Gli amori di Zelinda e Lindoro/Nota storica
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NOTA STORICA
Ai 12 Settembre del 1763 il Goldoni annunciava da Parigi a S. E. Francesco Vendramin di aver già pronte per quel Teatro Italiano tre commedie; e ai 3 Ottobre scriveva esultante al marchese Francesco Albergati Capacelli: "Oggi otto ho dato al pubblico una mia Commedia intitolata Les Amours d’Arlequin et de Camille. Questa ha avuto un incontro sì universale e sì pieno, che ora posso dire, che la mia reputazione è stabilita a Parigi". Il pubblico ha riso e ha pianto "con egual piacere; il comico li ha divertiti, e l’interesse li ha penetrati, e questo nuovo genere li ha incantati". Anche quelli che non sapevano l’italiano, restarono trascinati e ammirati. "A forza di situazioni, di accidenti, di pantomima, di verità, di natura, d’interesse e di cose simili l’hanno capita, e posso dire che ha incontrato universalmente. Me voilà content" (Lettere di C. G. con proemio e note di E. Masi, 1880, Bologna, pp. 224-226).
E infatti il buon Dottore poteva leggere le lodi entusiastiche della sua commedia nel Mercurio di Francia, dove l’amico De La Garde scriveva la cronaca degli spettacoli teatrali (v. dedica del Curioso accidente, vol. XVIII. p. 111). - Ottobre 1763 "Le 27 Septembre on a donné la première représentation d’une Piece nouvelle en Italien, intitulée Les Amours d’Arlequin et de Camille, qui a eu le plus grand succès, et qui ne pouvait en avoir jamais autant qu’elle en mérite. Ce drame charmant est du célèbre Goldoni- - On ne sçauroit croire combien, dans un sujet si simple, il y a de beautés du vrai genre de la Comédie. Rien n’est si riche d’incidens et chacun sort naturellement, et presque nécessairement, de celui qui le précède. - Dans tout le Drame, le Pathétique de la nature et le Comique le plus plaisant sont tellement assorbis et mêlés ensemble, qu’ ils ne font jamais disparate et produisent chacun leur effet sans se détruire. Cette Piece est très-bien jouée, elle donne lieu surtout à developper les admirables talens de l’Acteur qui porte le masque de Pantalon [il famoso Collalto]; et ceux que l’on connoit à M.lle Camille pour l’art d’exprimer et d’émouvoir par les inflexions du recit, comme par le jeu du visage".
Anche Grimm, l’arcigno Grimm, applaudiva. Dice nella sua Corrispondenza letteraria ecc.: "Cette pièce a beaucoup réussi. La conduite et l’intrigue en sont simples et cependant pleines d’imagination et de ressources. On ne peut lui reprocher que d’étre trop longue. Il y a dans cette seule pièce de l’etoffe pour trois ou quatre comédies" (ed. Tourneux, Paris, V, 1878, p- 399). E Bachaumont nelle Memorie segrete: "On a donne aux Italiens, le 27 septembre, la première représentation d’une pièce nouvelle intitulée Les Amours etc. Ce drame très goûté, quoique italien, est de M. Goldoni. On ne sauroit croire combien, dans ce sujet si simple, il y a de vraies beautés; les incidents en sont très multipliés, et ils s’enchainent tous et sortent naturellement les uns des autres. Le pathétique et le comique sont tellement fondus ensemble dans cette pièce, qu’ils ne font point disparate. M.lle Cornelie [sic] y brille par le sentiment" (Londra, I, 1777, p. 312).
La gioia del Goldoni era tanto più grande, quanto men fortunato era riuscito il primo anno del suo soggiorno in Francia. Poche settimane avanti, il commediografo veneziano lasciava vedere nelle sue lettere il proprio scoraggiamento, e pensava di "ritornare in Italia più presto". Quelle stesse lotte che in patria lo avevano tante volte amareggiato, si erano ripresentate sulle tavole della Commedia Italiana a Parigi, dove gli attori stessi con le loro beghe, con le loro invidie, gli rendevano difficile il trionfo. Ma ora finalmente il vecchio autore che aveva conosciuto tante vittorie, tanti applausi, si sentiva un’altra volta soddisfatto; e l’11 ottobre partecipava al N. U. Vendramin il suo giubilo: "Questa mia nuova commedia ha fatto un grand’incontro a Parigi; l’applauso continua, si aumenta, e sono arrivato a vedere il Teatro pieno, a segno che Domenica hanno fatto di cassetta mille ducati d’argento. La commedia è di grande intreccio, di gran passione, di gran interesse e molto ridicola. Una commedia simile dovrebbe certamente piacere a Venezia ancora. Ma è quasi tutta a soggetto, ed appoggiata alle Maschere, e principalmente all’Arlecchino, che qui è eccellente" (D. Mantovani. C. G. e il Teatro di S. Luca a Venezia, Milano, 1885, p. 203. - Perfino al Voltaire manifestava tale gaudio: v. lettera ed. da Spinelli in Fogli sparsi del Gold., Milano, 1885, p. 118).
