Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro I/Capitolo IV

CAPITOLO QUARTO

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Strabone - Geografia - Volume 2 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
CAPITOLO QUARTO
Libro I - Capitolo III Libro II

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CAPO IV.


Esame del secondo libro delle Memorie geografiche di Eratostene — I.º Sulla larghezza della Terra abitata — II.º Sulla sua lunghezza — III.º Sulla sua divisione in tre continenti — IV.º Sulla divisione morale de’ suoi abitanti.

Nel secondo libro Eratostene tenta di rettificare la geografia, e manifesta le opinioni sue proprie; intorno alle quali noi pure dobbiamo fare sperienza di recar in mezzo una qualche rettificazione, se ve n’ha mestieri. In quanto dunque al porre per fondamento principj matematici e fisici, Eratostene ragiona dirittamente; così parimenti ove dice che se la terra è sferica come il mondo (cioè come l’Universo), debb’essere tutta ugualmente abitabile nella sua circonferenza; ed altre cose consimili. Ma che la terra poi sia così grande com’egli afferma nol consentono quelli che vennero dopo di lui, nè approvano la misura ch’egli ne dà. Nondimeno Ipparco si valse di quelle distanze a indicare i fenomeni de’ varii luoghi, dicendo che qualora si piglino sul meridiano di Meroe, d’Alessandria e del Boristene esse allontanansi poco dal vero.

Più a lungo poi parla Eratostene della figura della terra; ma nel dimostrare che la terra insieme colle acque è sferica, e così anche il cielo, pare che vada alcun poco vagando; mentre in ciò bastavano poche parole.

Appresso determinando la larghezza della terra abitata, dice che misurandola sul meridiano di Meroe, da questa città ad Alessandria v’hanno dieci mila stadj; [p. 134 modifica]da Alessandria all’Ellesponto circa ottomila e cento: di quivi poi fino al Boristene cinquemila: poscia fino al parallelo di Tule (che Pitea fa distante dalla Britannia quanto si naviga in sei giorni verso il nord, e vicino al mare agghiacciato) altri undicimila e cinquecento. Qualora dunque si aggiungano tre mila e quattrocento altri stadj al di là di Meroe per arrivare all’isola degli Egizii, al Cinnamoforo1 ed a Taprobana, si avranno trentotto mila stadj.

Ora gli siano concedute le altre distanze, intorno alle quali tutti vanno abbastanza d’accordo; ma chi mai che abbia senno gli consentirà rispetto a quella dal Boristene al parallelo di Tule? Perocchè Pitea il quale ne parla è tenuto in conto d’uom mendacissimo; e coloro che videro la Britannia e l’Ierna2 non dicono cosa alcuna di Tule, comunque parlino di altre piccole isole di colà intorno. La Britannia poi nella lunghezza è presso a poco uguale alla Celtica rimpetto a cui si distende, ma non ha più di cinquemila stadj, ed è commisurata al paese che le sta di fronte: perocchè si corrispondono entrambe nelle estremità; le orientali colle orientali; e quelle all’occidente fra loro: e le orientali sono vicine quanto si stende la vista, e sono Canzio da un lato e le bocche del Reno dall’altro. Ma Pitea afferma la lunghezza dell’isola essere più che ventimila stadj, e dice che Canzio è distante dalla Celtica [p. 135 modifica]la navigazione di parecchi giorni. Ed anche intorno agli Ostici ed ai luoghi al di là del Reno infino agli Sciti, egli disse il falso. Ora colui che asserì tante falsità parlando di luoghi conosciuti, difficilmente potrebbe dire il vero intorno a quelli che sono da tutti ignorati.

Che il parallelo del Boristene sia quel medesimo che attraversa Bisanzio lo hanno congetturato Ipparco ed anche alcuni altri dall’avere osservato che il parallelo di Bizanzio e quel di Marsiglia è uno stesso: perocchè Ipparco dice trovarsi in Bizanzio sotto uguali condizioni di tempo la stessa relazione fra il gnomone e l’ombra che Pitea aveva osservata in Marsiglia. Ora da questa città fino al mezzo della Britannia non v’ha più di cinque mila stadii: e dal mezzo della Britannia procedendo per lo spazio di non più che quattro mila stadii, si troverebbe un paese appena abitabile, quale sarebbe quello di Ierna; sicchè i luoghi ancora al di là, tra i quali pone anche Tule, non si potrebbero abitare. Per quale congettura pertanto egli potesse dire che dal parallelo di Tule a quello del Boristene v’hanno undici mila e cinquecento stadii, nol veggo.

