Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri/Libro II/VIII

Libro II - Cap. VIII

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CAPITOLO OTTAVO.

Cammino sino a Bursa Metropoli della Bitinia,

e descrizione di quella Città.


D
Ubbitando non venisse di bel nuovo la frenesia al Brancaleone, Sabato 6. ben di notte fui a trovare il Catargì, o mulattiere di Bursa, per andar per terra colla prima occasione in quella Città. Presi in affitto due cavalli per me, e per lo servidore, quindici piastre; pagando mezza soma apparte per le mie robe. Proccurai dopo aver udita la Messa la Domenica 7. licenziarmi a tutta fretta dagli amici, ma non dal Consolo, per tema dell’Anconitano: ed essendo già pronte il Lunedì 8. le mie robe (che avea lasciate in casa dell’amico Ripera) non potemmo partire, essendo impedito da un’affare il Capo della Caravana.

Il Martedì 9. di buona ora cominciammo a camminare col resto della Caravana, composta di 110. fra mule, e cavalli. Di quindici in quindici giorni sempre partono da Smirne per Bursa simili compagnie, alla maniera de’ nostri Procacci di Napoli. Giugnemmo in Manasia a fine [p. 351 modifica]di 30. m.: 10. di pianura, e 20. di montagne. Quivi sopraggiugnemmo parte della Caravana, ch’era partita il giorno antecedente, e s’era rimasa la sera a Bungarbascì, per dar tempo d’unirvisi gli altri viandanti.

Manasia è una Città grande quanto Smirne, posta su le falde d’un’alto monte. Le sue case sono basse, e di fango, fuorche alcune abitazioni di persone qualificate. Ha gran quantità di Moschee; e sopra la sommità del monte, un vecchio castello rovinato, che nondimeno era dominato da un’alta Rocca. Un Cadì la governa, il quale ha 500. aspri al giorno dal G. Signore, che i Turchi stimano un gran soldo.

Lasciai d’andar per Mare a causa dell’insolenza de’ Turchi; e credendo per terra, trovare miglior comodità, sperimentai tutto il contrario; non trovando altro alloggio quella sera, che la nuda terra, sopra la quale feci porre il mio letticciuolo, e coprirmi da capo a piedi, (senza levarmi gli stivali) a causa del rigore del tempo. Se avessi saputo la lingua, avrei potuto dentro la Città trovare albergo; ma era pericoloso separarsi dalla Caravana. I Turchi però, che son [p. 352 modifica]duri come bestie, non stimavano gran disagio dormire sul suolo a Ciel’aperto; siccome fecero tutti con sì placido, e profondo sonno, che pareva che giacessero sopra un morbido letto; con tutto che fussero calati a piedi dalla montagna coperta di neve.

Mi risvegliai agghiacciato la mattina del Mercordì 10. e non potendomi difendere dal gelato ambiente le mura della stanza, che non avevamo; proccurai riscaldarmi con cioccolata al di dentro, e con buon fuoco al di fuori. Partimmo poi di buon’ora per paese piano (toltone tre miglia di monte) e facendo la giornata senza prendere altro riposo, che quanto si pote fare una picciola colatione, venimmo la sera a dormire nel Cunac (al parlare de’ Turchi) di Balamuc, picciolo Casale posto in piano. Dormimmo la notte dentro il Karvanserà o stalla, di camerata con le bestie.

Passammo, a tre miglia di Manasia, per una strada battuta di pietre sopra paludi, che bisognò costasse molto, non essendovi pietre all’intorno. Nondimeno, con tutto che si facesse a spese del Sultano, e delle Città convicine, non perciò esiggono alcun dritto per lo [p. 353 modifica]passo, come fariano altrove. Al fine di questa strada passammo un grosso fiume per un ponte di legno.