Osservo subito come il Goldoni per ottenere un così lieto successo facesse scivolare un po’ di tenerezza, di commozione, di pianto nella allegra famiglia delle maschere: ciò che si vede già nel primo e umile tentativo dell’Amor paterno e, del resto, era anche nelle tradizioni della commedia dell’Arte. Ormai nemmeno i teatri della Fiera, nemmeno il Teatro Italiano a Parigi, si mostravano capaci di salvare la commedia pura in Francia, dove invecchiava la stessa commedia lacrimosa, e la tragedia diventava domestica e borghese, e si affacciava il dramma (v Gaiffe, Le Drame en France au 18e siècle, Paris, 1910, specialmente P. II, ch. I). Il Goldoni non mulina pel capo nè evoluzioni nè rivoluzioni, ma riprende e rinnova a Parigi certi felici esperimenti dei suoi anni trascorsi, quando scriveva pei teatri di Sant’Angelo e di S. Luca, indulgendo al gusto dei tempi e alla sua propria natura di artista.
Sarebbe una inutile ricerca quella degli amori fortunati e contrastati d’Arlecchino nel Seicento e nel Settecento: il motivo dell’azione drammatica è diverso nello scenario goldoniano e poggia sulle misere condizioni dei due amanti. Il Malamani in un suo libro giovanile, dopo aver accennato al misterioso documento scoperto dal Campardon, cioè alla querela per seduzione, presentata da Caterina Lefebure detta Mery contro il Goldoni e ritirata il giorno stesso 19 Ottobre 1763 (Les Comédiens du Roi de la Troupe Italienne, Paris, t. I, 1880, p. 250; V. anche G. Mazzoni, note aggiunte ai Mémoires di C. G., Firenze, t. II, 1907, p. 427), esce in questa singolare ipotesi: "Nessun uomo di mondo darà importanza alla galanteria goldoniana. Chi può dire che gli amori suoi con la signora Caterina non ispirassero al suo genio di poeta i fortunatissimi Amours d’Arlequin et de Camille? Le grandi cose hanno quasi sempre piccole cause" (Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, p. 104). A dire il vero, il commediografo veneziano, per descrivere i tumulti del cuore, poteva risalire a più antiche ma più oneste esperienze.
Poichè la commedia era "per la maggior parte a soggetto" (Mantovani, l. c, 205), il merito si doveva dunque dividere col valentissimo Carlin, cioè con Carlo Bertinazzi di Torino, che il Goldoni nelle Memorie paragona per fama ai più riputati arlecchini, all’antico Biancolelli e al Sacco (v. Campardon, l. c; e Rasi, I Comici Italiani, Firenze, I, 1897, pp. 364 sgg.) e con la servetta veneziana del Teatro degli Italiani, Camilla Veronese, detta senz’altro la Camilla (M.lle Camille). "Pleine d’esprit et de sentiment" ricorda il Goldoni, "elle soutenoit le comique avec une vivacité charmante, et jouoit les situations touchantes avec ame et avec intelligence" Mém.es, p. III, ch. 3). Aveva cominciato a danzare quasi da bambina "con un fuoco, una grazia, una leggerezza ammirabili", con quella sua personcina "grossa come il pugno", con quel viso strano dov’erano "degli occhi enormi e una piccola bocca spiritosa" (Edm. de Goncourt, La maison d’un artiste, Paris, t. II, 1885, p. 174). Non aveva ancora trentanni, ma il teatro e gli amori dovevano ucciderla ben presto (morì nel 1768: v. Rasi, l. c. vol. II, 1905, pp. 641 sgg.; e C Samaran, J. Casanova vénitien, Paris, 1914, pp. 38 sgg., nota bibl. p. 44). Grimm, critico severo e intelligente, rimpianse la sua perdita: "Camille, scriveva, n’etait pas fort eloquente; elle savait assez mal la langue italienne; née a Paris, elle s’était accoutumée à parler français avec des mots italiens....; mais elle avait une grande chaleur, et elle entrainait à depit de ses mauvais discours; elle était d’ailleurs un des plus grands pantomines qu’l y eùt sur aucun theàtre. Tout se peignait sur son visage et dans ses gestes, et cette sorte d’expression, elle l’avait souvent sublime" (l. c, t. VIII, 1879, p. 148). - Ma una fiera delusione ebbe a provare l’autore quando la commedia fu recitata davanti alla Corte a Versailles, o, per usare il suo linguaggio, quando "fu scannata in tre quarti d’ora" perchè il Re doveva andare a cena (Mantovani, l. c., 226: la lettera è certamente dei 9 dicembre 1763, non ’64 come crede l’editore; Masi, l. c., 233. - In questo scenario recitò per la prima volta a Parigi nel 1766 la signora Rosa Brunelli Baccelli quale prima amorosa, insieme con la figlia: Rasi, I, 243 e 516; II, 724).
