il giorno. E se una donnola gli attraversa la via4, non va innanzi prima che passi alcuno o che abbia egli stesso gittato tre sassi di là dalla strada. E se vede in casa un serpente di color rosso invoca Sabazio, ma se è una vipera fa in quel luogo erigere un tempietto; e quando passa accanto a quelle pietre unte che sono nei trivii vi sparge olio dall’ampolla e caduto ginocchioni e adoratole se ne va5. E se i topi6 han rosicchiato un sacco di farina, egli va dall’interprete a dimandare quel che bisogni fare e se gli risponde che lo dia da rattoppare al cuoiaio non presta fede a coteste parole, ma dissuaso dalla paura7 lo butta via. Ed è capace di purificar spesso la sua casa, dicendo che Ecate8 la frequenta; è se mentre egli cammina ci son civette9, si conturba, e, detto: E più forte Athena, solo così10 va innanzi. E non vuole passare sopra una sepoltura, né andare a’ mortorii o da una partoriente, ma dice che gl’importa di non contaminarsi; e il quattro e il sette del mese11 ordinato di cuocere il vino per la famiglia, esce a comprar mirto, incenso e tasso, e rientrato in casa si mette a inghiriandare gli Ermafroditi tutto il giorno. E quand’abbia avuto un sogno, se ne va dagl’interpreti dei sogni dagl’indovini dagli àuguri a chiedere a qual dio o dea debba far voti. E per iniziarsi ai misteri va tutti i mesi dagli Orfeotelesti12 insieme con la moglie, e se sua moglie non ha tempo ci va con la balia e i bambini13; e parrebbe esser di quelli che si lavano accuratamente con acqua di mare14. E se mai vede incoronata di aglio una delle divinità che sono nei trivii15 ritorna a casa e si lava da capo a piedi, e chiamate le sacerdotesse16 le prega di purificarlo passandogli intorno il cagnolino17. E se poi vede un pazzo o un epilettico, rabbrividisce e si sputa in seno18.
Nell’etica aristotelica non c’è posto per la superstizione, poiché Aristotele si preoccupa soltanto delle virtú e difetti pertinenti ai rapporti tra uomo e uomo. Ad ogni modo, Teofrasto descrive la figura del superstizioso per quel che di ridicolo c’è in lui, per il suo aspetto comico che deriva anzitutto da mancanza di tatto. La definizione greca δειλία πρὸς τὸ δαιμόνιον è tradotta egregiamente da Cicerone nel «De natura deorum» così: superstitionem... in qua inest timor inanis deorum. E Cicerone dice anche che eran chiamati superstitios: quelli che tuttodì pregavan gli dèi che i propri figliuoli sopravvivessero loro, fossero supertites, e poi il vocabolo ebbe significato più largo.
Il solo codice V ha, prima di «lavarsi le mani», la lezione ἐπιχρωνῆν, che a lasciarla qual’è sarebbe vocabolo nuovo e di dubbio significato, e probabilmente è glossa: ἐπὶ κρήνηι, «alla fonte». Preferisco non tradurre e la cancello dal testo: ma avverto che assai probabilmente ἀπονιψάμενος significa «lavatesi le mani dopo pranzo».
L’alloro era contro la iettatura perché profilattico per eccellenza. E Suetonio racconta che Tiberio quando il cielo minacciava temporale usciva con la corona di alloro in Capo: numquam non coronam lauream capite gestavit, e l’alloro gli faceva da... parafulmine. Qualcuno legge δάφνης, genitivo partitivo.
Potrebb’essere anche un gatto, la γαλῆ: e la superstizione è viva ancor oggi.
La superstizione è fatta di ubbíe, di pregiudizi con paura. E ci sembrano ridicole le ubbíe di ieri, ma sono altrettanto ridicole anche le nostre di oggi.
Potremmo, da papiri greci di appena cinquant’anni posteriori a Teofrasto, addurre esempi di μῦς singolare collettivo. Perciò traduciamo con sicurezza «i topi».
