Gli antichi statuti municipali di Montevarchi

Jacopo Bicchierai

1853 Indice:Gli antichi statuti municipali di Montevarchi.djvu Storia locale letteratura Gli antichi statuti municipali di Montevarchi Intestazione 30 aprile 2009 25% Storia locale


[p. 1 modifica]

Gli antichi statuti municipali di Montevarchi




Dall’ esame attento e diligente degli statuti coi quali si governavano i nostri comuni è dato formarsi un concetto più o meno completo di quella parte della loro storia che riguarda gli ordinamenti municipali, le costumanze, il commercio, le istituzioni diverse e lo svolgimento progressivo della vita pubblica nei vari suoi rami. E’ in questo intendimento che io mi detti a esaminare pazientemente e in parte anche a trascrivere la collezione degli statuti del comune di Montevarchi che si conservano nell’ Archivio di Stato di Firenze, dei più antichi ed importanti dei quali mi propongo dare un breve cenno.

La terra di Montevarchi, ben lo disse e lo dimostrò il compianto nostro collega Giulio Cesare Carraresi sulla sua erudita memoria sulle origini di Montevarchi e della sua Chiesa Maggiore, è d’ origine assai più antica di quanto comunemente si credeva in seguito alla frase più oscura che erronea di Filippo Villani, che ne attribuisce la fondazione al conte Guido Guerra di Marcovaldo dei Conti Guidi. Da un documento contenuto nel vol. 22 dei Capitoli del Comune di Firenze che si conservano in quell’ archivio di stato e appartenente ad una epoca nella quale Guidoguerra era vivo e verde, chiaramente si rileva che Montevarchi in quel tempo aveva già un suo sviluppo commerciale di tal natura da non poterlo attribuire che a una lunga e prosperosa esistenza. Si tratta di una [p. 2 modifica]compra e vendita rogato il 1 gennaio 1261 al Bucine dal notaio Ruggero da Pepiano, col quale alcuni abitanti di Pogi vendevano al conte Guido di Tegrimo (anch’egli della stirpe dei conti Guidi) il castello di Pogi con le sue mura e torri e un palazzo presso una di quelle torri e diversi altri immobili fra i quali un podere dato in affitto per l’annuo canone di 22 staia di grano ad starium monteguarchensem, cioè da raggiuagliarsi allo staio di Montevarchi. Se dunque in quell’epoca Montevarchi aveva già speciali misure sue pei cereali che servivano di norma nei contratti stipulati anche a distanza, bisogna concluderne che era anche allora, come ai nostri giorni l’emporio commerciale di una gran parte del Valdarno Superiore: cosa che non poteva accadere in un giorno, ma che ci rappresenta un avanzato e importante progresso economico, la cui origine doveva essere ben remota.

E una terra di tale importanza dovva avere già da tempo il suo statuto municipale. Disgraziatamente però finora non mi è stato dato conoscere l’esistenza di altro statuto di Montevarchi più antico di quello del 24 maggio 1375 (1376 stile comune) 24 maggio 1375 (1376 stile comune) che non è il primo, come rilevasi chiaramente dal preambolo dove è detto che gli statutari avevano l’incarico di correggere gli antichi statuti e farne di nuovi. E’ un codice membranaceo di 0,32 X 0,23, in pessime condizioni per essere stato probabilmente del tempo sott’acqua, per modo tale che le pagine avendo aderito fra loro, [p. 3 modifica]completo, fatta eccezione pel titolo di un capitolo del libro terzo, due del primo dei danni dati e due del secondo distrutti, mancanti o obliterati affatto tanto nel testo che nell’indice e per alcuni pochi mutilati, che però in generale si capisce di che trattano: questi non saranno più d’una dozzina, scarso numero di fronte al totale di 225 in un codice così maltrattato. Dove mi è stato possibile di leggere, anche a scapito della mia vista, ho trascritto lunghi frammenti e capitoli interi, che potrebbero formar soggetto d’una importante pubblicazione.

Il primo libro comprende 41 capitoli, 20 dei quali riguardano i diversi uffici e cariche del comune, 20 la procedura nei giudizi civili e uno l’ordinamento del mercato. Il secondo libro, intitolato de maleficiis, consta di 25 capitoli, parte dei quali relativi alle pene per delitti comuni e parte contenenti disposizioni proibitive, per lo più di polizia municipale.

Il terzo, che è il più copioso di tutti e cinque, ha 77 capitoli dove si trova d'ogni cosa un poco, ma più che altro vi hanno luogo disposizioni di polizia municipale.

Seguono poi due libri damnorum datorum, cioè dei danni dati, il primo di 22 e il secondo di 50 capitoli dove si verifica la mancanza delle carte accennate di sopra; e anche in questi due vi è una mescolanza di materie diverse. [p. 4 modifica]Gli ordinamenti municipali di Montevarchi che per ordine cronologico succedono immediatamente allo statuto del 1376 nell’Archivio di Stato di Firenze, sono contenuti in un volume in parte cartaceo e in parte membranaceo legate in pergamena, Classe XII n. 103. Ivi primo si presenta lo statuto e riforma del 10 febbraio 1385 (1386 stile comune) in un quaderno 0,30 X 0,22 di 12 carte non numerate; delle quali 10 scritte e 2 bianche e sta in 35 rubriche, completo e originale, scritto e pubblicato per mano di ser Antonio del g. Francesco Gangalandi notaro pubblico fiorentino.

