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tutti dovessero essere contenti " (ivi, 2 16). Sua Eccellenza, qualche giorno prima della recita, consegnava allo Sciugliaga cento ducati da mandare al Goldoni secondo l’accordo (ivi, 218). Tuttavia l’esito non fu molto buono e il commediografo veneziano, lontano dalla sua città, ne accagionava il malvolere dei comici: come si rileva dalle Memorie (P. 3, ch. XI) e da una lettera di Stefano Sciugliaga al Vendramin, dei 17 dicembre: "Mi scrive ancora (intendi il Goldoni) che la prima Commedia non sarebbe riuscita così languida senza le maledette etichette". E invero se il primo interprete di Lindoro fu certamente Bartolomeo Camerani, non sappiamo se la prima Zelinda fosse la vivace servetta Elisabetta Zanuzzi Catroli, oppure, com’è più probabile, la famosa Bresciani, l’Ircana: l’una e l’altra del resto poco adatte a rendere un personaggio sensibile che avrebbe dovuto commuovere il pubblico "con le sue lacrime" (lett. del Gold. 17 gennaio ’64: Mantovani, l. c., 206), e l’una gelosa e invidiosa dell’altra.

Chi segua attentamente il primo atto della commedia sulla traccia dello scenario francese, quale ci fu conservato dal Desboulmiers nel t. VIII dell’Histoire anecdotique et raisonnée du Théâtre Italien (riprodotto da noi in Appendice), vedrà come l’autore restasse fedele nella riduzione italiana all’abbozzo originale; ma si accorgerà facilmente quanto fosse più adatto all’azione alquanto romanzesca e poco verisimile, il mondo fantastico delle maschere. Arlecchino e Camilla si muovono meglio accanto a Scapino e a Celio, vivono meglio la loro vita di arte nella casa di Pantalone, che non Zelinda e Lindoro, in mezzo a Fabrizio e a don Flaminio, in casa di don Roberto. Quel mondo lo conosciamo ormai da un pezzo, e ha la sua poesia, ma trasportato nella realtà perde i suoi colonri, perde la vivacità, scopre troppo i fili che lo reggono, la macchina di cartone e di similoro. Tuttavia in questo primo atto conviene ammirare anche nel testo italiano la mano esperta del commediografo, specialmente in quella scena XII dove il segreto dell’amore di Zelinda per Lindoro prorompe appassionatamente nel pianto così da commuovere don Roberto e tutto il pubblico: Zelinda è qui degna di altre figure del vecchio teatro goldoniano, di Corallina, la serva amorosa, e di Pamela; ma certo la comprendiamo meglio sul palcoscenico, davanti agli spettatori, interpretata da una intelligente artista, che non alla fredda lettura.

Del secondo atto, molto più debole e artificioso, nulla più ci resta dell’antico canovaccio, se non un magro riassunto. Vi facciamo la conoscenza di Barbara, una cantatrice che non è una vera cantatrice, una virtuosa che ha della virtù, che non appartiene alla infinita famiglia delle canterine e pelarine del Settecento, ben note nel teatro goldoniano (v. la Bancarotta, l’Impresario delle Smirne ecc.: C. Dejob. Les femmes dans la comédie etc, Paris, 1899, pp. 221 sgg.; e Chatfield-Taylor, Goldoni, New York, 1913, pp. 508-9): una buona figliuola d’un onorato e disgraziato mercante in cerca di un buon matrimonio. E anche per questo priva d’ogni rilievo artistico. A Parigi, negli Amori di Arlecchino e Camilla, Barbara cantava veramente e l’attrice Tognosi che ne interpretava la parte, strappò gli applausi con le sue ariette (E. Maddalena, Gold. e Favart, Venezia. 1899, pp. 19-20).

Nel terzo atto del canovaccio francese viene segnata la scena "comicissima" fra Arlecchino, Camilla e Scapino: Arlecchino, che nelle tradizioni del teatro dell’arte non ha una sensibilità morale molto acuta, vorrebbe accettare il pranzo