Il Duomo

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Il Palazzo La Purità
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IL DUOMO

Volendo gli Udinesi nel 1366. erigere il duomo, scelsero ad architetto cotal Pietro Paolo da Venezia, artefice di gran credito, poichè fu necessaria la permissione del doge di lasciarnelo venire. Quello che tiene del singolare si è ch’essi chiesero, che il doge stesso, per loro di que’ tempi principe estero, si rendesse mallevadore dei patti da fermarsi infra loro e l’architettore1. Nel 1540. il patriarca Marino Grimani eccitò i deputati a rimodernar il coro, ch’era troppo ristretto. Giovanni da Udine ne formò allora il disegno, ma non soddisfece il genio dei deputati, i quali deliberarono invano di chiamare da Venezia il Sansovino in sua vece2. Quante pero a’ tempi [p. 20 modifica]così providi e favorevoli alle belle arti non fessi, si pensò al principio del secol decimosettimo di mandare ad effetto. Il merito principale in ciò attribuir debbesi ai patrizii Manini, che si mostrarono udinesi, per l’affetto al paese natìo, e veneziani per la grandiosità dell’impresa. Essi, quantunque privati, si offersero di rinovar il coro a proprie spese, senza pretendere, nè volere diritto alcuno di proprietà o di preminenza3, null’altro riserbandosi fuorchè lo stemma, e la tomba. La città accolse sì degna offerta, e sì liberale, e al tempo stesso l’impegno si assunse di riformare tutto il restante. Correva allora l’epoca sfortunata, in cui lo stile d’ornamento, e teatrale veniva al puro e semplice sostituito. Molte chiese di questa maniera eransi costruite in Venezia, quelle fra l’altre dei Gesuiti e degli Scalzi. I suddetti Manini nella prima4 tesori profondevano immensi, e nell’altra ergevan per essi una cappella ricchissima impiegando gli artisti, che allora primeggiavano, e che erano i propagatori del nuovo stile. Affidarono quindi anche il duomo d’Udine a’ medesimi artefici, che sciaguratamente vi portarono lo stesso gusto malvagio. Ciò per altro non è da ascriversi loro a colpa poichè essi furono mecenati zelanti e generosi, e non artisti. Molti monumenti di scultura e pittura sonosi perduti nel ristauro, come accader suole pressochè sempre. Fra questi è da annoverarsi la maggior cappella, cui il patriarca Bertrando avea fatta dipingere5, e l’altra di san [p. 21 modifica]Nicolò, dove vedessi il fresco, in cui stavano effigiati Dante, Petrarca, il Boccaccio, e Giovanni da Imola: lo che ha dato origine alla trita favola, che cotesti letterati siansi trovati in Udine contemporaneamente6. Domenico Rossi, architetto, che levava alto grido di que’ tempi, e che aveva disegnata fra le altre la chiesa dei Gesuiti7, quegli si fu, che diede il modello, sul quale riformar davessi il corpo dal duomo8; ma non è suo fallo, se la navata di mezzo stretta rimase soverchiamente, avendosi egli dovuto attendere all’antica ossatura. Il coro è magnifico fatto a bella posta per le auguste funzioni, che vi si celebrano. Se non che quella selva di statue, quei finti panni scendenti dall’alto, quei fiori e festoni, che portano gli angioletti, quelle pelli di lione, che stendonsi sulle tombe, costituiscono un complesso pittorico, è vero, ma troppe assomigliantesi ad una scena. Giuseppe Torretti ebbe la direzione delle statue tutte dal coro. Egli scelse per se l’Annunziata ed il patriarca Bertrando, opera di fantasia, e precindendo dallo stile, molto ben lavorata, avendo le altre lasciate ad artefici minori, stati la più parte giù suoi compagni ai Gesuiti9. Son dessi Pietro Baratta, Francesco Cabianca, Marino Prepoto, Antonio Corradini, Francesco Bonazza, e Matteo Coldarone. Architettava i due altari laterali, disegno il più stravagante, il frate Giuseppe Pozzo carmelitano scalzo10. Nel soffitto figurò Luigi Doriguy a fresco [p. 22 modifica]in varii compartimenti il paradiso, fingendo in ognuno un gruppo di santi, e nella cupola, che parò è guasta dai ritocchi, l’eterno Padre. L’opera è dottissima, bene inventata e meglio composta. Superbe sono alcune figure, fra le quali merita particolar menzione l’angelo, che apparisce a san Matteo di amabile fisonomia, dolce, leggiero, che sembra volare veracemente. Peccato che vi trapeli anche in alcuni di quei beati spiriti l’affettazione francese. Dello stesso sonvi nel coro interno degli angeli cogli emblemi della passione, e le due gran tele laterali, che sotto alcune allegorìe le vittorie ricordano della Religione, ma esse son’ a olio, e in simil genere di dipintura egli non si dimostrò felice quanto a fresco. Gli stucchi sono di Abbondio Stazio da Como, venuto egli pure da Venezia. Dietro l’altare si ammira la tomba del beato Bertrando, ch’egli avea fatta scolpire per rinchiudervi l’ossa de’ santi Ermagora e Fortunato, de’ quali con rozzo stile è figurato il martirio, e che poscia servì per lui stesso11. Era questo monumento sepolcrale, pria della rinnovazione, per diversa maniera disposto12. La tomba, fra le altre cose venia soffulta da sei Cariatidi, le quali al presente si serbano oziose, e niun peso portanti, nel vicin coro jemale. I due grandi depositi, situati lateralmente, sono della famiglia Manina13. Gli stalli, che dissotto stannosi, uno coll’insegne [p. 23 modifica]patriarcali, l’altro con quelle del veneto governo, esprimenti molti fatti scritturali, vennero scolpiti dall’udinese Francesco Picchi, e i putti ed i termini da Matteo Calderone. Erano gli antichi organi per le pitture famosi di Pellegrino, del Pordenone, dell’Amalteo, del Floriani, ed eziandio per quelle del Grassi. Ma essendosi formati i nuovi, sullo stile allora di moda si sparsero esse in varii pubblici luoghi, e vi restarono quelle soltanto, che fregiavano la cantorìa. Furono però assoggettate alla barbara operazion di Procuste. Alcune, perchè adoperarle non si credette, andarono salve, ma urtarono nell’altro scoglio del pari fatale, se non più, di essere da temerario pennello orrendamente ritocche. Il primo adunque, chiamato organo della sacrestia, mostra le gesta de’ santi Ermagora e Fortunato, famigerata fattura del Pordenone.14 È da notarsi i tre ultimi essere copie. Vi ha storie di Gesù Cristo eseguite da Francesco Floriani, e da Gio: Battista Grassi15 sull’organo opposto. Nella cappella del Sagramento dipinse Gio: Battista Tiepolo16 in due compartimenti a chiaroscuro storie allusive a questo augusto mistero tratte dalla Scrittura sacra, e nel catino degli angioletti in atto di adorazione. Che se al tutto angeliche non ne sono le forme, lo è certo il colorito. Appesi alla parete s’affacciano agli occhi de’ riguardanti i profanatori del tempio dell’Amalteo, [p. 24 modifica]che formavano le portelle del secondo organo17. L’ammanieratissima tavola, che vien dietro, aventa il Battista, e sant’Eustachio è di Francesco Fontebasso, e le due seguenti dei santi Ermagora e Fortunato, e del Crocefisso sono del Tiepolo prelodato. La probatica piscina, e la risurrezion di Lazaro dell’Amalteo veggonsi nel fondo della navata, e il rovescio costituiscono dell’altro sovraccitato. Sopra la porta maggiore stassi la statua equestre dorata del capitano Daniele Antonini, che oltre d’aver, come notammo, nel pubblico palazzo il busto erettogli dalla città, ebbe del riconoscente senato l’onor della statua nella cattedrale, l’anno 161718. L’una delle vasche per l’acqua santa merita qualche osservazione per le buone sculture ond’è adorna, dell’aureo cinquecento. Passando all’altra navata s’offre primo Maffeo da Verona, che in due quadri condusse lo sposalizio di Maria vergine, e il transito del santo di lei sposo. Pellegrino, e Giovanni Martini vennero quivi al paragon de’ pennelli. Dell’uno è la primiera tavola con san Marco, e la seconda con san Giuseppe dell’altro. La vittoria, che Pellegrino riportò, più non ravvisasi, attesi i molti ridipinti, cui è andato soggetto, e per essere le tavole predette amendue mutilate nel rifacimento del duomo19. Forman parò basamento alla pala di Pellegrino, non tocchi ancora, due graziosissimi quadretti, di cui l’uno la fuga in [p. 25 modifica]Egitto, e l’altro esprime l’adorazion dei pastori. Finalmente l’altare delle Reliquie di architettura del trivigiano conte Francesco Riccati, con ai lati due dottori della chiesa, sufficienti statue, lavoro di scarpel veneziano, non però ammanierato, ha il soffitto, dove effigiati stan molti santi di Pierantonio Novelli. Questi, senza curarsi granfatto della verità del disegno, e del colorito per facile modo ed armonico lo improvvisò. Il medesimo figurò pure i santi Nicolò e Girolamo nell’altro altare, in cui leggesi inscritto il suo nome, e il millesimo 1791, essendo la prima eseguita un anno innanzi20. In ambe queste navate i soffitti in ogni cappella variati sono eccellentemente coloriti da Andrea Urbanis di Padova. Lo stile ad ogni modo più si converrebbe ad appartamento profano, che a chiesa. Gli altari candidi e uguali, ma soverchiamento pesanti, sono scolpiti dal Massari.

