Guerino detto il Meschino/Capitolo XXVII

Capitolo XXVII

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CAPITOLO XXVII.


Come il Meschino andò per le caverne, e trovò Macco in forma di serpente, col quale parlò, e giunse poi alla porta della Fata.


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desso è che facevano bisogno gli ordigni da accendere il fuoco al Meschino, ch’entrato nell’oscura caverna e per le fessure dei sassi trovò molte paurose caverne ch’andavano molto volgendo. Per tre volte ritrovò bocche, che uscivano dalle montagne, e gli convenne tornare indietro, e alla fine non sapendo più dove andare, e nè anco dove tornare, dov’era entrato, comechè pareva a lui esser entrato in uno strano labirinto, tornò a Gesù Cristo Nazareno, dicendo: salvum me fac! e misesi alla ventura, e per la grazia di Dio arrivò ad una caverna che andava in giù. Per questa si mise ad andare, e disse: «Non è possibile che niuno possa mai tornare se non ha lume;» imperocchè egli aveva la candela accesa, e appena poteva andare, tanto il luogo era oscuro! e camminando per quest’oscura caverna, ch’era quel sasso, sentì dinanzi a lui un rimbombo di acqua, che pareva che cadesse da alto. Egli era stanco per la perfida via, mangiò un poco di pane, e giunto a quell’acqua si pose a sedere, rinfrescossi, mangiò e bevette, e posesi a dormire un poco, e smorzò la candela non sapendo s’era dì o notte. E rilevato in piedi accesela, e passò quell’acqua la quale era tanta, che avrebbe macinato [p. 234 modifica]due molini, e, fattosi il segno della croce, disse le sue orazioni, e tre volte disse: «Gesù Cristo, a te mi raccomando!» Passata l’acqua andò forse quaranta braccia, e pose i piedi sopra una cosa grande, che parevagli esser passato sopra un sacco di lana, e passato che ebbe, quella cosa parlò, e disse: — Perchè mi zappi tu addosso, non ti pare ch’io abbia del male assai?» I suoi capelli tutti si arricciarono, e presto si voltò colla spada in mano per mostrar di non aver paura. — Perchè mi traversi tu la strada?» chiese il Meschino. — Perchè, rispose l’altro, fui giudicato qui». Il Meschino gli domandò chi fosse, e perchè era giudicato in questo luogo tenebroso, dicendo: — Donde sei tu, e come hai nome?» E quello disse: — Tu vuoi sapere i fatti miei, dimmi prima chi sei tu, e per quale cagione sei venuto qui?»

Il Meschino pieno di maraviglia abbassò il lume per vedere, che cosa era questa che parlava, e vide un gran serpente lungo circa quattro braccia, che pareva proprio di terra, grosso nel mezzo, e molto brutto, che appena si poteva muovere. Il Meschino per saper più avanti, gli disse la cagione, perchè andava alla Fata. Allora il Serpente rispose: — Io sono dannato ed ebbi nome Macco, e andai facendo sempre male sino da piccolino, e mai non volli far fatica, e non imparai alcuna virtù, e sempre mi diedi alle scelleraggini, portando invidia ad ogni cosa creata, e datomi ad ogni accidia, quando fui di trentatrè anni, io ero venuto a dispetto a me medesimo, e ognuno mi aveva in odio per essere tanto doloroso e tristo. Udito dire di questa Fata, mi disposi a venir da lei, perchè la carità mi era mancata, e ogn’uomo mi saziava; e per questa cagione mi avvenne, che quando giunsi ad una porta, che trovai qui appresso qualche cento braccia, io battei, e mi fu risposto che non vi poteva entrare per le mie scelleraggini. Allora bestemmiai tutte le cose create e chi le aveva create, e subito fui tramutato in forma di serpente, non avendo mai potuto passare quell’acqua che tu hai passato, e sono giudicato qui fino al dì del giudizio». Quando il Meschino sentì quel parlare, disse: — Se io pregassi Dio per te, sono certo che farei gran peccato, e però così maledetto rimani, perciocchè più giusta sentenza non si potrebbe dare a un tristo [p. 235 modifica]corpo, come fu il tuo!» Ed ei rispose: — Così ancora fossi tu mio compagno, come per queste caverne ve ne sono più di cento che non sono in questo luogo, e tale si dice al mondo, che sia con la Fata, che è qui con me!1». Il Meschino disse: — Or tu sei morto». Ei disse, — Io son peggio che morto. — E così tu rimani,» rispose il Meschino. E partitosi da lui, poco andò più innanzi, ch’ei trovò una porta di metallo, che da ogni lato aveva scolpito un demonio che pareva vivo, e aveva ognuno una scritta in mano, che diceva: «Chi entra in questa porta, e passa l’anno che non esce, non morirà fino al dì del giudizio, e allora morirà in anima ed in corpo, e sarà dannato». Egli disse: — Gesù Cristo Nazareno, a te mi raccomando!» e tre volte toccò la porta, la quale appena toccata fu aperta da tre damigelle.



  1. Chi potrà mai essere questo tale, di cui parla l’autore, se non qualche suo potente nemico, del quale si vendicò ponendolo in questo luogo? Dante usò le medesime vendette contro i suoi contemporanei! Ed è ora appunto che il Guerino ci comincia a dare un’idea dell’Inferno di Dante, come apparirà in seguito più chiaramente.