Essendosi poi ingannato rispetto alla larghezza dovette errare di necessità anche nella lunghezza. E nel vero che la lunghezza della terra conosciuta sia il doppio della larghezza pur conosciuta il confessano e quelli che vennero dopo di lui, e fra gli altri quanti sono più in pregio; e sotto i nomi di lunghezza e di larghezza intendo l’intervallo ch’è dall’estremità dell’India sino all’estremità dell’Iberia, e dall’estremità dell’Etiopia sino al parallelo di Ierna. Ma Eratostene dopo avere [p. 136 modifica]estesa questa larghezza dall’estremità dell’Etiopia sino al parallelo di Tule dovette accrescere più del dovere anche la lunghezza, per farla essere più che il doppio di quella. Egli dice pertanto che il sito più stretto dell’India sino al fiume Indo è di sedici mila stadii: che a misurarla nelle sue estremità più remote comprende tre altri mila stadii: che dall’Indo sino alle porte Caspie ve n’ha quattordici mila: dalle porte Caspie all’Eufrate diecimila: dall’Eufrate al Nilo dieci mila: altri mille e cinquecento dal Nilo alla bocca Canopica: tredici mila e cinquecento da questa a Cartagine: e da Cartagine alle Colonne d’Ercole almeno otto mila; d’onde viene a comporsi la somma di settanta mila ed ottocento stadii3. A questo aggiunge quel gomito in cui l’Europa si piega al di là delle Colonne in faccia agl’Iberi dalla parte dell’occidente, non minore di tre mila stadii; poi fra l’altre estremità quella degli Ostidamnii (che dicesi Capo Calbio), e le isole quivi vicine, l’ultima delle quali, Uxisama, dice Pitea ch’è divisa dal continente quanto si naviga in tre giorni. Ma nella computazione delle distanze non contribuiscono punto alla lunghezza della terra abitata nè il prolungamento dei capi, nè lo spazio occupato dagli Ostidamnii, da Uxisama e dalle altre isole che sono da lui mentovate: [p. 137 modifica]e tutti questi luoghi sono volti a settentrione, e sono della Celtica non dell’Iberia, ed anzi sono mere invenzioni di Pitea4. Alle misure poi della lunghezza già dette aggiunge altri due mila stadii verso occidente e due mila anche verso oriente, per salvare quell’opinione che fa la larghezza il doppio della lunghezza.

Aggiunge5 a tutto questo Eratostene che per legge fisica la maggior dimensione della terra abitata è dal levante al ponente, dicendo che «secondo le leggi della fisica la terra abitata debb’essere più lunga dal levante al ponente, che larga dal nord al mezzodì, come abbiam già notato; perchè tale è pure la maggior dimensione della zona temperata. È noto che questa zona, rientrando, come dicono i matematici, in sè stessa forma intieramente il circolo; per modo che, se l’ampiezza del mare Atlantico non si opponesse, potremmo navigare dall’Iberia all’India seguitando sempre uno stesso parallelo, di cui le terre già dette e misurate a stadii occupano più che la terza parte; dacchè il parallelo di Tine6 sul quale abbiamo determinate le distanze [p. 138 modifica]dall’Indo sino all’Iberia ne conta meno di duecento mila.» - Ma qui pure Eratostene non ragiona dirittamente. Perocchè questo raziocinio potrebbe farsi colla scorta dei matematici rispetto alla zona temperata ed a quella ove noi abitiamo, di cui la terra abitata non è se non una parte; ma non rispetto alla terra abitata considerata di per sè sola: dacchè noi diamo questo nome a quella parte della zona temperata che abitiamo e che ci è conosciuta. Ma si comprende che in questa medesima zona temperata vi possono essere due Terre abitate, ed anche più, principalmente vicino al parallelo che attraversa Tine ed il mare Atlantico.

