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che il palazzo del potesta’ andava in rovina, che era occorso con grave dispendio e incomodo del comune provvedere all’ abitazione a residenza del potesta’ stesso con altro locale preso a pigione e che volendosi disporre la costruzione di un nuovo palazzo, a cagione dei diversi e discordi pareri non si era concluso nulla; vengono nominati cinque uomini di Montuvarchi con piena facolta’ di restaurare il palazzo:

"e quello di nuovo rifare, edificare e finire ove e dove parra’ a’ detti soprascritti o due terzi di loro d’accordo e provvedere e deliberare intorno al dettto palagio alto e basso, come a loro e le sue parti di loro piacera’ di fare".

Cotesti tali avevano ricevuto dal comune 75 fiorini, oltre annui assegnamenti dal comune stesso e dal potesta’ per portare a compimento l’edifizio. Pero’, quando questo fu finito o quasi, non era ancora stato reso conto della erogazione dei 75 fiorini; e la riforma del 13 giugno 1520 incarica altri quattro cittadini di Montevarchi di fare il sindacato di quella somma. Fra questi vi era Matteo di Pagolo Bazzanti, che a quei tempi doveva godere molta stima e fiducia, trovandosi spesso il suo nome fra quelli dei riformatori e di altre persone cui erano affidati speciali e delicate incombenze. Il nuovo palazzo aveva un locale che serviva per le adunanze municipali, trovandosi detto nello statuto del 1528 (cap. 42) che "il Gonfaloniere, otto di spese e Consiglio si adunino nella abitazione nuovamente fatta nel nuovo palazzo del potesta’ di Montevarchi". E la riforma del 12 dicembre 1550, dopo d’ aver [omissis]