Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro IV/Capitolo V
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CAPO V.
La Britannia è di figura triangolare. Il suo lato maggiore si stende rimpetto alla Celtica, della quale non è nè maggiore nè minore nella lunghezza: perocchè amendue le coste sono di quattro mila e trecento a quattro cento stadi, cominciandosi la celtica dalle bocche del Reno sino alle estremità settentrionali de’ Pirenei presso l’Aquitania; e la britannica da Canzio (ch’è il punto più orientale di quel paese, e giace rimpetto alle foci del Reno) fino all’estremità occidentale dell’isola, opposta all’Aquitania ed ai Pirenei. È quivi la minore distanza da’ Pirenei al Reno: e già dicemmo che la distanza maggiore è di cinque mila stadii: la quale differenza è probabile che proceda dal deviare alcun poco verso l’Oceano il fiume ed il monte dalla direzione che hanno parallela fra loro1.
Quattro sono i punti di tragitto dei quali si valgono solitamente a passare dal continente nell’isola; cioè quelli delle bocche dei quattro fiumi Reno, Sequana, Ligeri e Garonna. Ma coloro i quali vogliono tragittare dalle parti circonvicine al Reno, non cominciano proprio dalle bocche del fiume la loro navigazione, bensì dai Morini che sono limitrofi de’ Menapii2. Appo costoro è il porto Itio3, del quale si valse il Divo Cesare per ragunarvi le navi quando fece il suo tragitto a quest’isola: ed avendo salpato di notte approdò all’isola nel giorno seguente verso l’ora quarta dopo avere compiuta una navigazione di trecento venti stadii: e vi trovò le campagne coperte di messi. La maggior parte dell’isola è composta di pianure e di boschi, con molti colli per entro. Produce poi frumento, bestiame, oro, argento e ferro; e se ne traggono inoltre anche pelli, e schiavi e cani naturalmente buoni alla caccia. E i Celti si valgono nelle guerre di questi cani come anche di quelli dei proprii paesi.
Gli uomini di quell’isola sono più alti de’ Celti ed hanno i capegli più biondi, ma sono per altro più deboli della persona. E in quanto all’altezza n’abbiam questo testimonio, che noi medesimi ne vedemmo in Roma alcuni, i quali sebbene fossero ancor giovinetti, superavano d’un mezzo piede gli uomini più grandi di quella città; se non che poi avevano le gambe torte all’infuori; e non erano bene configurati nel restante della persona.
Rispetto alle usanze in parte somigliano ai Celti, in parte sono più semplici e più barbari: così alcuni di loro, sebbene hanno abbondanza di latte, non ne fan cacio, per non conoscerne l’arte: e sono inesperti eziandio dell’arte degli orti e di quant’altro risguarda l’agricoltura4.
L’isola è divisa in parecchi principati5. Nelle guerre si valgono per la maggior parte di carri6, siccome fanno anche alcuni dei Celti. Le loro città sono i boschi: perocchè dopo avere circondata con alberi abbattuti una larga periferia di terreno, sogliono costruirvi dentro delle capanne e stalle per raccogliervi il bestiame, ma non per gran tempo. Il clima è quivi soggetto alle piogge piuttostochè alle nevi; ed anche nei giorni sereni vi può molto la nebbia; sicché nel corso di un giorno appena per tre o quattro ore verso il mezzodì può vedersi il sole. Questo medesimo avviene anche presso i Morini e i Menapii, e presso quanti abitano in luoghi vicini a costoro. Cesare poi tragittò due volte in quell’isola; e ne ritornò assai presto senza avervi fatte gran cose, e senza esservi penetrato molto addentro7. Questo gli avvenne in parte per le sedizioni insorte così fra i barbari come fra i suoi proprii soldati, e in parte per essergli state distrutte parecchie navi dal plenilunio, gonfiandosi allora oltre l’usato la marea nel flusso e riflusso. Tuttavolta egli vinse in due o tre battaglie i Britanni, sebbene fosse passato in quell’isola soltanto con due legioni; e ne menò seco ostaggi e schiavi ed altre prede in gran quantità. A’ dì nostri poi alcuni de’ potentati di quell’isola avendo con ambascerie e con profferte acquistata l’amicizia di Cesare Augusto, dedicarono loro doni nel Campidoglio, e fecero quasi tutta l’isola aderente ai Romani. E pagano anche gabelle a dir vero non gravi sulle mercatanzie che portano dal proprio paese nella Celtica, o da questa a quello: ciò sono freni d’avorio, e collane, e vasi d’ambra e di vetro, ed altre varie produzioni siffatte. Quindi quell’isola non ha mestieri d’alcun presidio: mentre se i Romani volessero esigerne tributo bisognerebbe mantenervi almeno uua legione con qualche poco di cavalleria; e così il dispendio della guernigione uguaglierebbe il frutto dei proventi che se ne potessero trarre; oltrechè qualora s’imponessero tribali bisognerebbe diminuire le gabelle, e adoperandosi la forza per esigerli vi sarebbe qualche pericolo.