Soffermandosi poi di nuovo Eratostene sulla sfericità della terra, mostrasi nuovamente degno di quel rimprovero che gli abbiamo già fatto. Così anche rispetto ad Omero non rifinisce mai dal ripetere le censure già dette.

Appresso dice che molto si è parlato dei continenti7: che secondo gli uni sono divisi dai fiumi, per esempio dal Nilo e dal Tanai, in modo da risultarne parecchie isole; secondo gli altri dagl’istmi fra il mar Caspio e quello di Ponto, fra il mar Rosso e l’Ecregma, e diedero il nome di penisola alle singole parti. E soggiunge di non vedere come questa ricerca possa trasportarsi [p. 139 modifica]alla pratica, parendogli ch’essa appartenga a coloro i quali al dire di Democrito vivono solo di controversie. Perocchè non vi essendo precisi confini (colonne o barriere), come fra Colitto e Melite, noi possiamo ben dire questo è Colitto questo è Melite, ma indicarne i limiti non possiamo. E di qui spesse volte v’ebbero de’ litigi intorno ad alcuni luoghi; per esempio fra gli Argivi ed i Lacedemoni per Tirea, fra gli Ateniesi e i Beoti per Orope. Oltre di ciò gli Elleni volendo denominare i tre continenti guardarono, non già a tutta la terra abitata, ma soltanto al proprio paese ed a quello che sta loro di contro, cioè alla Caria dove abitano gli Ionii ed altri popoli a quelli vicini. Col volgere poi del tempo, essendo proceduti più oltre ed avendo conosciuti più luoghi, adottarono quella divisione che si è detta.»

Per cominciare adunque dal fine del suo ragionamento e vivere di controversie (come dice non già Democrito ma Eratostene stesso) domando se que’ primi i quali divisero la terra in tre parti attesero solo a distinguere il proprio paese da quello dei Carii che stava rimpetto a loro? e s’eglino pensarono solo all’Ellade, alla Caria ed a qualche altro luogo ivi presso, e non anche all’Europa, all’Asia, e alla Libia? Sicchè altri poi, avendo considerata tutta la terra abitata, sarebbero i veri autori della sua divisione in tre parti8. Ma come [p. 140 modifica]mai que’ primi non avranno pensato a dividere tutta la terra abitata? O come mai è da credere che chi distinse tre parti e diede a ciascuna di esse il nome di continente, non avesse l’animo al tutto, di cui veniva facendo la divisione? E s’egli pensò a tutta la terra abitata, ma volle poi dividerne soltanto una parte, io domando a qual parte della terra abitata appartenevano l’Asia, l’Europa e ciò insomma ch’egli chiamò continente? È dunque stolto il ragionamento di Eratostene9.

Egli è poi ancora più stolto allorchè, dopo aver detto di non vedere a quale pratica utilità possa servire il cercare diligentemente i confini, cita Colitto e Melite, poi fa passaggio a cose affatto contrarie. Perocchè se le guerre di Tirea e di Orope nacquero per la ignoranza dei confini, dee tornar utile il determinare i limiti dei paesi; se pure Eratostene non volle dire che sia utile il distinguere i confini dei singoli paesi e delle nazioni in quelli comprese, ma che dove si tratti dei continenti sia cosa superflua. Tuttavolta non è senza importanza nemmanco il distinguere i confini dei continenti; perocchè anche di questi potrebbe nascere controversia fra due principi grandi, l’uno dei quali possedesse l’Asia, e l’altro la Libia, e cercassero a quale appartenesse l’Egitto, cioè quel paese che si chiama Egitto inferiore10. [p. 141 modifica]E chi volesse anche lasciare in disparte siffatti casi, come infrequenti, bisogna confessare peraltro ch’è necessario distinguere i continenti secondo le grandi loro divisioni, ed in un modo che abbracci tutta quanta la terra abitata. In questo poi non è da guardare se coloro i quali distinguono i continenti per mezzo dei fiumi lasciano alcuni luoghi senza limiti, perchè i fiumi non si stendono da mare a mare, e non convertono a vero dire in isole i continenti.