E’ singolare che, sebbene redatto a Montevarchi, pure gli statutari non sono montevarchini, ma nobili cittadini fiorentini a tale oggetto designati dalla sorte; cioè Leonardo di Giovanni Strozzi, Giovanni di Francesco Burelli e Brunetto di Preda da Verrazzano.

Questo volume contiene lo statuto delle ville di Montevarchi (cioè S. Tommè e S. Marco) dell’agosto 1415, in 30 rubriche scritte su dieci carte non numerate. Di questo statuto vi è quello stesso volume una copia mutilata scritta in pergamena. E vi sono poi riforme, aggiunte e correzioni agli statuti del comune di Montevarchi che dal 1386 arrivano fino al 1573. [p. 5 modifica]In un altro volume legato in asse (Classe XII n. 262) sono prima di tutto gli statuti e riforme di S. Tommè dai primi anni del secolo XVI fino al 1563, lo statuto di Montevarchi del 2 novembre 1528 in 49 capitoli e quello del 28 settembre 1593 in 69: quest’ultimo non è altro che una copia del primo con aggiunte e correzioni. Vi sono poi riforme e nuovi capitoli che arrivano fino al 18 settembre 1748.

Essendomi proposto di trattare degli antichi statuti di Montevarchi, è principalmente dallo statuto del 1376 e dalla riforma del 1386 che ho estratte le notizie che verrò esponendo; ma ho dovuto anche ricorrere ad altri documenti posteriori contenuti nel volume legato in pergamena, tralasciando però quasi del tutto quelli dell’altro legati in asse.

Venendo anzitutto a trattare dei diversi uffici del comune, senza occuparsi del potestà che era nominato dal comune di Firenze, tutti gli altri ufficiali venivano creati estraendo dalle borse a tal scopo formate le schede contenenti i nomi di più persone o anche di una sola a seconda dei diversi uffici. Ma se durante il tempo che costoro duravano in ufficio qualcuno fosse venuto a mancare o in [p. 6 modifica]qualunque modo non avesse potuto assumere o continuare l'ufficio, vi si suppliva estraendo da altre borse dette degli spicciolati altre schede in ciascuan delle quali stava scritto un sol nome.

Tutte queste borse si tenevano in una cassetta chiusa a due chiavi nella sagrestia della chiesa di S. Ludovico (ora detta di Cennano) dei frati minori di San Francesco sotto la custodia del guardiano o sagrestano.

Primo fra gli ufficiali del comune veniva il notaro detto del piano, che aveva per attribuzione giudicare dei danni dati e vigilare alla custodia diurna e notturna del comune con un adeguato numero di famigli a tale scopo destinati.

I difensori, in numero di otto, costituivano un magistrato speciale e principale, una specie di piccolo senato, le cui attribuzioni non sono bene determinate.

Gli otto buonomini delle spese, dovevano esaminare e calcolare almeno una volta il mese insieme ai difensori le spese fatte dal camarlingo generale del comune e proporre l'approvazione o il rigetto al Consiglio Generale che era composto di 30 consiglieri, si adunava a suono di campana e trattava degli interessi del comune come i nostri consigli municipali.

I rettori del comune erano in numero di due e in appresso si dissero gonfalonieri.

Il Camarlingo generale riscuoteva i denari del comune che da diverse parti gli affluivano e pagava le spese [p. 7 modifica]regolarmente approvate e quelle stabilite da statuti o riforme.

I così detti Castaldoni, in numero di due, vigilavano alla buona manutenzione delle vie, ponti e fossi del comune e avevano certe attribuzioni riguardanti i venditori di pane del mercato.

Due pure erano gli ufficiali destinati a riscuotere le imposte e le condanne registrate nel registro del comune a ciò destinato: specie di esattori che versavano poi il denaro nella cassa del camarlingo generale, riservando un aggio in compenso delle loro fatiche.

I pesatori del sale erano due, e due i massari e camarlinghi del comune. Vi erano anche gli allogatori della nave, forse quella che passava l' Arno in faccia a terranuova.; ma l' imborsagione per questo ufficio fu tolta per consenso degli statutari del 1386, dopo un colloquio avuto con diversi terrazzani.

Gli ufficiali della lira (offitiales librae) ossia delle imposizioni erano quattro. Quattro pure erano i dirizzatori o conservatori del comune, che avevano l' incarico di una speciale vigilanza sugli artigiani della terra e sulle vendite che questi facevano.

Otto erano i sindaci, ossia i revisori dei conti e dell' operato del potestà, del camarlingo generale e del camarlingo della Compagnia del Latte. [p. 8 modifica]All’ amministrazione ed erogazione delle entrate di questa Compagnia che fin da principio era sotto la tutela del comune, erano preposti e delegati due rettori, quattro consiglieri e un camarlingo. E quando in epoca indeterminata sorse lo spedale detto di S. Maria del Pellegrinaggio, furono creati anche per questo gli operai e il camarlingo dello spedale, che aveva un custode detto spedalingo e spedaliere per il servizio dei poveri ivi ricoverati.

