Guerino detto il Meschino/Capitolo XI
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CAPITOLO XI.
Le imprese del Meschino a Tigliafa.
«O nobilissimi cittadini, prodi difensori della libertà di Tigliafa, chi avrebbe pensato che Dio nostro Signore mi avesse fatto venire da Costantinopoli in questo paese perchè mi trovassi a difesa di voi, come già mi trovai a difendere Costantinopoli contro a maggior nemico che non è il vostro? Però vi prometto che per la grazia del Signore Dio, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, e del nostro campione san Tommaso apostolo, noi avremo vittoria. Abbiamo sentito come i nostri nemici hanno duecento elefanti. A quelli bisogna attendere; chè dell’altra canaglia faccio io poco conto. Fate apparecchiare mille lumiere, e con fuoco e con zolfo; quando poi vi sarà dato il segno uscite della città tremila di voi e non più, e giungendo alla battaglia andate pure incontro agli elefanti loro, mandando nella fronte ad essi le lumiere accese. Che se Dio ci darà grazia, che pur dieci elefanti di loro si dirizzino a fuggire, vedrete che romperanno tutto l’ordine degli elefanti, perchè si metteranno a fuggir tutti. Tutti gli altri che rimarranno nella città attenderanno a far buona guardia, perchè i nemici non mettano agguato onde prendere la città nell’atto di combattere». Tutti si confortarono per l’ordine dato dal Meschino, ed uscirono fuori della città con la gente detta di sopra contro i nemici. La battaglia non potè avere luogo se non alla mattina seguente. Allora il Meschino d’accordo con Cariscopo fece tre schiere, la Il Meschino sacrifica agli alberi del Sole. prima di tre mila pedoni de’ più vili: a questi fu comandato che andassero contra i nemici. La seconda tenne il Meschino per sè, e furono cinquanta elefanti, e quindi trecento a cavallo e tremila pedoni. La terza con cinquanta elefanti e novemila pedoni, settemila de’ quali venivano dall’isola Blombana rimasero per Cariscopo. Ed avendo fatte queste tre schiere, disse il Meschino a Cariscopo: «I nostri nemici paiono mal ordinati; però come io sarò nella battaglia colla mia schiera e cogli elefanti, tu dividerai la tua in due corpi, e percuoterai da ogni lato. Assalito che tu avrai il nemico, manderai da un cavaliere per quelli della città che si muovano col fuoco». Fatto poscia bandire per tutto l’oste, che a pena della vita non si togliesse alcuno de’ nemici per prigione, infinchè di loro non si vedesse bandiera alta, fece muovere que’ tremila, i quali andarono verso i nemici a passo a passo, conciossiachè non avessero ancora potuto sapere come i nemici fossero ordinati.
Già era l’ora di terza quando la battaglia cominciò. Il Meschino andò colla scorta avanti per veder che gente erano i nemici, e li vide mal ordinati, ed in tutto stimandoli fra i quaranta mila. Tornato alle sue schiere, confortolli alla battaglia, e mise cinquanta elefanti e pedoni contro pedoni, e mandò elefanti contro elefanti, ed egli con que’ trecento a cavallo si mise fra pedoni, facendo molto strazio de’ nemici che erano mal ordinati. I suoi cavalli li uccidevano come pecore senza pastori assalite da lupi. Tutta la prima schiera mise il Meschino in fuga, e sarebbero stati rotti se non fossero stati gli altri elefanti che accorsero in lor soccorso. Il Meschino mandò tosto a dire a Cariscopo che si movesse coll’ordine dato, il quale così fece. Per cui i nemici da due parti furono assaliti, ed egli co’ suoi trecento a cavallo si mise in mezzo de’ loro pedoni, e tanta paura fu in loro per esser da tre parti combattuti, che niuna resistenza poterono fare più oltre. Era maggior fatica al Meschino ed a’ suoi il correre fra tanti luoghi, che il sostenere la stessa battaglia, e fu poi in tanto pericolo, perchè gli elefanti de’ nemici con certe genti a cavallo si mettevano intorno agli elefanti della città, da cui non avrebbe campato se i cittadini non giungevano col fuoco già detto, ed avessero dato a’ suoi aiuto e forza, assalendo quegli elefanti colle facelle accese, come era stato ordinato, e lanciandole negli elefanti, i quali sentendo il fuoco si volsero a fuggire, sbaragliandosi fra loro medesimi, al che niun riparo potè esser fatto. Rimasero morti de’ nemici ventiquattromila, e circa mille di quei di Tigliafa.
Seguitò la vittoria pel paese dieci giorni pigliando città e castella. Ritornò la pace; ed il Meschino ricercò subito dei costumi e dell’indole di quel paese. Dimandò, perchè quelle genti non si facevano battezzare, al che rispose Cariscopo, non essere usanza, ognuno potendo tenere qual fede più gli piace, purchè obbedisca al suo signore. Questo solo è necessario per ottenere salute dopo morte. Tutte queste cose e il modo di vita gli disse Cariscopo di quelle genti. Tornarono poi indietro a Tigliafa, ove quelli della città vennero al Meschino innanzi con rami e fiori giubilando per la vittoria, e le damigelle tutte cantando e ballando. Non si potrebbe ridire il grande onore che fu fatto al Meschino, il quale stettevi tre dì, poi volle proseguir suo viaggio. Cariscopo dissegli: «Voi non potrete andar solo, come siete venuto sin qui, perciocchè per mare è pericolo d’andarvi attesa la fortuna de’ venti caldi. A vostra maggior sicurtà io voglio venire in vostra compagnia con quanto sarà mestieri». Il Meschino fu di ciò allegro, e ne parlarono coi maggiori della città, i quali misero in ordine quello che era mestieri di buona vettovaglia per suo onore e sostentamento. Fecero que’ della città gran consiglio per fare al Meschino grandissimi doni e mandarglieli. Il Meschino tutto rifiutò, e domandò loro solamente una guida che il conducesse agli Alberi del Sole, dove l’animo suo era d’andare. Ed essi dieder l’ordine che Cariscopo con quaranta elefanti armati, quattromila uomini, de’ quali quattrocento a cavallo, e con cinquecento cammelli armati, gli facesse compagnia. Fecero apparecchiare quelle cose che erano necessarie per tutto quel cammino; poscia il Meschino e Cariscopo partirono, accompagnati da molti giovani gentili della città.