Intorno alla Britannia vi sono alcune altre isolette. Ve n’ha inoltre una grande, l’Ierna8, che si stende al settentrione della Britannia, la quale è maggiore in larghezza che in lunghezza. Di quest’isola non abbiamo cosa alcuna da poter dire con sicurezza, se non che i suoi abitanti sono più incolti dei Britanni, siccome quelli che nutronsi di carni umane9 e sono voraci; mangiano i loro padri quando son morti, stimando così di dar loro onorevole sepoltura; e si mischiano palesemente non solo colle altre donne, ma ben anche colle madri e colle sorelle10. Ma anche queste cose noi le diciamo senza averne testimonianze che siano gran fatto degne di fede; sebbene l’usanza di nutrirsi di carni umane dicesi che l’hanno anche gli Sciti, ed è fama che nelle necessità degli assedii fanno lo stesso anche i Celti e gli Iberi ed altri parecchi.
Ancora più incerta è la storia di Tule per essere quell’isola fuori affatto di mano; siccome quella che viene creduta più settentrionale di tutti i luoghi che mai si conoscano. Quelle cose poi che Pitea dice di quell’ isola e dei luoghi ad essa circonvicini, si possono assai di leggieri tenere come inventate da lui a capriccio, qualora si considerino le molte bugie ch’egli spacciò anche intorno ai paesi da noi conosciuti. Di queste sue menzogne noi abbiamo parlato già innanzi; e ben può congetturarsi da quelle, che maggiori falsità avrà dette intorno ai luoghi per lontananza men noti. Tuttavolta per ciò che risguarda i fenomeni celesti e la matematica, pare ch’egli abbia saputo opportunamente valersi dei principj scientifici. E parlando dei luoghi vicini alla zona gelida, dice con verità che sono in parte privi affatto, in parte scarseggianti di frutti e di animali domestici: che gli uomini sogliono quivi nutrirsi di miglio, d’erba, di frutti e di radici11: che quelli appo i quali si trova frumento e mele, ne traggono anche la loro bevanda: e che finalmente per non avere mai alcun giorno di pura serenità, battono il frumento in grandi camere, nelle quali sogliono portarne i covoni; altrimenti per la mancanza del sole e per la frequenza delle piogge diventerebbe inutile.
Note
- ↑ Pare che Strabone abbia confuso il capo settentrionale de’ Pirenei col capo Saint-Mabé presso a Brest, conosciuto da Pitea e da Eratostene sotto il nome di Capo Calbio. Il Gossellin che fa questa osservazione la prova col riscontro delle misure da Strabone indicate.
- ↑ I Menapj occupavano il Brabante. (G.)
- ↑ Credesi generalmente che al porto Itio corrisponda ora Ouessant all’ovest del Capo Grisnez. (G.)
- ↑ Interiores plerique frumenta non serunt, sed lacte et carne vivunt, pellibusque sunt vestiti. Caes., lib. V, c. 14.
- ↑ Cesare dice che nel solo territorio di Canzio v’erano quattro re. E Diodoro Siculo afferma che tutti questi principi, a malgrado del loro numero, vivevano in pace.
- ↑ Cesare li denomina esseda.
- ↑ Igitur primus omnium Romanorum D. Julius cum exercitu Britanniam ingressus, quamquam prospera pugna terruerit incolas, ac litore potitus sit, potest videri ostendisse posteris non tradidisse. Tacit., Vit. Agr. c. 2.
- ↑ L’Irlanda chiamata Hibernia da Cesare, Ivernia da Tolomeo, Juverna da Mela, ed Iris da Diodoro Siculo.
- ↑ Sono antropofagi, Άνθρωποφάγοι τε ὄντες.
- ↑ Uxores habent deni duodenique inter se comunes, et maxime fratres cum fratribus, et parentes cum liberis. Caes., De bell. gall. lib. V, c. 14.
- ↑ Κέγχρῳ δὲ καὶ ἀλλοις λαχάνοις καὶ καρποῖς καὶ ῥίζαις τρέφεσθαι. Gli Edit. franc. credono che invece di ἀλλοις debba leggersi ἀγρίοις.