Giovedì 11. prima dell’alba ci ponemmo in cammino, però come che si andava con molte bestie da soma, non si fecero in tutto che 32. miglia, o dieci ore di strada (per esplicarmi all’uso Turchesco) quanto si conta sino al Cunac di Jalembi. Egli si è certamente di grande incomodo il viaggiare in tale stagione con Turchi; imperciocchè eglino non solamente non danno spazio alcuno di riposo a’ cavalli, ma nemmeno tempo di ristoro a’ viandanti; ond’è, che mi faceva d’uopo servirmi tra via dell’istessa bardella (non usando quei mulattieri selle) per mensa. S’aggiunse poi l’angustia del Karvanserà, che ne obbligò da senno, a stare in conversazione colle bestie; ed io in particolare feci il mio letticciuolo sulla mangiatoia, dopo aver molto stentato a farlo asciugare, avendolo seco tratto nel fiume il mio servidore Armeno, quando vi cadde scioccamente da cavallo. Per altro poi il mio Catergì avea un ragazzo molto discreto, che per pochi parà, che io gli donava di quando in quando, mi serviva attentamente, [p. 354 modifica]come se fusse stato mio servidore. Gli altri Maomettani mi si mostravano eziandio cortesi, e fra gli altri un Moro di Tunisi regalommi di caffè, e melloni.

Il Venerdì 12. camminammo per montagne asprissime, incomodati molto dalle nevi, ch’erano in terra, e da quelle, che attualmente cadevano dal Cielo. Dopo 24. miglia di cammino fatte in otto ore, giugnemmo circa mezzo dì in Curiungiuch, picciolo Casale posto fra’ monti: onde ebbi agio di riposarmi. In paese di Turchi non si truovano luoghi abitati, che uno, o due al più in una giornata; e perciò fa di mestieri adattarsi il più delle volte alla comodità de’ Xan, o Karvanserà. E quì mi rammenta, che quei barbari si servono dell’istesse parole, nasi nasic (che significa cavalcare suo padre, e madre) e Giaur, per far camminare i cavalli, che sogliono dire per ingiuria a’ Cristiani, sempre che ne incontrano. I viveri non sono molto cari nel cammino, avendosi per un parà sette uova, e per dieci una gallina; buoni melloni d’Inverno per due para l’uno, e per altrettanti pane bastante per un giorno.

Il Sabato 13. di buon’ora ci ponemmo a cavallo, e dopo aver fatto 53. miglia [p. 355 modifica]di cammino in undeci ore, per montagne coperte di neve, e ghiacci; giugnemmo in Mindoyra, passando per una strada di felici, tre miglia prima d’entrare al Xan. Questo, ed otto altri della stessa picciolezza, è situato in una pianura circondata da montagne, molto simile a quella di Puglia del Regno di Napoli, anche per l’ottimo terreno.

Allo spuntar dell’alba Domenica 14. seguitammo il cammino per cattive montagne, e dopo 11. ore, e 33. m. di strada giugnemmo tardi in Susegrelì; luogo frequentato di poche case coperte di paglia, in vicinanza d’un grosso fiume, con due magnifici Xan. La giornata fu per me infelice, poiche volendomi restar indietro cacciando, dando poi fretta al cavallo, mi cadde quattro volte nell’acqua, e mi bagnai bene.

Continuammo Lunedì 15. il viaggio per paese piano sì, ma molto fangoso; a segno tale, che volendo farsi tutta la giornata, al solito, senza prender riposo, e dar ristoro a’ cavalli; rimasero molti di questi indietro, e ci lasciarono al meglio; onde non potemmo fare che quindici miglia in cinque ore, sino al Casale di Hiermurgia; dove non [p. 356 modifica]essendo alcun Xan, convenne albergare in case particolari di Turchi. In passando il fiume, il cavallo che portava la mia valige, vi cadde dentro, e bagnò tutta la roba.

Il Martedì 16. dopo aver fatto 15. miglia in 6. ore, per una strada fangosa, giugnemmo in Lubat; dove dovevamo esser giunti sin dal giorno antecedente, se non fusse stata la cattiva strada: ciò che ci obbligò anche a mandare i cavalli scarichi per terra, e la roba per acqua, a contrario della corrente del fiume; pagandosi un zecchino per la barca.

