I Caratteri/I caratteri morali/La loquacità

I caratteri morali - La loquacità

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Teofrasto - I Caratteri (Antichità)
Traduzione dal greco di Goffredo Coppola (1945)
I caratteri morali - La loquacità
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3.


LA LOQUACITÀ

La loquacità è un infilar discorsi lunghi e inconsiderati; e tale è il parolaio che postosi a sedere presso ad uno che non conosce fa in primo luogo gli elogi della propria moglie, poi gli racconta il sogno che ha fatto la notte, indi gli enumera partitamente quel ch’egli ebbe a pranzo. Appresso, tirando innanzi il conto1, si mette a dire che la gente d’oggi è molto peggiore dell’antica2; e che a buon prezzo si sono venduti i grani in piazza; e che in città sono molti forastieri; e che il mare dopo le feste Dionisie sarà navigabile; e che se Zeus manderà3 più acqua il raccolto sarà migliore; e che il suo podere ei lo lavorerà col nuovo anno, e che la vita è difficile, e che Domippo per la solennità dei Misteri ha posto la maggior fiaccola4. E... Quante sono le colonne dell’Odéon?Ieri ho vomitato.!Che giorno è oggi? E se gli si dà corda5. [p. 85 modifica]non se ne va più; e... che di boedromióne, in settembre, ricorrono i Misteri; di pianopsióne, in ottobre, le feste Apaturie; di posideóne, in dicembre, le feste Dionisie della campagna. E però bisogna che a braccia sciolte e a gambe levate6 fugga lontano da cotesta gente chi vuol essere senza febbre7, poiché è fatica reggerla con chi non fa distinzione tra ozio e negozio8.

Traduco così, ma letteralmente sarebbe re procedente, che è meno e più. Quanto poi al nome greco ἀδολέσχης, ricorda che ἀδολεσκεῖν nei Sacri Libri vale meditari, contemplari, exercere, ma che in senso morale è la medesima cosa che nugatio o garrulitas.

Gli «antichi» popolarmente e volgarmente erano sinonimi di simplices stulti inepti, come leggesi in Aristofane.

Letteralmente: si Iuppiter aquam fecerit...

Sono le feste dei Misteri di Cerere, che cominciavano il quindici del mese boedromione e duravano nove giorni, con nel quinto giorno la festa delle fiaccole. Le Apaturie duravano tre giorni, e nell’ultimo giorno s’iscrivevano i fanciulli nei registri delle curie.

ὑπομένειν, pati, ferre. [p. 86 modifica]

Note

  1. [p. 93 modifica]Traduco così, ma letteralmente sarebbe re procedente, che è meno e più. Quanto poi al nome greco ἀδολέσχης, ricorda che ἀδολεσκεῖν nei Sacri Libri vale meditari, contemplari, exercere, ma che in senso morale è la medesima cosa che nugatio o garrulitas.
  2. [p. 93 modifica]Gli «antichi» popolarmente e volgarmente erano sinonimi di simplices stulti inepti, come leggesi in Aristofane.
  3. [p. 93 modifica]Letteralmente: si Iuppiter aquam fecerit...
  4. [p. 93 modifica]Sono le feste dei Misteri di Cerere, che cominciavano il quindici del mese boedromione e duravano nove giorni, con nel quinto giorno la festa delle fiaccole. Le Apaturie duravano tre giorni, e nell’ultimo giorno s’iscrivevano i fanciulli nei registri delle curie.
  5. [p. 93 modifica]ὑπομένειν, pati, ferre.
  6. Il nostro Del Riccio aveva già tradotto benissimo «bisogna dunque che a braccia sciolte e a gambe stese si metta a fuggir da questa gente, chi vuole star senza febbre... «ma non è possibile, nel testo, l’accusativo τοὺς τοιούτους, il quale non può dipendere dal παρασείσαντα, «agitando le braccia», e neppure dall’ἀπαλλάττεσθαι Poiché διαράμενον significa «aprendo a tutta possa», e dunque altro mezzo non c’è di giustificare l’accusativo sopraccitato, mi sembra lecito correggere τοὺς τοιούτους in τοιούτων τῶν ἀνθρώπων, nei codici i quali hanno τοὺς τοιούτους τῶν ἀνθρώπων. Pasquali non so che difficoltà abbia creduto di vedere in quel passo per poi giudicarlo di origine bizantina, senz’affatto badare alla possibilità della correzione resa del resto necessaria dal τοὺς τοιούτους τῶν ἀνθρώπων che anch’esso è errato; e invece si tratta, forse, di cosa assai più semplice, si tratta dell’errore di un copista che ha voluto accordare τοὺς τοιούτους con παρασείσαντα. L’uso del παρασείειν come Pasquali osserva, è aristotelico: grandi gradu fugere, aperientem seu distendentem crura; e il διαράμενον corrisponde al demissis manibus (fugere) di Plauto Epidicus.
  7. Leggi nella satira del seccatore di Orazio cum sudor ad imos manaret talos. La febbre procura sudore.
  8. Probabilmente, quando Teofrasto componeva questo terzo carattere rammentavasi di quel che Plutarco racconta di Aristotele, il quale, tormentato da un parolaio che gli faceva lunghi e tediosi discorsi e interrogato di tratto in tratto dalla domanda «non è ciò assai strano o Aristotele?», rispose alla fine, non potendone più, «no, non è strano, ma è strano invece che chi ha i piedi per correre tolleri te e le tue ciarle». Naturalmente queste cose Teofrasto non le leggeva in Plutarco che è piú giovane di tre secoli, ma le conosceva perché qualcuno le raccontava o Aristotele stesso le aveva raccontate a lezione. Ho tradotto «ozio e negozio» alla latina.