Nella seconda delle moltiplici sagristie, in cui rinviensi la statua della Vergine del Torretti, Pietro Antonio Novelli condusse il soffitto e i laterali, quello a colori, questi a chiaroscuro. Quello raffigura la Religione cogli evangelisti; in questi i fasti della chiesa aquilejese riscontransi espressi21. La prospettiva [p. 26 modifica]però non è di lui, ma è di Giuseppe Morelli ornatista vivente, stabilitosi in Udine. Dalle iscrizioni, che apposte trovansi alle medesime, risulta avere avuto il suo termine nel 1790. Nella terza sacrestia stanno in deposito consegnati dalla città ai canonici, i quadri del Pordenone e del Grassi, che formavano la cantoria degli organi22, ma dessi, come si disse, son restaurati. Passando ora al coro d’inverno, veggonsi dalle preziose antiche tavole, che adornavano il vecchio duomo colle imprese del beato Bertrando. Fra queste una ve n’ha rarissima di Domenico da Tolmezzo colla Vergine, ed alcuni santi23. Uscendo adesso dalla chiesa, è degna d’essere osservata la vetustissima porta maggiore, tutta adorna di sculture, cui per bizzarro contrasto aggiunte stanno le due altre licenziosissime e barbare porte. L’una delle due laterali, che danno entrata sotto agli organi, scolpita tiene l’immagine della Madonna, opera unica di Carlo da Udine24.