Lubat per quanto le sue mura, e Torri all’intorno dimostrano, egli si è un’antica Città. Sul fiume vi sarebbe un gran ponte di pietra, ma i Turchi lo lasciano andare in rovina, contentandosi di passare in barca all’altra riva. Di cinque Giudei, che venivano con la Caravana per andare a Burza, o Brussa (secondo il parlar de’ Turchi) il Caragiere ne prese uno prigione, che non avea il bollettino d’aver pagato il Caragio, o Tributo: perocchè i ricchi pagano quattro zecchini, i meno agiati due, e’ poveri uno.

Il Mercordì 17. ne partimmo in barca [p. 357 modifica]sul mentovato fiume (largo circa un quarto di miglio) il quale nasce da una palude, o lago, per cui noi poscia passammo a veduta de’ piccioli villaggi di Caragaci, e Bulugnat, che anticamente era serrato da mura, come può conoscersi dalle vestigia. Sbarcammo dopo sei ore e mezza, e 24. miglia di strada, in vicinanza del Casale di Nacilar, dove ci attendevano i mulattieri. Tornata a caricar la roba, ci riponemmo in cammino; e dopo aver fatto sei miglia in due ore, ci riposammo nel Cunac d’Hassan. Aga-chioy, dove per Xan non trovammo altro, che una picciola stalla in piano, incapace dì tutta la gente, e de’ cavalli; e pure non eravamo, che circa venti persone; essendosi la maggior parte della compagnia separata da noi in Susegrelì, per andare in Sardac, e passare di là in Gallipoli, e quindi rendersi in Adrianopoli. Lo Xan capace era in Taatale due ore più avanti.

Ci ponemmo in cammino prima di giorno il Giovedì 18. e dopo sei ore, e 18. miglia, giugnemmo in Bursa, o Prusa. Questa Città in altezza di 41. gr. e 40. m. è posta a piedi del Monte Olimpo, che i Turchi dicono Geschisdag, o Reschisdag, ed [p. 358 modifica]Ana-Tolay-dag. Asiæ nova descrip. 12. cap. 19.Vogliono alcuni, che sia stata fabbricata da Annibale, dopo la vittoria riportata da’ Romani sopra Antioco: altri dal Re Prusiade, o Prusia Lexic. Geograph. Philip. Ferrar. verb. Prusa. negli anni del Mondo 3279. e che sia stata Reggia degli antichi Re di Bitinia, prima d’esser soggiogata da Orcane II. Imperador Ottomano nel 1300. Fu prima Sedia Vescovale, e poi ebbe la dignità di Metropoli. Prerogative, che non perse sotto il giogo de’ Barbari, poiche su Reggia degli Ottomani, prima dell’acquisto di Costantinopoli: e pure se si vorrà dritto considerare, non ha che cedere in pregio all’istessa Costantinopoli; imperciocchè non è inferiore a questa nella sua dignità, oltre d’esser frequente soggiorno del Sultano, ed esservi sepolcri de’ Principi dell’Ottomana famiglia (eccetto gl’Imperadori, che restano in Costantinopoli.) Abbonda egualmente di mercanzie, e la supera nelle sete; per la grandissima quantità, che ne viene dalla Sorìa, e da tutto l’Oriente; che poi ivi si pone in opra, anche con oro, ed argento, per farsene negozio in Europa. Tiene alle spalle (siccom’è detto) il Monte Olimpo, donde sgorga il fiume Rhindaco, che separa la Bitinia dall’Asia minore, ed è il più [p. 359 modifica]grande di quanti si perdono nella Propontide. Il monte è altissimo, sterile nella sommità, e coperto sempre di neve; nel mezzo abbonda di melegrane; ed alla falda (dove è fabbricata la maggior parte di questa famosa Città) di amenissimi giardini; deturpato però dalla prodigiosa quantità di mostruosi serpenti, che vi nascono. Chiamano i Greci quello Monte Caloyeron-oron, per gli Monisterj, che vi sono.