Due erano i pacieri, ufficiali destinati a conciliare le vertenze insorte fra i cittadini, uno il pesatore del mulino appartenuto al comune dove i coltivatori erano obbligati a far macinare i cereali. Più tardi, cioè dopo la riforma del 1396, si trovano i venditori dei proventi della piazza e i quattro uomini sulla guerra e sulla peste; e tralascio di annoverare altri uffici e cariche cui si riferiscono altri statuti più moderni.

Passando ora a dare un cenno di alcune disposizioni speciali dei detti statuti, per quanto riguarda il servizio religioso, si estraeva uno dei cappellani della canonica di S. Lorenzo che doveva per un mese ufficiare la cappella della reliquia del latte di M. V. e tenerne in ordine l’ altare e le lampade. In appresso l’ ufficio di questo cappellano, detto del latte, [p. 9 modifica]durava quattro anni e il titolare poteva essere confermato. Gli si davano 20 staia di grano all' anno, godeva l' usufrutto della vigna di detta cappella posta a Cennano e l' uso di una casuccia (domuncula) per sua abitazione posta presso il campanile della canonica, con l' obbligo di celebrare la messa nella cappella almeno quattro volte la settimana.

A questo obbligo, con la riforma 21-22 marzo 1492 (1492 stile comune) fu aggiunto quello di celebrare la messa all'avemaria del giorno per un mese nef tempo della sementa, per comodo dei lavoranti che volessero adottarla. La festa della reliquia del latte si celebrava solennemente quindici gi orni dopo la Pasqua di resurrezione e altra festa solenne ricorreva per la Concezione di M. V. il dì 8 dicembre.

A queste feste concorreva con offerte in denaro e granarie il comune, che pagava pure lo stipendio al predicatore quaresimale, tenuto a predicare alternativamente un giorno nella Canonica e un giorno nella chiesa di S. Ludovico.

L' istruzione pubblica era bastantemente curata. Lo statuto del 1376 ordina che i difensori e gli ufficiali delle spese siano tenuti a nominare un maestro di grammatica col salario, patti e condizioni che a loro piacerà: " (unum et sufficientem magistrum gramatice, qui stare debeat ad docendos pueros dicti communis in dicta terra Moontidwarchi).

Nella riforma del 14 settembre [p. 10 modifica]1488 sono esclusi dagli uffici di sindaci del camarlingo del comune rettori della Compagnia del latte, operai dello spedale e pesatori del mulino, coloro che non sanno leggere e scrivere, e viene nominato maestro dei fanciulli e predicatore insieme fra’ Mariotto francescano, assegnandogli L. 22 per la scuola e 18 per la predicazione. Nella stessa riforma é autorizzato a fare scuola per Antonio di Francesco da Galatrona cancelliere comune, con facolta’ di ricevere mercede darli scolari: eguale concessione venne fatta ai due successori di ser Antonio nel suo ufficio.

Nella riforma del 1500 il salario del maestro di scuola che deve insegnare leggere, scrivere, grammatica e abaco, e’ portata a 20 fiorini di L. 4 e 5 soldi, con facolta’ di ricevere mercede dagli scolari i cui genitori non pagano gravezze nel comune. Nel 1516 si autorizzano i difensori a nominare, oltre il maestro, occorrendo, anche un ripetitore.

Per quanto riguarda la pubblica salute troviamo nella riforma del 1386 nominati medici del comune maestro Duccio di Trincia e maestro Pietro di lui figlio, coll’ obbligo di risedere a Montevarchi e curare gli infermi di quella terra a tutta cura gratuita (sine aliquod percibendo .... gratis gratis et amore) coll’ annuo salario di L. 100. Venuto a morte maestro Duccio, il figlio Pietro fu nuovamente confermato con salario di L. 80 il 24 novembre 1411. Dopo quell’anno non si trova negli statuti alcun altro provvedimento per nomina del medico comunale per cui e’ da ritenersi che d’ allora in poi [p. 11 modifica]vi provvedessero i difensori e il consiglio generale. Per la pubblica igiene vi sono tali e tante minute e savie prescrizioni, che ai nostri tempi dei bacilli e dei microrganismi non si potrebbe desiderare di piu’. Il solo statuto del 1376 ha non meno di 14 capitoli contenenti disposizioni proibitive per procurare la salubrita’ dell’acqua, dell’aria delle case, delle vie e dei commestibili, senza contare altri capitoli sul divieto di occupazione e ingombro del suolo pubblico, le successive riforme e statuti ne contengono pure in gran numero.

Le molte e svariate disposizioni relative al buon ordine del mercato, che prima d’allora si faceva, come oggi, a Montevarchi in die Jovis, cioe’ il giovedi’ di ogni settimana, lasciano facilmente intendere come quel mercato aveva anche a quei tempi grandissimo concorso di gente vicina e lontana procurava grande utilita’ e decoro di questa terra: un tal fatto dura anche attualmente e ci auguriamo che durera’ anche in avvenire. Nell’accennare alcuni di questi ordinamenti, per non abusare della vostra pazienza, non oltrepassero’ la riforma del 1500.