Resta ora da esaminarsi il campanile. Si cominciò esso ad erigere l’anno 1442. da Cristoforo da Milano artefice di vaglia25. La pianta è esagona, ed è così grande il principio, e sì massiccie ne sono le fondamenta, che minacciava di vincere in altezza il vicino castello, e di alzarsi al cielo, quanto la torre [p. 27 modifica]di Babele. Al paro però di questa, restossi anch’esso imperfetto, non già per miracolo, ma semplicemente per mancanza di denari. Quindi in modo sconcio, ed informe coperto venne, e vi si fece il sito pei sacri bronzi. È perduta ogni traccia del come esso andar dovesse a finire, secondo la idea primitiva. Il perchè innominati moderni architetti rassegnarono un respettivo lor piano per terminarlo26. Le campane furono fuse nel mille e cinquecento da Antonio di Salò, e da Girardo da Martini Lorenese27; ma quelle, che attualmente suonano, riconoscono a fonditori, giusta l’iscrizione che lor gira attorno, Pietro e Bernardino Franchi udinesi.

Note

  1. Doc. VII. a
  2. Storia 119.
  3. Storia 144.
  4. Moschini Guida di Venezia p. 1. 662.
  5. Palladio historia par. 1. 337.
  6. Storia 265.
  7. Moschini p. 1. 661.
  8. Fabbrica del duomo nuovo. T. X. f. 152. Negli archivii municipali.
  9. Moschini p. 1. 662, e Cicognara T. 3. 106.
  10. Storia 145.
  11. Palladio historie p. 1. 349
  12. Vedi nei Bollandisti; Acta sanctorum Junii T. 1. pag. 178. Antverpiae 1639; in cui vi è la suddetta tomba incisa nel 1612. da Enrico Causè.
  13. Vedi le iscrizioni che si trovano nella Patria del Friuli 27.
  14. Storia 140.
  15. Idem. 129, 168.
  16. Nel sovracitato volume intitolato: Fabbrica nuova del duomo c. 53. vi è l’invito, che fa a lui la città al 1726.
  17. Storia 224.
  18. Palladio historie p. 2. pag. 256. La patria del Friuli sec. 30. Capodagli 184, e Moisesso Historia dell’ultima guerra nel Friuli, Venezia 1623 pag. 82. dove nell’uno e nell’altro vi è l’iscrizione che sta dissotto a questo monumento.
  19. Storia 180.
  20. Lettera del pittore stesso esistente nei manoscritti di monsignor Renaldis.
  21. Siccome i fasti della chiesa aquilejense non sono generalmente noti, così daremo dietro la lettera, qui sopra citata, la loro spiegazione. Nel primo ripartimento adunque si rappresenta la consecrazione di sant’Ermagora, nel secondo san Valeriano vescovo d’Aquileja, che presiede a un concilio. Il terzo ha san Cromazio, che predica. Il quarto Carlo magno in conferenza con san Paolino; il quinto il patriarca Popone, cui si legge un diploma. Viene per sesto il beato Bertrando, che dispensa l’elemosina ai poveri; ed i due ultimi mostrano il patriarca Barbaro tenente un sinodo provinciale; e la soppressione del patriarcato.
  22. Storia 197. 237.
  23. Idem. 169.
  24. Idem. 160.
  25. Doc. VIII. a
  26. Appeso ad una stanza municipale vedesi il campanile per intero disegnato, e appiedi vi è l’iscrizione seguente: Gio: Battista Calegari Luganese inventò e disegnò, anno 1792.
  27. Ex actis Civit. T. 9. pag. 38. 152.