Fu Bursa patria d’Asclepiade medico famoso, che morì venendogli meno una scala Plin. lib. 7. Atl. in descr. Bithyn.: di Dione Prusio, chiamato per la eloquenza il Crisostomo, che lasciò scritti dieci libri delle virtù d’Alessandro il Grande, ed 80. orazioni in Greca favella.

Questa Città (che per gli Bagni può dirsi il Pozzuolo della Bitinia) è di figura irregolare, e si può dire una confusione di fabbriche; poiche essendo situata ad Oriente a piedi di due monti, che fanno la figura d’un braccio curvo; si vede la più parte sull’alto, o in valli, o sopra balze riposta. Si scorge su d’una eminente balza il Serraglio del Gran Signore, (Sede lungo tempo degli Imperadori Ottomani) serrato da buone fabbriche [p. 360 modifica]di doppie mura, con Torri in proporzionati spazi; però tutto se ne va in rovina per la negligenza de’ Turchi. L’altra parte della Città stà sulle pendici, e a’ piedi d’altra sublime montagna, o più tosto braccio della mentovata, che sovrasta al Castello; e gode d’una bellissima veduta della campagna, per più miglia all’intorno piantata di viti, ed adorna di verdeggianti giardini, e di molti popolati villaggi; in maniera tale, che in estate vi passa a diporto la nobiltà, e cittadinanza, per godere il fresco del Bugarbascì, ch’è un gran prato innaffiato da grossa sorgiva di buone acque, che scorre dal monte, per provvederne più contrade della Città.

Continuando a vedere le parti questa nobil Città; e principiando dalla parte del Castello, o Serraglio vidi in prima il quartiere de’ Giudei, in fine del quale sulla medesima falda del monte trovai un buon Biscisten, (luogo serrato, e coperto, dove si vendono le cose preziose) e migliori Serscì, o Bazar con ricche botteghe di mercanzie; e seguitando a camminare, vidi più strade d’ogni sorte d’artefici, e molto popolate. Le strade, e case di questa Città sono buone, per [p. 361 modifica]essere in paese Turchesco, e più ben fatte di quelle di Smirne, la qual vien superata da lei nella grandezza, però non credo nel numero d’anime.

Riposta ch’ebbi la roba nel Xan di Eschienghì, presi un Giudeo per gir vedendo meglio la Città; però mentre andavamo al Castello, fu quegli carcerato dal Caragiere, per lo tributo; onde bisognò trovarne un’altro, il quale mi menò a’ tanto rinomati bagni, lontani mezza ora dalla Città. Entrato nel grande detto Capligià in lingua Turchesca, (che vuol dire luogo caldo) trovai nella prima stanza o sala, che aveva due cupole, un buon fonte d’acqua fresca: quivi si spogliano, essendovi all’intorno il Soffà per sedere, e ripor le robe. Indi si passa per due porte al bagno: da sinistra evvi una stanza per dormire, quando vi si voglia restar di notte, ed altri comodi luoghi con loro fonti caldi, ed un fresco. Passandosi più avanti si vede un’altra stanza, della quale il tetto, è come le prime, coperto d’una cupola con spiragli per esalare il caldo, parimente con una fontana nel mezzo, e tre picciole tiepide nelle mura. Più oltre a destra è una picciolissima camera con tre altre sorgive [p. 362 modifica]d’acqua, e due a sinistra. Indi s’entra nel bagno, ch’è rotondo, coperto di cupola con più forami, e profondo sette palmi; con due scale per scendervi, e all’intorno sette sorgive d’acqua calda. Quando io vi andai vi erano molti Turchi, che nuotavano, si lavavano, e radevano. Io dopo essermi lavato, e fattomi fregar le spalle con un panno di lana, non potendo resistere al caldo, uscii fuori, e mi feci radere da un Turco nella seconda stanza. Quest’acqua viene dal monte così calda, che le uova in brieve tempo vi si cuocono; e se non fusse, che si tempra con altre acque fresche, nulla persona ne verrebbe fuori colla pelle intera.

Il bagno delle donne è separato, ma vicino a quello degli uomini; solamente il Lunedì le donne vengono nel bagno degli uomini, e quelli possono andare a quello delle donne.