Sul finire poi del suo libro Eratostene disapprova coloro che dividono tutto il genere umano in due classi, di Elleni e di barbari; ed anche coloro che esortavano Alessandro a trattare gli Elleni come amici ed i barbari come nemici: e dice che «meglio sarebbe dividere gli uomini secondo la virtù o la malignità11. E nel vero molti degli Elleni sono malvagi; e fra i barbari invece ve n’ha parecchi inciviliti, come a dire gl’Indi e gli Ariani, ed anche i Romani e i Cartaginesi che sono governati tanto mirabilmente. Laonde poi Alessandro non dando retta a’ suoi consiglieri accolse e beneficò quanti gli parve che di ciò fossero degni.» Come se quelli che dividono gli uomini in Elleni ed in barbari, e giudicano questi degni di vituperio, quelli degni di lode, il facessero per qualche altro motivo, tranne per essere [p. 142 modifica]per essere appo gli uni predominante l’osservanza delle leggi, la civiltà, la buona educazione e il raziocinio; e presso gli altri il contrario. E però Alessandro non tenne a vile i suoi consiglieri, ma approvandone l’avviso, il seguì nella propria condotta, guardando all’intenzione di chi lo avea profferito.





Fine del libro primo.

Note

  1. Cioè: Al paese in cui cresce la cannella.
  2. L’Ierna è l’Irlanda - La Celtica nominata subito dopo è la Gallia o Francia.
  3. Tra questa somma e il complesso dei numeri precedentemente indicati avvi un errore di duecento stadj: e procede dall’avere assegnato mille e cinquecento stadj di distanza fra il Nilo e la bocca Canopica, mentre essa è di soli mille e trecento, come dice Strabone stesso nel lib. xvii. (G.)
  4. Il nostro Autore ha ragione di dire che il prolungamento del Capo Calbio non altera punto la lunghezza del continente; ma s’inganna asserendo ch’esso è una mera invenzione di Pitea. Esso è il Capo di Sant-Mahé rimpetto all’isola d’Ouessant; e si vedrà come Strabone, per averlo escluso dalla sua Carta, ha sfigurata la Gallia. (G.)
  5. Questo paragrafo credesi dai filologi mutilato e guasto. Le correzioni adottate dagli Editori francesi furono proposte dal celebre Bréquigny.
  6. Tine o Thinae è la città di Tanaserim sulla costa occidentale del regno di Siam bagnata dal golfo di Bengala.
  7. Vuolsi qui avere una chiara idea di ciò che i Greci intendevano sotto il nome di Continenti (ἠπείρος); pel quale significavano non già la Terra ferma in generale ma le tre parti di essa, Asia, Libia (od Africa) ed Europa. Se avessero voluto dinotare una porzione di terra le cui parti siano tutte unite e non disgiunte da mari, vi sarebbe stato per loro un Continente solo, giacchè l’Europa e l’Africa sono unite all’Asia. (Ed. fr.)
  8. Οἱ δὲ λοιποὶ ἐπιόντες ὅση ἦν ἱκανὴ ὑπογράψαι τὴν τῆς οἰκουμένης ἐπίνοιαν, οὗτοί εἰσιν οἱ εἰς τρία διαιροῦντες. Abbiamo tentato, dicono gli editori francesi, d’indovinare il senso di queste parole, ma non vogliamo vantarci di essere in ciò riusciti.
  9. Il Casaubono ed il Gosselin osservano che il ragionamento di Eratostene è molto migliore di quello di Strabone, il quale suppone che i Greci nei loro tempi eroici avessero quelle cognizioni che furono acquistate soltanto molto più tardi.
  10. L’Autore cita questo esempio, perchè nell’opinione di che dividevano l’Africa dall’Asia per mezzo del Nilo, non sapevasi a quale dei due attribuire il Delta o basso Egitto, siccome quello che sta fra le due braccia del fiume.
  11. Plutarco nel Trattato della Fortuna di Alessandro afferma ch’egli ebbe appunto siffatta opinione.