Abbiamo visto tante volte come il Goldoni studiasse con attenzione l’arte dei suoi interpreti, per ottenere un trionfo più sicuro. Lo scenario parigino non si adattava alla compagnia comica del teatro di S. Luca; perciò l’autore diceva subito dopo al Vendramin, nella lettera citata: "Penso di scriverla tutta di nuovo, cangiar le maschere in personaggi di carattere, e ridurla bene per il Teatro di V. E. Se si potesse conservar l’Arlecchino sarebbe bene, ma non so l’abilità di quello ch’Ella ha presentemente" (Mantovani, l. c, 203-204). E aggiungeva in altra del 17 gennaio ’64 a Stefano Sciugliaga: "Ne intrapresi il travaglio con un piacere grandissimo, ma impegnato nel lavoro, vi scopersi delle massime difficoltà, non già prodotte dall’opera stessa, ma dai riflessi che ho fatti sopra la Compagnia, sopra le Etichette Comiche, e sopra le inevitabili circostanze di dette Commedie". A chi affidare la parte dell’Arlecchino? a chi quella della servetta? "Tutti questi riflessi mi hanno cagionata una rivoluzione nell’animo, e ne ho abbandonata per quest’anno l’impresa" (ivi, 205-207). Finalmente, nell’ottobre di quello stesso anno 1764, gli amori di Zelinda e Lindoro arrivavano a Venezia e il Vendramin se ne rallegrava con l’amico di Goldoni, lo Sciugliaga; ma stabiliva "che sino a S. Martino non avessero a recitarsi" (ivi, 213 e 214) cioè sino al ritorno di molti Veneziani dalla villeggiatura. L’autore stesso aveva fatto "la distribuzione delle parti, in modo che tutti dovessero essere contenti " (ivi, 2 16). Sua Eccellenza, qualche giorno prima della recita, consegnava allo Sciugliaga cento ducati da mandare al Goldoni secondo l’accordo (ivi, 218). Tuttavia l’esito non fu molto buono e il commediografo veneziano, lontano dalla sua città, ne accagionava il malvolere dei comici: come si rileva dalle Memorie (P. 3, ch. XI) e da una lettera di Stefano Sciugliaga al Vendramin, dei 17 dicembre: "Mi scrive ancora (intendi il Goldoni) che la prima Commedia non sarebbe riuscita così languida senza le maledette etichette". E invero se il primo interprete di Lindoro fu certamente Bartolomeo Camerani, non sappiamo se la prima Zelinda fosse la vivace servetta Elisabetta Zanuzzi Catroli, oppure, com’è più probabile, la famosa Bresciani, l’Ircana: l’una e l’altra del resto poco adatte a rendere un personaggio sensibile che avrebbe dovuto commuovere il pubblico "con le sue lacrime" (lett. del Gold. 17 gennaio ’64: Mantovani, l. c., 206), e l’una gelosa e invidiosa dell’altra.
Chi segua attentamente il primo atto della commedia sulla traccia dello scenario francese, quale ci fu conservato dal Desboulmiers nel t. VIII dell’Histoire anecdotique et raisonnée du Théâtre Italien (riprodotto da noi in Appendice), vedrà come l’autore restasse fedele nella riduzione italiana all’abbozzo originale; ma si accorgerà facilmente quanto fosse più adatto all’azione alquanto romanzesca e poco verisimile, il mondo fantastico delle maschere. Arlecchino e Camilla si muovono meglio accanto a Scapino e a Celio, vivono meglio la loro vita di arte nella casa di Pantalone, che non Zelinda e Lindoro, in mezzo a Fabrizio e a don Flaminio, in casa di don Roberto. Quel mondo lo conosciamo ormai da un pezzo, e ha la sua poesia, ma trasportato nella realtà perde i suoi colonri, perde la vivacità, scopre troppo i fili che lo reggono, la macchina di cartone e di similoro. Tuttavia in questo primo atto conviene ammirare anche nel testo italiano la mano esperta del commediografo, specialmente in quella scena XII dove il segreto dell’amore di Zelinda per Lindoro prorompe appassionatamente nel pianto così da commuovere don Roberto e tutto il pubblico: Zelinda è qui degna di altre figure del vecchio teatro goldoniano, di Corallina, la serva amorosa, e di Pamela; ma certo la comprendiamo meglio sul palcoscenico, davanti agli spettatori, interpretata da una intelligente artista, che non alla fredda lettura.