Lontano un colpo di schioppo è un’altro bagno detto Chiuchiurtlì, o sudatojo, e le sue acque sono ben differenti dall’altre: giova a’ dolori inveterati. Entrai nella prima stanza, e la trovai della stessa maniera dell’altro, con una fontana d’acqua fresca, e luoghi per sedere. Indi passai in una camera, dove [p. 363 modifica]all’intorno erano sei fonti d’acqua d’un caldo tollerabile, ed altrettanti in un’altra molto oscura; dalla quale passai con granissimo caldo nel sudatojo, dove è una sorgiva d’acqua, che scotta: vi stava un’infermo sudando sul suolo. Non è però così bello l’edificio di questo, come del grande, che per tutto è lastricato di marmi di diversi colori.

Montai poscia per una salita molto erta a vedere il Serraglio, annoverato dal Tavernier fra i migliori dopo quelli di Costantinopoli, ed Adrianopoli. Trovai un palagio ordinario di malissime fabbriche, e tutto rovinato; perche mi dissero che erano già 35. anni, che i Sultani non venivano ad abitarvi; essendovi stato solamente Mahemet IV. nel principio del suo Imperio. Per lo passato, siccome ho detto di sopra, Bursa era continuo soggiorno de’ Sultani; onde vi si veggono cinque tombe de’ medesimi, sepelliti nella Moschea di Amurat Bey; ed altre tre di Sultane, e loro figliuoli, giusta il modello di quelle di Adrianopoli, e Costantinopoli, sebbene non così ricche di marmi.

Il Venerdì 19. mi condusse il Giudeo tre miglia lontano dalla Città, verso [p. 364 modifica]Montagnà nel bagno d’Eschi-Capligia, o bagno vecchio, dove è la terza acqua minerale differente dall’altre due, che giova similmente a’ dolori, ed altre infermità. Entrandovi si ritrova una stanza grande con due cupole, ed un fonte in mezzo, come negli altri bagni, e passandosi in un’altra camera si vede un’altro fonte nel mezzo d’acqua fresca, e due a’ lati di calda. Entrandosi oltre, si truova il luogo, dove si bagnano, lastricato di marmi, e profondo sei palmi, con cinque grossi canali d’acqua calda all’intorno. Di questo si cava poco profitto, perché molti vi entrano gratis; però del grande di Capligia ricava il Gran Signore otto cento piastre d’affitto l’anno; e dell’altro di Chiuchiurtlì buona quantità un Signore, a chi lo donò il Sultano.

Dal bagno d’Eschi-Capligia passano le acque minerali in un’altro picciolo bagno nel Casale di Cicheric per uso degli abitanti.

Dopo desinare andai in Bugarbascì a vedere il giro de’ Dervis, condotto dal Giudeo, ch’era stato preso dal Caragiere. Seguì questa pazza divozione in una buona stanza, nella maniera che descrissi quella d’Adrianopoli, e di [p. 365 modifica]Costantinopoli; con una sola differenza, che quivi non fanno che tre giri, senza il quarto, nel quale dovea danzare il Superiore.

Nel ritorno al Xan entrai a vedere la Moschea d’Ulì-giamì, che vuol dire la maggiore. Ella ha ciò di singolare, che nel mezzo v’è una gran fontana serrata a balaustrate all’intorno: dicono, che sia antichissima, e fabbricata dal primo Sultano, che venne in Bursa.

Per ritornare alla Città, ella si è governata per un Mollì, o Cadì, che si muta ogni anno; però della campagna ne ha cura un Bassà, che non puol dimorare in Bursa. E’ per altro d’aria non molto salubre, come situata appiè d’alte montagne coperte di neve, e vicina a paludi, ed altre acque; ond’è, ch’ogni mattina, e buona parte del giorno stà oscura per le nebbie, che ne esalano. Il vitto non è caro, essendovi buona carne, pane, e pesce, ed ottime frutta, delle quali mangiai molte rare in tale stagione, come buone uve fresche, melloni, pomi, castagne, nocciuole, ed altre.