Il comune aveva fatto fare alcuni stai (il numero non si legge nello statuto del 1376 per rottura della pergamena ma da una riforma posteriore e’ denerminato in dodici) marcati collo stemma del comune di Montevarchi e con quello del comune di Firenze. Questi stai venivano consegnati dai difensori a persone degne di fede, che ogni [p. 12 modifica]giovedì li mettevano in piazza, dove rimanere dovevano da mattina a sera e che dovevano servire a misurare il grano e tutti gli altri cereali, legumi e biade che si vendevano nel mercato, con esclusione di qualunque altra misura.

Nessun mercante poteva comprare o far comprare grano o altre biade, nè andare incontro a chi veniva al mercato o vi recava mercanzie, innazi l’ora di nona: lo stretto divieto si faceva ai trecconi e traccole riguardo ai commestibili; anzi a costoro fu espressamente proibito in uno statuto posteriore di andare il giovedì a comprare fuori dal castello biade o commestibili, ma ogni compra di tali generi doveva farsi nel mercato. Non si potevano in detto giorno vendere fuori dalle porte di Montevarchi ova, cacio e polli. Non si potevano tenere bestie di sorta davanti alle case altrui o davanti alle chiese e al palazzo del potestà; e questo deve intendersi per le bestie da soma e da cavalcare, perchè le bestie da vendere dovevano condursi nel mercatale.

E perchè fosse libero a qualunque persona di venire al mercato, fu prescritto che i debitori sottoposti ad esecuzione reale non potessero esser gravati il giovedì mentre andavano e tornavano dal mercato; disposizione confermata anche negli stattuti più moderni.

Per evitare l’ingombro della piazza, con la riforma del 1428 fu ordinato a coloro che venivano di fuori il giovedì per vendere mercanzie a Montevarchi, di stare e tenere le merci in detta piazza soltanto nella metà di questa verso la chiesa di S. Lorenzo, dovendo l’altra metà restar libera per la vendita dei cereali. E a proposito di ingombri e di ordinamento del mercato, mi piace di riferire testualmente il capo 5 della riforma del 5 agosto 1500. [p. 13 modifica]"Item, simili modo et forma, e’ prefati riformatori veduto e considerato come il mercato che si fa nel castello di Montevarchi per legge e’ libero e sicuro e tuttavolta cresce e amplia per modo che, essendo la piazza del comune piccola, non vi si puo’ raggirare con le mercatanzie rispetto alle vasa che si tengono e pongonsi in terra in detta piazza e rispetto alle bestie cariche di legname che tutta volta vengono e vanno per dettta piazza e per le vie; e volendo ordinare detto mercato in modo di comodo a ognuno, pertanto providono, deliberorono e statuirono che per l’avvenire in tal di’ di mercato non si possa ne’ debba tener vasa di nessuna ragione in detta piazza quanto tengono le vie da pie’ e da capo di detta piazza sotto pena di 20 soldi piccioli per ciascheduno che controfacessi e per qualunque volta, da essere applicati in utile di detto comune eccetto chi avessi botteghe in piazza sue o a pigione, possa e a lui sia lecito tenere in dette botteghe quella quantita’ di vasa volessi, senza alcuno pregiudizio. E perche’ detti vasi abbiano luogo, si assegna loro la piazza de’ frati (ora Magiotti), nella quale possino e debbino tenere detta vasa, sotto detta pena quando altrove la tenessino, eccetto nelle loro proprie abitazioni. E che per l’avvenire tutto el legname che in tal di’ venissi a vendere in detto castello cosi’ da ardere come da edificare e ogni altro legname debba stare nella piazza che si dice la piazza dell’Olmo (ora del Presto) e dalla piazza de’ frati in giu’ sotto detta pena, acciocche’ non impedisca le altre mercatanzie. E ancora per levar via ogni pericolo, non si possa in detto castello nella piazza e nella loggia del comune e nelle strade pubbliche e nelle piazze e stradelle che s’usano per via [p. 14 modifica]e in nessun modo tenere in tal di’ bestia nessuna di qualunque ragione legata in detti luoghi e vie, ma debbansi tenere fuori di dette vie e fuori della terra, o nelle stalle sotto pena di soldi 10 piccioli qualunque bestia e per qualunque volta; eccetto che e’ maniscalchi, e’ quali possono tenere dua e per insino tre bestie per volta all’uscio loro proprio, di quelle che ferrassino o volessino ferrare; e ferrate fusssino, levarle via sotto detta pena. E che tutte le bestie che vengono al detto mercato per vendere, si debbino tenere fuori della porta al mercatale come insino a qui s’e’ usitato sotto detta pena.

E che delle predette cose te possa procedere e condannare il cancelliere del comune che pe’ tempi sara’ ad accusagione del campaio e di qualunque altro accusassi; e possano detti tali delinquenti essere presi e gravati per tali condennagioni in detto di’ e per altro e abbine il campaio e il cancelliere la rata loro come degli altri danni dati e come per gli ordini si dispone."

