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e il denaro del suo rivale. Ricordiamo Marivaux, ricordiamo lo stesso Goldoni nei primi anni della sua riforma. Ma il comico sparisce e la delicatezza di Lindoro ne soffre senza ragione nella scena VII della commedia italiana. Quanto alle scene d’amore in questo atto e nei precedenti, così difficili sempre nel teatro, non vi riconosciamo ne l’arguta vivacità popolare, nè la grazia o la passione del Settecento. L’autore affida qui un compito troppo grave ai suoi interpreti o, per dir meglio, collaboratori. La sola novità consiste dunque nel saper tenere abilmente desta la curiosità e la pietà del pubblico sui casi incerti e dolorosi dei due giovani e sfortunati amanti. Quanto a don Flaminio e a Fabrizio meglio era farne audacemente due seduttori di professione che degli insulsi innamorati. Zelinda non è Mirandolma. La commedia e la satira mancano. Peggio, manca la vita. A far ridere non restano che i capricci di donna Eleonora, vecchia conoscenza goldoniana, una figura femminile riprodotta con vera predilezione nei più svariati atteggiamenti (arguta la scena V del terzo atto). Al teatro dell’arte dobbiamo i lazzi del facchino nel secondo atto.

Notiamo di volo che il Goldoni ha trasportato l’azione da Venezia a Pavia, nella città dei suoi studi e passatempi giovanili, evocata qua e là tanti anni avanti nella Donna di garbo: ma scorgiamo appena qualche albero, qualche barca in riva al Ticino; vediamo arrivare un burchiello, forse il famoso burchiello descrittoci nelle Memorie (v. vol. I della presente ediz., pp. 33 e 37) e sentiamo ricordare l’osteria del Bissone. - Zelinda e Lindoro, questi due nomi ai quali il Goldoni diede cittadinanza italiana, sono nomi pastorali francesi del tempo di Luigi XIV e di Luigi XV, familiari anche al teatro. Nel 1745 a Versailles si rappresentava un’opera-ballo di Moncrif, Zelindor re dei Silfi e a Parigi, nel dic. del ’63, proprio sulle scene della Commedia Italiana, un insulsa opera-comica, Zélie et Lindor. In un piccolo conte che leggevasi nel 62, Zélindiens erano chiamati per ischerzo i Parigini. Ma Lindoro io conoscevamo già nei drammi buffi del Goldoni, e più volte avevamo riso di madama Lindora. Finalmente nel 1770 il conte Calini di Brescia riportava il premio della tragedia nel concorso di Parma con una infelice Zelinda.

Le vicende di questa commedia, che forma la prima parte di una trilogia, sono strettamente congiunte con la Gelosia di Lindoro e con le Inquietudini di Zelinda. Quasi sempre gli storici e i critici del Goldoni coinvolsero le tre commedie in un solo giudizio comune; e anche nella recita di rado si separarono gli Amori, annunciati qualche volta semplicemente col titolo di Zelinda e Lindoro, dalla Gelosia, benchè a quest’ultima arridesse miglior fortuna. Sulla fine del Settecento pare tuttavia che gli Amori godessero la preferenza: a Venezia li vediamo, per es., rappresentati il 29 novembre 1796 dalla compagnia Battaglia (a S. Gio. Grisostomo), il 16 ottobre 1797 dalla compagnia Ferelii (a S. Luca, con questo avviso: Gli Amori di Z. e L. del cittadino Goldoni), il 23 ottobre 1798 dalla compagnia di Antonio Goldoni (S. Luca): v. Giornale dei Teatri di Venezia. Trovo poi sul teatro di S. Gio. Grisostomo la sera del 15 novembre 1797, gli Amori di Truffaldino e Corallina "commedia dell’arte": scenario probabilmente goldoniano, perchè non ricordato negli antichi zibaldoni. Nella compagnia Battaglia grandi applausi otteneva la servetta Maddalena Gallina. Nell’ottobre del 1803 si recitarono, ai 15 e ai 29, gli Amori di Zelinda e di Lindoro dalla compagnia Battistini e Scrovazzo (S. Luca: