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teofrasto |
ci va con la balia e i bambini13; e parrebbe esser di quelli che si lavano accuratamente con acqua di mare14. E se mai vede incoronata di aglio una delle divinità che sono nei trivii15 ritorna a casa e si lava da capo a piedi, e chiamate le sacerdotesse16 le prega di purificarlo passandogli intorno il cagnolino17. E se poi vede un pazzo o un epilettico, rabbrividisce e si sputa in seno18.
Nell’etica aristotelica non c’è posto per la superstizione, poiché Aristotele si preoccupa soltanto delle virtú e difetti pertinenti ai rapporti tra uomo e uomo. Ad ogni modo, Teofrasto descrive la figura del superstizioso per quel che di ridicolo c’è in lui, per il suo aspetto comico che deriva anzitutto da mancanza di tatto. La definizione greca δειλία πρὸς τὸ δαιμόνιον è tradotta egregiamente da Cicerone nel «De natura deorum» così: superstitionem... in qua inest timor inanis deorum. E Cicerone dice anche che eran chiamati superstitios: quelli che tuttodì pregavan gli dèi che i propri figliuoli sopravvivessero loro, fossero supertites, e poi il vocabolo ebbe significato più largo.
Il solo codice V ha, prima di «lavarsi le mani», la lezione ἐπιχρωνῆν, che a lasciarla qual’è sarebbe vocabolo nuovo e di dubbio significato, e probabilmente è glossa: ἐπὶ κρήνηι, «alla fonte». Preferisco non tradurre e la cancello dal testo: ma avverto che assai probabilmente ἀπονιψάμενος significa «lavatesi le mani dopo pranzo».
L’alloro era contro la iettatura perché profilattico per eccellenza. E Suetonio racconta che Tiberio quando il cielo minacciava temporale usciva con la corona di alloro in Capo: numquam non coronam lauream capite gestavit, e l’alloro gli faceva da... parafulmine. Qualcuno legge δάφνης, genitivo partitivo.
Potrebb’essere anche un gatto, la γαλῆ: e la superstizione è viva ancor oggi.
La superstizione è fatta di ubbíe, di pregiudizi con paura. E ci sembrano ridicole le ubbíe di ieri, ma sono altrettanto ridicole anche le nostre di oggi.
Potremmo, da papiri greci di appena cinquant’anni posteriori a Teofrasto, addurre esempi di μῦς singolare collettivo. Perciò traduciamo con sicurezza «i topi».
I codici hanno ἀποτραπεὶς ἐκδύσασθαι (o anche ἐκλύσασθαι); e mantengo la lezione che è chiara: giacché ἀποτραπείς significa «dissuaso dalla paura», ed ἐκδύσασθαι «buttar lontano», excutere procul a se.
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