E’ qui da notare come l’applicazione di tali disposizioni era cosi’ rigorosa da far cessare nel giovedi’ quella benevola sospensione degli atti esecutivi di che si e’ fatto cenno superiormente.

La morale e la pubblica sicurezza trovavano anch’esse garanzie negli antichi statuti municipali di Montevarchi. Quello del 1376 puniva i bestemmiatori e coloro che giuravano al corpo et al sangue. Non permettevasi alle meretrici di abitare o rimanere nella terra di Montevarchi, ma dovevano stare di casa e fare i loro affari fuori dalle mura in luogo netto e coperto; e chi avesse loro affittate case nell’ interno del paese era colpito da grave pena pecuniaria. Nessuno, all’ infuori dei difensori, finche’ durava il loro ufficio, poteva portare armi nell’ interno del paese, ne’ era permesso entro le mura di Montevarchi saettare con arco, balestra e stromento congenere.

Dopo il terzo suono della campana [p. 15 modifica]non si poteva girare di notte per la terra di Montevarchi senza lume acceso. Da tale disposizione erano esentati i preti, i musici, le persone che uscivano per assistere i malati e quelle che si recavano al forno per cuocere il pane o al pozzo per attingere acqua. Dopo il terzo suono della campana doveva anche ognuno chiudere l’uscio della propria casa.

Queste proibizioni dell’antico statuto sono in parte confermate dalla riforma del 6 febbraio 1458, che proibisce a chiunque di girare senza lume per Montevarchi dopo la campana che si suona a due ore di notte: ecco testualmente la disposizione:

"Item ad hoc ut juvenes et habitantes communis Montisvarchi fiant modestiores et a multis lasciviis ac malis que noctis tempore committunt se abstineant forinidine pene, statueront quod quicumque cuiuscumque status et conditionis existat, non possit post sonum campane ire sine lumine per castrum Montisvarchi, que debeat pulsari post duas horas noctis; possit et debeat per potestatem communis Montisvarchi condepnari pro qualibet vice in solidis viginti & c.".

Era vietato di giocare per tutta la terra di Montevarchi a tavole e giochi di azzardo; però la riforma del 1386 permise ad ognuno di giocare ai dadi e agli scacchi, purchè fuori di casa. Un altro gioco era vietato dallo statuto del 1376, cioè quello detto ad ughectas nel tocco borro: non mi è però riuscito di poter capire di quale gioco si trattasse, per essere il manoscritto in quel punto affatto illeggibile.

Questo stesso statuto non era molto gentile con le donne. Non parlo di quelle che per ragioni di ordine e di morale dovevano stare fuori della terra: per queste ci erano, e si capisce, dei giusti motivi. Ma nelle disposizioni che ora vado a enunciare, tutte relative alle donne, ve ne sono alcune [p. 16 modifica]che dovevano riuscire veramente vessatorie.

Non potevano prendere parte a un corteo nuziale più di dieci donne, sotto pena di 20 soldi per chi le aveva invitate e 10 soldi per le donne che trasgredissero il divieto.

Non era loro permesso di portare il lutto al di là di un anno per il marito, padre, madre, fratello e figlio e di sei mesi pel suocero, suocera, cognati, cognta e figlia, sotto pena di 40 soldi.

Sotto la stessa pena era loro vietato di far visita alle puerpere nei primi otto giorni dopo il parto, fatta però eccezione per le consanguinee di primo, secondo e e terzo grado e per le vicine fino a quattro case dalla abitazione della puerpera.

E dalla multa di 40 soldi era pure colpita la donna che fosse andata alla casa di una persona morta prima di un mese dal giorno della sepoltura, a meno che si trattasse di consanguinei nei gradi suindicati.

Era anche vietato alle donne di stare nelle chiese dalla parte degli uomini o in coro mentre si celebravano gli uffici divini, sotto pena di 5 soldi.

Sotto la comminazione della stessa pena era proibito ad ogni donna, di qualunque condizione si fosse, filare o portare e tenere la rocca nel mulino del comune, in qualunque forno della terra di Montevarchi e nella piazza del comune, cioè dalla metà di via davanti fino alla metà della via di S. Lorenzo (a medio strate anterioris usque ad medium strate sancti Laurentii) come pure in qualunque chiesa di Montevarchi.

Questi nomi di strade mi richiamano un altro capitolo del medesimo statuto del 1376, cioè il 9 del III libro, riguardante i luoghi dove dai banditori [p. 17 modifica]dovevano pubblicarsi i bandi del comune, sebbene quel punto del manoscritto sia danneggiato oltre ogni dire, pure i nomi delle quattro strade nelle quali dovevano esser pubblicati i bandi municipali si possono leggere distintamente e sono: via di S. Antonio, via di S. Lorenzo, via davanti e via di Cennano (in strata sancti Antoni, in strata sancti Laurentii, in strata anteriori, in strata Cennani).

Queste strade in tempi assai vicini hanno in parte mutato nome; ma oltre i vecchi vivono molti che non hanno ancora i capelli bianchi e che si debbono come me rammentare abbastanza bene di quando le dette strade si chiamavano tutte coi nomi registrati nello statuto del 1376.