Del secondo atto, molto più debole e artificioso, nulla più ci resta dell’antico canovaccio, se non un magro riassunto. Vi facciamo la conoscenza di Barbara, una cantatrice che non è una vera cantatrice, una virtuosa che ha della virtù, che non appartiene alla infinita famiglia delle canterine e pelarine del Settecento, ben note nel teatro goldoniano (v. la Bancarotta, l’Impresario delle Smirne ecc.: C. Dejob. Les femmes dans la comédie etc, Paris, 1899, pp. 221 sgg.; e Chatfield-Taylor, Goldoni, New York, 1913, pp. 508-9): una buona figliuola d’un onorato e disgraziato mercante in cerca di un buon matrimonio. E anche per questo priva d’ogni rilievo artistico. A Parigi, negli Amori di Arlecchino e Camilla, Barbara cantava veramente e l’attrice Tognosi che ne interpretava la parte, strappò gli applausi con le sue ariette (E. Maddalena, Gold. e Favart, Venezia. 1899, pp. 19-20).
Nel terzo atto del canovaccio francese viene segnata la scena "comicissima" fra Arlecchino, Camilla e Scapino: Arlecchino, che nelle tradizioni del teatro dell’arte non ha una sensibilità morale molto acuta, vorrebbe accettare il pranzo e il denaro del suo rivale. Ricordiamo Marivaux, ricordiamo lo stesso Goldoni nei primi anni della sua riforma. Ma il comico sparisce e la delicatezza di Lindoro ne soffre senza ragione nella scena VII della commedia italiana. Quanto alle scene d’amore in questo atto e nei precedenti, così difficili sempre nel teatro, non vi riconosciamo ne l’arguta vivacità popolare, nè la grazia o la passione del Settecento. L’autore affida qui un compito troppo grave ai suoi interpreti o, per dir meglio, collaboratori. La sola novità consiste dunque nel saper tenere abilmente desta la curiosità e la pietà del pubblico sui casi incerti e dolorosi dei due giovani e sfortunati amanti. Quanto a don Flaminio e a Fabrizio meglio era farne audacemente due seduttori di professione che degli insulsi innamorati. Zelinda non è Mirandolma. La commedia e la satira mancano. Peggio, manca la vita. A far ridere non restano che i capricci di donna Eleonora, vecchia conoscenza goldoniana, una figura femminile riprodotta con vera predilezione nei più svariati atteggiamenti (arguta la scena V del terzo atto). Al teatro dell’arte dobbiamo i lazzi del facchino nel secondo atto.
Notiamo di volo che il Goldoni ha trasportato l’azione da Venezia a Pavia, nella città dei suoi studi e passatempi giovanili, evocata qua e là tanti anni avanti nella Donna di garbo: ma scorgiamo appena qualche albero, qualche barca in riva al Ticino; vediamo arrivare un burchiello, forse il famoso burchiello descrittoci nelle Memorie (v. vol. I della presente ediz., pp. 33 e 37) e sentiamo ricordare l’osteria del Bissone. - Zelinda e Lindoro, questi due nomi ai quali il Goldoni diede cittadinanza italiana, sono nomi pastorali francesi del tempo di Luigi XIV e di Luigi XV, familiari anche al teatro. Nel 1745 a Versailles si rappresentava un’opera-ballo di Moncrif, Zelindor re dei Silfi e a Parigi, nel dic. del ’63, proprio sulle scene della Commedia Italiana, un insulsa opera-comica, Zélie et Lindor. In un piccolo conte che leggevasi nel 62, Zélindiens erano chiamati per ischerzo i Parigini. Ma Lindoro io conoscevamo già nei drammi buffi del Goldoni, e più volte avevamo riso di madama Lindora. Finalmente nel 1770 il conte Calini di Brescia riportava il premio della tragedia nel concorso di Parma con una infelice Zelinda.
