Giambi ed epodi/Libro I/In morte di Giovanni Cairoli
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Libro I - Nostri santi e nostri morti | Libro I - Per le nozze di Cesare Parenzo | ► |
XIII.
IN MORTE DI GIOVANNI CAIROLI
O Villagloria, da Cremera, quando
La luna i colli ammanta,
A te vengono i Fabi, ed ammirando
4Parlan de’ tuoi settanta.
Tinto del proprio e del fraterno sangue
Giovanni, ultimo amore
De la madre, nel seno almo le langue,
8Caro italico fiore.
Il capo omai da l’atra morte avvolto
Levasi; ed improvviso
Trema su ’l bianco ed affilato volto
12L’aleggiar d’un sorriso.
L’occhio ne l’infinito apresi, il fere
Da l’avvenire un raggio:1
Vede allegre sfilar armi e bandiere
16Per un gran pian selvaggio,
E in mezzo il duce glorïoso: ondeggia
La luminosa chioma
A l’aure del trïonfo: il sol dardeggia
20Laggiú in fondo su Roma.
Apri, Roma immortale, apri le porte
Al dolce eroe che muore:
Non mai, non mai ti consacrò la morte,
24Roma, un piú nobil core.
Del cor suo dal bordel venda un fallito
Cetego la parola,
Eruttando che il tuo gran nome è un mito
28Per le panche di scuola:
Al divieto straniero adagi Ciacco
L’anima tributaria
Su l’altro lato, e dica — Io son vigliacco,
32E poi c’è la mal’aria — :
Per te in seno a le madri, ecco, la morte
Divora altri figliuoli:
Apri, Roma immortale, apri le porte
36A Giovan Caïroli.
Egli, ombra vigilante a i dí novelli,
Il tuo silenzio antico
Abiterà co’ Gracchi e co’ Marcelli
40E co ’l suo forte Enrico.
L’ali un dí spiegherà su ’l Campidoglio
La libertà regina:
Groppello, allor da ogni ultimo scoglio
44De la terra latina,
E giú da l’Alpi e giú da gli Apennini,
Garzoni e donne a schiera
Verranno a te, fiorite i lunghi crini
48D’aulente primavera.
E con lor sarà un vate, radïoso
Ne la fronte divina,
Come Sofocle già nel glorïoso
52Trofeo di Salamina:
Ei toccherà le corde, e de i fratelli
Dirà la santa gesta;
Né mai la canzon ionia a’ dí piú belli
56Risonò come questa.
Groppello, a te co ’l solitario canto
Nel mesto giorno io vegno,
E m’accompagna de l’Italia il pianto
60E, nube atra, lo sdegno:
Nel mesto giorno che la quarta volta
Te visitò la Parca,
E sott’essa la tua funerea volta
64Batte il martel su l’arca
Del giovinetto, la cui mite aurora
Empiva i clivi tuoi
Di roseo lume. Oh come sola è ora
68La casa de gli eroi!
De le sue stanze pe ’l deserto strano
S’incontran due viventi:
Tristi echi rende il sepolcro vano
72Sotto i lor passi lenti:
Avvalla il figlio de la madre in faccia
Il viso e gli occhi muti,
Che non rivegga in lui la cara traccia
76De’ suoi quattro perduti.
O madre, o madre, a i dí de la speranza
Dal tuo grembo fecondo
Cinque valenti uscieno: ecco, t’avanza
80Oggi quest’uno al mondo.
L’alma benigna nel sereno viso
Splendea di que’ gagliardi,
Come del sol di giugno il vasto riso
84Sovra i laghi lombardi.
Ahi, ahi! de gli stranier tutte le spade
La carne tua gustaro!
Ahi, ahi! d’Italia tutte le contrade
88Del cor tuo sanguinaro!
Qual cor fu il tuo, quando l’estremo spiro,
O madre de gli eroi,
Di lui ti rinnovò tutto il martíri
92Di tutti i figli tuoi!
Or su le tombe taciturne siedi,
O donna de i dolori,
E i dí estremi volar sopra ti vedi
96Come liberatori.