Ora io dico, che se 523 anni indietro la terra di Montevarchi aveva le sue quattro strade che ha anche attualmente (e di questo non può dubitarsi), non sarà audacia l’argomentare che anche l’estensione del fabbricato non dovesse essere molto inferiore all’attuale, astrazion fatta, ben s’ intende, dalle costruzioni che si trovano fuori delle vecchie quattro porte Mercatale, fiorentina, del Mulino e del Gamba l’ ultima delle quali è la sola che rimanga ed è precisamente la volta sotto l’ attuale agenzia delle imposte dirette.

Fino da tempi remotissimi la terra di Montevarchi era divisa in parte di sopra (septa de supra) che era dalla piazza verso la porta a Mercatale e parte di sotto (septa de [p. 18 modifica]suptus) dalla piazza verso la porta fiorentina. Di una tal divisione, a proposito delle schede per le borse degli spicciolati, parla anche la riforma del 1386, ma gli statutari e riformatori si prendevano indifferentemente da tutto il paese.

Solo nella riforma del 21-22 marzo 1491 (1492 stile comune) si trovano istituiti nelle due parti di sopra e di sotto e cosi’ d’allora innanzi sino alla riforma del 27 maggio 1508, con la quale venendo il paese diviso in quattro quartieri, fu stabilito che i riformatori dovessero essere tre per quartiere, e che gli uffici si imborsassero per modo che venissero distribuiti egualmente nei diversi quartieri.

Ecco letteralmente il testo della riforma:

ivi... "deliberorno, statuirono e ordinorono che per lo avvenire el castello di Montevarchi sia governato e governare si debba e sortire li offici a quartiere. E il primo qiartiere sia quello di santo Andrea, cioe’ dalla porta a Mercatale sino in chiasso di quelli di Jacomo, pigliando le case della via dinanzi e quelle di Cennano sino a detto chiasso. E da detto chiasso sino alla porta fiorentina seguitando le case alla strada maestra a tutto el resto della via di Cennano, s’intende essere e sia il quartiere di santa Maria del pellegrinaggio. E dall’altra parte cioe’ dal chiasso del campanile della Calonica sino alla porta del Gamba pigliando tutte le case che sono nella via di marzo et in quella di s. Lorenzo [p. 19 modifica]sino alla piazza del comune, s’intende essere e sia il quartieri di s. Lorenzo. E da detto chiasso del campanile seguitando per la via di marzo a quella di s. Lorenzo fino alla porta fiorentina s’intende essere e sia il quartiere di s. Francesco. E tutti li offici che per l’ avvenire si avranno a fare in detto castello di Montevarchi, di ciascuno d’epsi quartieri s’imborsino e deputino in modo che tanti ne sia d’uno quartieri quanto d’un altro, accio’ ognuno abbi quello gli si conviene e dette parti di sopra e di sotto non si possino ne’ debbino piu’ usare, acciocche’ come Montevarchi e’ uno castello solo, cosi’ sia uno comune benefizio e ben vivere."

Gli statuti del 1528 e del 1593, oltre a confessare questa divisione a quartieri, danno l’elenco degli uomini appartenenti a ciascun quartieri, fra i quali si trovano nomi di molte famiglie tuttora esistenti.

Nello statuto del 1376 vi e’ un capitolo ed e’ il 25 del III libro, relativo alla manutenzione delle strade e vie del comune e alla loro larghezza. (De manutenendo omnes strates et vias communis et quantum ample esse debent). Il manoscritto si tova anche in questo punto in assai cattive condizioni; la lettura di tuto il capitolo è oltremodo difficile e in molti luoghi, spezialmente in fondo, impossibile.

Vi è un elenco di 48 fra strade e vie colla larghezza che debbono avere misurata a braccia, ma di sole 31 ho potuto fare la trascrizione, e di alcune solo in parte, essendo per le rimanenti 17 illeggibile il manoscritto. Ed è un danno, perchè di ogni strada è detto con precisione il luogo di dove si stacca, quelli che percorse e dove va a finire, per cui si possono identificare [p. 20 modifica]ancora, giacchè pochi nomi sono cambiati di quelli descritti in tale elenco, meno quelli dei proprietari dei fondi spesso ivi indicati. Si chiamano strade (strate) quele che vanno a Firenze ed ad Arezzo e tre altre più: il rimanente sono dette vie. Anche del berignolo è assegnata la larghezza, cioè 8 braccia sopra al mulino e 10 sotto; ma per il berignolo ci è anche un capitolo special tutto intro, ed è il 4 dello stesso libro.

Vengo ora a dare qualche cenno sulla origine di una istituzione tuttora esistente e amministrata del municipio di Montevarchi, voglio dire la Fraternita del Latte; prendendo la mossa dagli antichi statuti, ma presto lasciandoli per attingere le notizie delle posteriori riforme.