I codici hanno ἀποτραπεὶς ἐκδύσασθαι (o anche ἐκλύσασθαι); e mantengo la lezione che è chiara: giacché ἀποτραπείς significa «dissuaso dalla paura», ed ἐκδύσασθαι «buttar lontano», excutere procul a se. Ecate era dea della magia. Nota però che io ho tradotto ἐπαγωγή con «frequenza», ma ἐπαγωγή designa il potere di «attirare» il malocchio contro qualcuno, ed era il potere delle fattucchiere e dei negromanti.
Non è necessario integrar vocaboli: si sottintende agevolmente il verbo essere.
Athena era la dea protettrice di Atene, e le erano sacre le civette. Più innanzi l’οὕτω è adoperato nel senso di «dopo aver fatto e detto così», con uso popolare.
Il quattro del mese era giorno sacro a Ermete e ad Afrodite, i cui figliuoli erano gli Ermatroditi. Ma che c’entri il giorno sette non sappiamo, e poco sappiamo anche del culto degli Ermafroditi.
Eran sacerdoti che iniziavano ai misteri orfici e promettevano a chi praticasse il rito la felicità nella vita futura. Il superstizioso è anche pinzóchero.
Non sono necessarie, anzi sono impicciose, le parentesi. Alla fine, leggo non παίδων ma παιδίων, poiché c’è la balia.
L’acqua di mare pareva agli antichi che avesse virtù purificatrici. E allora, in antico, non c’era un’industria balneare sulle spiagge... A ogni modo il «parrebbe essere» che interrompe bruscamente la uniformità del dettato teofrasteo non nasconde un rimaneggiamento del testo, ma colorisce con ironia la figura del superstizioso. Ah! cotesti praticanti di filologia che scorgono dovunque... tartufi!
Traduco cosî e intendo che sia coronata di aglio una delle divinità dei trivii e crocicchi: il che significava, per le virtù profilattiche dell’aglio, che il luogo era infetto. Altre interpretazioni non mi sembrano possibili.
Erano le piatrices, donne vecchie e volgari, vere e proprie fattucchiere.
Leggo σκύλακι soltanto: σκίλληι ἢ, come vide il Wilamowitz è glossa, poiché σκίλλη chiamavasi il cane sacro ad Ecate e che le fattucchiere tenevano in serbo per le cerimonie magiche. Nel verbo περικαθᾶραι, «purificare intorno», è espresso il modo come avveniva la purgazione, cioè «passando intorno» il cagnolino.
Si sputavano in seno tre volte gli antichi per scacciare il malocchio.
Note
- ↑ [p. 116 modifica]Nell’etica aristotelica non c’è posto per la superstizione, poiché Aristotele si preoccupa soltanto delle virtú e difetti pertinenti ai rapporti tra uomo e uomo. Ad ogni modo, Teofrasto descrive la figura del superstizioso per quel che di ridicolo c’è in lui, per il suo aspetto comico che deriva anzitutto da mancanza di tatto. La definizione greca δειλία πρὸς τὸ δαιμόνιον è tradotta egregiamente da Cicerone nel «De natura deorum» così: superstitionem... in qua inest timor inanis deorum. E Cicerone dice anche che eran chiamati superstitios: quelli che tuttodì pregavan gli dèi che i propri figliuoli sopravvivessero loro, fossero supertites, e poi il vocabolo ebbe significato più largo.
- ↑ [p. 116 modifica]Il solo codice V ha, prima di «lavarsi le mani», la lezione ἐπιχρωνῆν, che a lasciarla qual’è sarebbe vocabolo nuovo e di dubbio significato, e probabilmente è glossa: ἐπὶ κρήνηι, «alla fonte». Preferisco non tradurre e la cancello dal testo: ma avverto che assai probabilmente ἀπονιψάμενος significa «lavatesi le mani dopo pranzo».
