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così providi e favorevoli alle belle arti non fessi, si pensò al principio del secol decimosettimo di mandare ad effetto. Il merito principale in ciò attribuir debbesi ai patrizii Manini, che si mostrarono udinesi, per l’affetto al paese natìo, e veneziani per la grandiosità dell’impresa. Essi, quantunque privati, si offersero di rinovar il coro a proprie spese, senza pretendere, nè volere diritto alcuno di proprietà o di preminenza1, null’altro riserbandosi fuorchè lo stemma, e la tomba. La città accolse sì degna offerta, e sì liberale, e al tempo stesso l’impegno si assunse di riformare tutto il restante. Correva allora l’epoca sfortunata, in cui lo stile d’ornamento, e teatrale veniva al puro e semplice sostituito. Molte chiese di questa maniera eransi costruite in Venezia, quelle fra l’altre dei Gesuiti e degli Scalzi. I suddetti Manini nella prima2 tesori profondevano immensi, e nell’altra ergevan per essi una cappella ricchissima impiegando gli artisti, che allora primeggiavano, e che erano i propagatori del nuovo stile. Affidarono quindi anche il duomo d’Udine a’ medesimi artefici, che sciaguratamente vi portarono lo stesso gusto malvagio. Ciò per altro non è da ascriversi loro a colpa poichè essi furono mecenati zelanti e generosi, e non artisti. Molti monumenti di scultura e pittura sonosi perduti nel ristauro, come accader suole pressochè sempre. Fra questi è da annoverarsi la maggior cappella, cui il patriarca Bertrando avea fatta dipingere3, e l’altra di san Ni-

  1. Storia 144.
  2. Moschini Guida di Venezia p. 1. 662.
  3. Palladio historia par. 1. 337.