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capitolo xxvii. 235

corpo, come fu il tuo!» Ed ei rispose: — Così ancora fossi tu mio compagno, come per queste caverne ve ne sono più di cento che non sono in questo luogo, e tale si dice al mondo, che sia con la Fata, che è qui con me!1». Il Meschino disse: — Or tu sei morto». Ei disse, — Io son peggio che morto. — E così tu rimani,» rispose il Meschino. E partitosi da lui, poco andò più innanzi, ch’ei trovò una porta di metallo, che da ogni lato aveva scolpito un demonio che pareva vivo, e aveva ognuno una scritta in mano, che diceva: «Chi entra in questa porta, e passa l’anno che non esce, non morirà fino al dì del giudizio, e allora morirà in anima ed in corpo, e sarà dannato». Egli disse: — Gesù Cristo Nazareno, a te mi raccomando!» e tre volte toccò la porta, la quale appena toccata fu aperta da tre damigelle.



  1. Chi potrà mai essere questo tale, di cui parla l’autore, se non qualche suo potente nemico, del quale si vendicò ponendolo in questo luogo? Dante usò le medesime vendette contro i suoi contemporanei! Ed è ora appunto che il Guerino ci comincia a dare un’idea dell’Inferno di Dante, come apparirà in seguito più chiaramente.