Qui cinque addur nuore dovevi a’ nati,
Madre gentile e altera;
Cara speme di prole a’ tuoi penati
100Ed a la patria; e nera
Suoi segni stende per le avite stanze
La morte. Ma d’augúri
Rifulgon liete e suonano di danze
104Le case de’ Bonturi.
Corre ivi a fiotti il vino, e sangue sembra;
L’orgia a le fami insulta;
De le adultere ignude in su le membra
108La libidine esulta.
I barcollanti amori, in mal feconde
Scosse, d’obliqua prole
Seminan tutte queste serve sponde,
112Ed oltraggiano il sole.
E il tradimento e la vigliaccheria,
Sí come cani in piazza,
Ivi s’accoppian anche: ebra la ria2
116Ciurma intorno gavazza,
E i viva urla a l’Italia. Maledetta
Sii tu, mia patria antica,
Su cui l’onta de l’oggi e la vendetta
120De i secoli s’abbica!
La pianta di virtú qui cresce ancora,
Ma per farsene strame
I muli tuoi: qui la vïola odora
124Per divenir letame.
Oh, risvegliar che val l’ira de i forti,
Di Dante padre l’ira?
Solingo vate, in su l’urne de’ morti
128Io vo’ spezzar la lira.
Accoglietemi, udite, o de gli eroi
Esercito gentile:
Triste novella io recherò fra voi:
132La nostra patria è vile.
gennaio 1870.
Note
- ↑ [p. 531 modifica]Le ultime sue parole riassumevano il suo sacrificio in un augurio alla patria, vaticinando a noi la rivendicazione di Roma. — Roma sarà nostra, io ve lo giuro — ripetè più volte anche nel suo sublime delirio.... Andremo presto a Groppello. Là egli giace con gli altri tre martiri; e là è il tempio della nostra religione. Benedetto Cairoli a Vinc. Caldesi, Belgirate, 20 settembre 1869.
- ↑ [p. 532 modifica]La imagine, che dispiacque ad alcuni miei amici, è presa da quel che H. Heine dice di Colonia, Deutschland iv:
Dummheit und Bosheit buhlten hier
Gleich Hunden auf freier Gasse;
Die Enkelbrut erkennt man noch heut
An ihrem Glaubenshasse.
Il presente epodo fu intitolato all’onorevole Benedetto Cairoli con questa lettera (nella Riforma del 14 febbraio 1870):
Questo canto, già intermesso perché mi parve men riverente inframmettermi al solenne dolore vostro e della madre veneranda, l’ho ripreso oggi, per ammonire, rammemorando la virtù de’ Cairoli, la gioventù della patria. E ve l’offro, o cittadino onorando, e vi prego di presentarlo alla gentil donna Cairoli, come segno della riverenza e gratitudine mia, d’italiano e d’uomo, alla gran famiglia che è uscita di lei, santa e romana donna. Fra tante miserie e vergogne che ne circondano, dovendo disprezzare e odiar molte cose, è pur dolce e di sollievo all’anima il poter dire ad alcuno, dal cuore aperto e profondo: Io vi ammiro, vi riverisco, vi amo.
- Bologna, 11 febbraio.
Alla quale Benedetto Cairoli rispondeva con questa pubblicata nel Popolo di Bologna:
Groppello di Lomellina, 17 febbraio.
Non vi ringrazio: non oso esprimere il debito della gratitudine con una parola troppo profanata dall’uso, — vi dico soltanto che la povera madre vi benedice: è ricompensa degna di voi. Alla tomba dei nostri cari voi mandate omaggio di fiori che non perdono il profumo: versi che non muoiono e ricordano il dovere che fu la mèta del sacrificio. È santo l’apostolato [p. 533 modifica]del poeta quando completa quello del martire preparando il risveglio nazionale. Speriamo: la coscienza di un popolo può essere momentaneamente sedotta, corrotta mai fino all’oblio dell’onore, fino a tollerare nella rassegnazione di perpetuo letargo il vitupero dell’occupazione straniera che ci contende Roma. Chiudo con questo nome, che ispirava il vaticinio del nostro adorato Giovannino anche nell’ultima ora della sua agonia e vi abbraccio con tutta l’anima.