- ↑ [p. 116 modifica]L’alloro era contro la iettatura perché profilattico per eccellenza. E Suetonio racconta che Tiberio quando il cielo minacciava temporale usciva con la corona di alloro in Capo: numquam non coronam lauream capite gestavit, e l’alloro gli faceva da... parafulmine. Qualcuno legge δάφνης, genitivo partitivo.
- ↑ [p. 116 modifica]Potrebb’essere anche un gatto, la γαλῆ: e la superstizione è viva ancor oggi.
- ↑ [p. 116 modifica]La superstizione è fatta di ubbíe, di pregiudizi con paura. E ci sembrano ridicole le ubbíe di ieri, ma sono altrettanto ridicole anche le nostre di oggi.
- ↑ [p. 116 modifica]Potremmo, da papiri greci di appena cinquant’anni posteriori a Teofrasto, addurre esempi di μῦς singolare collettivo. Perciò traduciamo con sicurezza «i topi».
- ↑ [p. 116 modifica]I codici hanno ἀποτραπεὶς ἐκδύσασθαι (o anche ἐκλύσασθαι); e mantengo la lezione che è chiara: giacché ἀποτραπείς significa «dissuaso dalla paura», ed ἐκδύσασθαι «buttar lontano», excutere procul a se.
- ↑ [p. 117 modifica]Ecate era dea della magia. Nota però che io ho tradotto ἐπαγωγή con «frequenza», ma ἐπαγωγή designa il potere di «attirare» il malocchio contro qualcuno, ed era il potere delle fattucchiere e dei negromanti.
- ↑ [p. 117 modifica]Non è necessario integrar vocaboli: si sottintende agevolmente il verbo essere.
- ↑ [p. 117 modifica]Athena era la dea protettrice di Atene, e le erano sacre le civette. Più innanzi l’οὕτω è adoperato nel senso di «dopo aver fatto e detto così», con uso popolare.
- ↑ [p. 117 modifica]Il quattro del mese era giorno sacro a Ermete e ad Afrodite, i cui figliuoli erano gli Ermatroditi. Ma che c’entri il giorno sette non sappiamo, e poco sappiamo anche del culto degli Ermafroditi.
- ↑ [p. 117 modifica]Eran sacerdoti che iniziavano ai misteri orfici e promettevano a chi praticasse il rito la felicità nella vita futura. Il superstizioso è anche pinzóchero.
- ↑ [p. 117 modifica]Non sono necessarie, anzi sono impicciose, le parentesi. Alla fine, leggo non παίδων ma παιδίων, poiché c’è la balia.
- ↑ [p. 117 modifica]L’acqua di mare pareva agli antichi che avesse virtù purificatrici. E allora, in antico, non c’era un’industria balneare sulle spiagge... A ogni modo il «parrebbe essere» che interrompe bruscamente la uniformità del dettato teofrasteo non nasconde un rimaneggiamento del testo, ma colorisce con ironia la figura del superstizioso. Ah! cotesti praticanti di filologia che scorgono dovunque... tartufi!
- ↑ [p. 117 modifica]Traduco cosî e intendo che sia coronata di aglio una delle divinità dei trivii e crocicchi: il che significava, per le virtù profilattiche dell’aglio, che il luogo era infetto. Altre interpretazioni non mi sembrano possibili.
- ↑ [p. 117 modifica]Erano le piatrices, donne vecchie e volgari, vere e proprie fattucchiere.
- ↑ [p. 117 modifica]Leggo σκύλακι soltanto: σκίλληι ἢ, come vide il Wilamowitz è glossa, poiché σκίλλη chiamavasi il cane sacro ad Ecate e che le fattucchiere tenevano in serbo per le cerimonie magiche. Nel verbo περικαθᾶραι, «purificare intorno», è espresso il modo come avveniva la purgazione, cioè «passando intorno» il cagnolino.
- ↑ [p. 117 modifica]Si sputavano in seno tre volte gli antichi per scacciare il malocchio.