Le vicende di questa commedia, che forma la prima parte di una trilogia, sono strettamente congiunte con la Gelosia di Lindoro e con le Inquietudini di Zelinda. Quasi sempre gli storici e i critici del Goldoni coinvolsero le tre commedie in un solo giudizio comune; e anche nella recita di rado si separarono gli Amori, annunciati qualche volta semplicemente col titolo di Zelinda e Lindoro, dalla Gelosia, benchè a quest’ultima arridesse miglior fortuna. Sulla fine del Settecento pare tuttavia che gli Amori godessero la preferenza: a Venezia li vediamo, per es., rappresentati il 29 novembre 1796 dalla compagnia Battaglia (a S. Gio. Grisostomo), il 16 ottobre 1797 dalla compagnia Ferelii (a S. Luca, con questo avviso: Gli Amori di Z. e L. del cittadino Goldoni), il 23 ottobre 1798 dalla compagnia di Antonio Goldoni (S. Luca): v. Giornale dei Teatri di Venezia. Trovo poi sul teatro di S. Gio. Grisostomo la sera del 15 novembre 1797, gli Amori di Truffaldino e Corallina "commedia dell’arte": scenario probabilmente goldoniano, perchè non ricordato negli antichi zibaldoni. Nella compagnia Battaglia grandi applausi otteneva la servetta Maddalena Gallina. Nell’ottobre del 1803 si recitarono, ai 15 e ai 29, gli Amori di Zelinda e di Lindoro dalla compagnia Battistini e Scrovazzo (S. Luca: v. Giornaletto teatrale di Velli e Menegatti); ai 29 maggio 1817 dalla compagnia Marchionni (S. Luca: Gazzetta privilegiata di Venezia). Intanto, nella primavera del 1803, si udì a Venezia, nel teatro di S. Gio. Crisostomo, una farsa di Giulio Domenico Camagna, Zelinda e Lindoro, cavata appunto dagli Amori e musicata dal maestro Vincenzo Pucitta (C. Musatti, Drami musicali di Gold., e d’altri tratti dalle sue commedie, Venezia, 1898, p. 6); ripetuta a Zara nell’ottobre del 1804 (v. Gazzetta dei teatri, in Galleria teatrale). Poi gli Amori sembrano sparire dalle scene veneziane, mentre vi trionfano spesso le Gelosie e qualche volta le Inquietudini. Li ritroviamo tuttavia a Milano (teatro Re, comp. Marchionni, 24 marzo) e a Torino (teatro D’Angennes, comp. Mascherpa e Velli, 24 ottobre) nel 1820 (v. i, in Biblioteca teatrale, Venezia); a Torino ancora nel 1823 (comp. Reale Sarda: v. Costetti, La compagnia R. Sarda, Milano, 1893, p- 34) e a Milano nel marzo 1828 (teatro Re, comp. R. Sarda: v. I Teatri, giornale drammatico ecc.) e nel carnevale 1829 (teatro Re, comp. Raftopulo, v. I Teatri). Quindi le recite sempre più si diradarono, senza sparire del tutto: una ricordiamo a Zara, nel 1858 (comp. Coltellini: v. Il Dalmata, 27 febbraio 1907).
A una rappresentazione degli Amori assisteva nel 1801 a Bergamo lo Stendhal (Enrico Beyle) giovinetto, e notava nel suo Giornale: "29 floréal. On a joué ce soir Zelinda e Lindoro, excellente comédie de Goldoni; on pourrait en tirer une bonne pièce française". Pochi giorni dopo un libraio gli prestava il primo tomo della edizione Zatta, e il giovane ufficiale cominciava subito a tradurre gli Amori. In due settimane la versione era pronta: "23 prairial. A une heure du matin, fini la traduction de Zélinde et de Lindor" (v. Journal d’Italie, Paris, Calman-Levy, 3«ed., pp. 13, 17 e 18. L’Arbelet che curò l’edizione, annota: "Cette traduction existe à la bibliotheque de Grenoble [R. 5896, t. 14]. On y voit que Beyle la commencee le 7 prairial, et finie le 23, à une heure du matin"). - Aggiungerò ancora per la fortuna di questa commedia, che nel 1847 fu stampata con poche altre a Parigi, in un volume di Commedie scelte di C. G., col semplice titolo di Zelinda e Lindoro (J. H. Truchy libraio).
G. O.
Gli Amori di Zelinda e Lindoro furono stampati la prima volta a Venezia, l’anno 1788, nell’edizione Zatta (Cl. 1. t. I) e subito dopo a Livorno (ed. Masi. t. IV. 1788) e a Lucca (Bonsignori, t. XI, 1789); quindi a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, 1791) e di nuovo a Venezia (Garbo, t. I, 1794). - Abbiamo qui seguito fedelmente il testo dell’ed. Zatta, esemplato sul manoscritto dell’autore, benchè pur troppo non privo di piccole scorrezioni, confrontandolo con le altre ristampe che derivarono da quell’unica fonte comune.