Che cosa sia la Fraternita, tutti a Montevarchi lo sanno; chi volesse maggiori informazioni potrebbe ricorrere all’Archivio Municipale dove si conservano le carte di questa Opera pia, il che veramente avrei potuto fare anch’io, ma non l’ho fatto, perchè il breve cenno ce ne darò non deve uscire dai limiti dei documenti che formano soggetto di questa memoria. Quello però che tutti non sanno, si è, come, quando e perchè la fraternita fu creata; ed è quanto che io voglio esporre brevemente.

Già nello statuto del 1376 (lib. I cap. 18) troviamo la Compagnia del Latte di M. V. amministrata da due rettori, quattro consiglieri e un camarlingo, che duravano in ufficio un anno, dovendo allo spirare di questo termine esser riveduta la gestione del camarlingo dagli otto sindaci del comune: tali disposizioni sono confermate nella riforma del 1386 (sub. Xj e XX). Ho già parlati del Cappellano del Latte, dei suoi obblighi e della festa annuale, nè occorre ora ripeterlo. [p. 21 modifica]La Compagnia del Latte aveva entrate e beni immobili, parte dei quali godeva il Cappellano come ho ripetuto di sopra e il rimanente erano dati in affitto; e i proventi dovevano essere erogati oltre il servizio religioso della cappella e la festa solenne, in elemosine, sussidi e doti alle fanciulle.

Eravi a Montevarchi un’altra pia istituzione, cioè lo spedale di s. Maria del Pellegrinaggio, che aveva, come la Compagnia del Latte, beni propri ed era amministrato anch’ esso da due rettori, quattro consiglieri e un camarlingo sottoposto alla revisione dei sindaci del comune.

Non apparisce dalle carte da me esaminate l’ epoca della fondazione di questo ospedale. La prima volta si trovano rammentate nella riforma del 27 giugno 1484 (la prima scritta in lingua volgare) con la quale vien nominato spedalingo Chimento d’Agnolo Zucchini, dandogli l’ abitazione, ma senza salari finchè abbia scontato un debito di 40 staia di grano che aveva verso lo spedale stesso. Ma pur troppo nella stessa riforma (sub Vj) vien constatato che l’ amministrazione di ambedue le opere pie va male.

Ivi... "Considerando che i beni della Compagnia della Vergine Maria del pellegrinaggio sieno usurpati e non se ne rivede le ragioni & c. i riformatori deliberano che l’ operato dei rettori e consiglieri (allora detti operai) tanto della Compagnia del latte che dello spedale sia sottoposto alla revisone di sindaci speciali. Ma pochi anni dopo pare che queste amministrazioni seguitassero [p. 22 modifica]a camminare poco bene, perchè nella riforma del 17 maggio 1495 (1496 stile comune) si dispone che i beni della Compagnia e quelli dello spedale sieno affittati all’asta pubblica a suono di tromba e candela accesa: anzi, della prima è detto espressamente: "avuto avvertenza che per insino ad ora le cose della Compagnia del latte sono state male trovate e con poco conto & c." e prosegue con disposizioni per assicurare i denari, masserizie e reliquie della Cappella.

La riforma del 16 maggio 1503 che nomina spedalingo Lorenzo di Contarino di Montevarchi, ci dice in breve lo scopo e il servizio dello spedale. Ivi... "con questo che ditto Lorenzo Spedalingo prefato sia tenuto durante detto tempo tenere netto e spazzato detto spedale e inbiancare le lenzuola di detto spedale quando si avessino di bisogno, e accettare amorevolmente i poveri che venissino a detto spedale, secondo che s’è sempre usitato. E che detto Lorenzo spedalingo sia tenuto e debba pigliare per inventario dagli operai di detto spedale le masserizie e così rassegnarle a detti operai."

Colla stessa riforma vengono dati in affitto alcuni terreni della Compagnia del latte posti al Prunello e al borro Busoni: ma l’amministrazione di quei due enti seguitava a andar male. Finalmente nell’aprile 1516, come rileviamo dal seguente passo della riforma del 16 di quel mese, il Consiglio generale del comune nomino’ "due sindachi e procuratori con autorita’ di potere di nuovo edificare una Fraternita in laude di Maria Vergine e per utilita’ de’ poveri e in quella applicarvi e attribuirvi tutti e’ beni dello spedale di S. Maria del pellegrino di detto comune e cosi’ tutti [p. 23 modifica]e’ beni della Vergine Maria del latte di detto comune", e prosegue disponendo e ordinando gli uffici del nuovo istituto, premettendo alcune considerazioni che mi piace riferire testualmente.

"En atteso quanto sia utile questa Fraternita di nuovo creata e considerando come gia’ si faceva camarlinghi dello spedale e di detta compagnia e cosi’ si faceva festajuoli a fare la festa distribuendo detti beni piuttosto a pompa del mondo che ad onore di Dio e utile de’ poveri, e pertanto vogliono e ordinorno che per l’avvenire non si possi fare piu’, ma s’abbiano a fare procuratori e governatori di detta Fraternita, e’ quali abbiano a tenere diligente conto e dispensare detti beni in onore di Dio e de’ poveri".

E lo statuto del 22 novembre 1528 al Cap. 34 dispone "che gli operai della Fraternita abbiano a mantenere fornitto lo spedale del comune posto nel castel di Montevarchi sulla piazza dell’Olmo di letta, lenzuola e di tutto quello bisognassi per detto spedali e tenervi uno guardiano che abbia ancor cura alle sopradette e di raccattare tutti e’ poveri di Dio, con quel salario che parra’ loro e tre di loro d’accordo" (gli operai erano quattro) "e abbiano a mantenere e tener fornita la Cappella della Vergine Maria del latte di detto comune di tutto quello avessi di bisogno".

Detto all’origine a scopo della Fraternita, daro’ per ultimo un rapido cenno sulla costruzione del palazzo del podesta’, che ebbe luogo sia il 1512 e il 1520. Nella riforma del 15 giugno 1512, considerato [p. 24 modifica]che il palazzo del potesta’ andava in rovina, che era occorso con grave dispendio e incomodo del comune provvedere all’ abitazione a residenza del potesta’ stesso con altro locale preso a pigione e che volendosi disporre la costruzione di un nuovo palazzo, a cagione dei diversi e discordi pareri non si era concluso nulla; vengono nominati cinque uomini di Montuvarchi con piena facolta’ di restaurare il palazzo:

"e quello di nuovo rifare, edificare e finire ove e dove parra’ a’ detti soprascritti o due terzi di loro d’accordo e provvedere e deliberare intorno al dettto palagio alto e basso, come a loro e le sue parti di loro piacera’ di fare".

Cotesti tali avevano ricevuto dal comune 75 fiorini, oltre annui assegnamenti dal comune stesso e dal potesta’ per portare a compimento l’edifizio. Pero’, quando questo fu finito o quasi, non era ancora stato reso conto della erogazione dei 75 fiorini; e la riforma del 13 giugno 1520 incarica altri quattro cittadini di Montevarchi di fare il sindacato di quella somma. Fra questi vi era Matteo di Pagolo Bazzanti, che a quei tempi doveva godere molta stima e fiducia, trovandosi spesso il suo nome fra quelli dei riformatori e di altre persone cui erano affidati speciali e delicate incombenze. Il nuovo palazzo aveva un locale che serviva per le adunanze municipali, trovandosi detto nello statuto del 1528 (cap. 42) che "il Gonfaloniere, otto di spese e Consiglio si adunino nella abitazione nuovamente fatta nel nuovo palazzo del potesta’ di Montevarchi". E la riforma del 12 dicembre 1550, dopo d’ aver [omissis] [p. 25 modifica]nel distaccarle si trova l’impressione dello scritto dell’una sull’altra e alcune non possono distaccarsi senza lacerarle: per il che la maggior parte del manoscritto e’ illeggibile. Vi sonno anche sbagli di cucitura e mancano in un punto due, in un altro quattro carte, cioe’ in tutto dodici pagine. Le rubriche dei diversi capitoli scritte in inchiostro rosso, sono meglio conservate nel testo, come pure le iniziali dei capitoli e quelle dei diversi libri, che sono miniate in rosso e azzurro non senza eleganza. Precede al testo dello statuto un indice delle diverse rubriche assai danneggiato, ma quasi tutto leggibile. Allo statuto seguono riforme e aggiunte dello stesso secolo e del susseguente, scritte da piu’ mani. Il codice ha nel R. Archivio di stato questa classifica: Classe XII n. 749.

Gli statutari sono ser Giovanni di Jacopo, ser Angelo Migliucci, Piero Boretoli, Cecco di Giovanni Paolini, Giovanni Geri, Bernardino Niccoli, Francesco di Jacopo Mucci e Lorenzo Cuffia tutti di Montevarchi. Lo statuto è scritto e pubblicato da ser Lorenzo di ser Angelo da Loro notaro pubblico e scrivano dei detti statutatri, essendo potestà di Montevarchi il nobile uomo Niccolò di Lotteri da Filicaia di Firenze.

Per essere in gran parte leggibili le rubriche dei capitoli, atteso il migliore loro stato di conservazione di fronte al testo, e supplendo dove mancavano le carte coll’ indice del quale ho parlato, ho potuto fare un elenco delle disposizioni contenute nei diversi capitoli dei cinque libri di cui si compone lo statuto; elenco che può dirsi [p. 26 modifica]dato che quando il comune di Montevarchi edificò il palazzo del potestà vi fece una stanza per le adunanze del Consiglio generale, degli operai di Fraternita e di tutti gli altri uffizi del comune, "acciocchè in quella dopo la congregazione degli uffizi non vi si faccia ragunate d’altri uomini con giuochi e altre baie", dispone che ne tenga la chiave il gonfaloniere e la tenga serrata, non dando ad alcuno la chiave meno che per le occorrenze delle adunanze.

Noto finalmente, a titolo di curiosità storica, che l’orologio pubblico a Montevarchi ci era prima del 1496, trovandosi nella riforma del 17 marzo marzo 1495 (1496 stile comune) affidato a Francesco di Biagio fabbro di Montevarchi l’incarico di temperarlo e mantenerlo in buone condizioni perchè vada bene e suoni ora per ora, assegnandogli l’annuo salario di 22 piccioli.

Jacopo Bicchierai