Gemme d'arti italiane - Anno I/Episodio del diluvio

Luigi Toccagni

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Abele moribondo Rinaldo e Armida

[p. 166 modifica]EPISODIO DEL DILUVIO [p. 167 modifica]

UN EPISODIO

DEL DILUVIO

Quadro ad olio

DI DOMENICO INDINO

per commissione del Conte Giulio Litta

Le sorgenti degli abissi si squarciano, si schiudon le cateratte del cielo, il sole si veste di gramaglia, e la natura piange la distruzione de’ suoi tre regni. Il vento rugge, mugghia il tuono e solo a quando a quando, la folgore rompe con la terribil sua luce le tenebre ond’è tutto avvolto il creato. Le nubi vanno, ritornano, corrono come stolte per lo spazio, accavallate le une [p. 168 modifica]sull’altre, e versano senza posa torrenti ad inondare la terra. Il mare trabocca dalle sue rive, i laghi si convertono in mari, i fiumi si convertono in laghi, in fiumi i ruscelli. Già l’orribil piena seco travolge le città e i loro abitatori, amici e nemici, deboli e potenti, umili e superbi, insieme confusi. Invano le madri atterrite cercano scampo co’ lor pargoletti su per le vette de monti, ché ivi le incalza ed inghiotte l’elemento vincitore.

Già due mondi sono sommersi, già tutta è spenta la maledetta razza; e pur tuttavia prosegue l’implacabil bufera; quindici cubiti le vindici acque si alzarono sopra i più alti monti della terra! Solo, in mezzo a questo naufragio della natura, sull’immenso pelago galleggiar si vede sicuro, perché ha Dio per timoniere, un fragil legno, che serba chiuso nel suo seno il seme d’un altro mondo!

Ben può il miscredente negare a sua posta universal catastrofe, che non solo l’intero genere umano risorge per renderci testimonio con tutto il corpo della sua storia ch’ei fu quattro o cinque mila anni fa da Dio castigato con un diluvio e che noi siamo una generazione rinnovellata dall’acqua; ma e le pietre stesse, le piante, gli animali, gli abissi, i continenti e i mari ci ripeton la stessa cosa. La terra macinata a luoghi a luoghi fin dentro le sue viscere; i suoi diversi strati accumulati gli uni sugli altri a guisa dei marosi d’un oceano infuriato; i monti, i piani, le valli che ascondono sterminati ammassi di conchiglie, di pesci, di piante marine pietrificate; elefanti d’Asia e d’Africa sepolti nella Gran Bretagna; coccodrilli dell’Egitto sprofondati sotterra in Germania; ossa di pesci dell’America e, scheletri di balene inabissati in fondo alle sabbie del nostro continente; [p. 169 modifica]nel sasso, per ogni dove incrostati foglie, piante, frutti di specie a noi sconosciute, che non si trovano se non nei climi da noi più lontani sono purtroppo irrefragabili testimoni d’un diluvio universale e del soqquadro spaventoso a cui soggiacque per esso il nostro mondo. I re non contenti di far iscrivere in carte i grandi avvenimenti del regno loro, ne eternano la memoria sul marmo e sul bronzo; e Dio, non contento di fare a Mosè descriver le paventose meraviglie della giustizia e della possanza sua, ne pietrificò eziandio la storia su tutta la faccia della terra.

Io mi sono a disegno allargato in questa descrizione per mostrare quanto difficil, per non dire impossibile, starebbe ad ogni più grande artista il trattare colla corrispondente ampiezza e sublimità, senz’altro aiuto che i colori, un soggetto, il quale abbraccia tutto l’universo, tutta la natura che sotto la man di Dio si dissolve. Poche tornerebbero per sì gran cimento le forze dell’arte, né a quello bastato sarebbe, per avventura, il terribil pennello di colui che dipinse il Giudizio finale in Vaticano.

E però, ch’io sappia, non abbiamo d’artista italiano nessuna famosa pittura su questo soggetto, e il Pussino, francese di nazione, italiano di scuola, morì sotto il lavoro.

Prudenza o modestia dunque da lodarsi nel nostro giovin pittore, si è l’aver tolto a trattar di sì smisurato argomento una piccola parte, un episodio, com’egli lo intitola. Così anche il Bellosio si contentava di chiamare una scena del Diluvio quel suo quadro, tuttavia tanto grandioso, che abbiamo, pochi anni sono, ammirato nelle sale di Brera. Questo dell’Induno è pregevole sopra tutto per la semplicità dell’invenzione e della composizione. [p. 170 modifica]Due sole figure ci sono dipinte, ma pur tali che richiamano l’occhio e commovon l’animo del riguardante al pari d’ogni più ben popolata e colorita tragedia. Sono, s’io m’appongo, fratello e sorella, che al mare cercarono scampo dal mare. La giovinetta,

maggiore d’età del garzoncello, alla stanchezza delle delicate membra e all’espressione ansiosa del volto, mostra che facesse ogni forza per trar seco a salvamento sulla punta d’uno scoglio il caro compagno; ma pur non salvò che un corpo già spento dalle acque spietate, benché il pittore abbia con dotto artifizio tolte in esso alla morte le sue più fiere sembianze, e datole, più che altro, somiglianza d’un tranquillissimo sonno, siccome accader veggiamo in chi muore annegato. Posa il ben tornito putto la testa in grembo alla sorella, e i capelli riversi e grondanti, le vesti tutte ancor molli e scomposte, e le onde che da ogni lato il circondano abbastanza ci dicon per qual forza egli uscisse di vita. La donzelletta, già cresciuta a quegli anni in cui si rivelano i misteri della vita e della morte, in cui oramai rincresce il morire, siede tutta ravvolta ne’ suoi panni, contemplandolo in atto sì doloroso, che ben duro è di cuore chi non s’attrista con essa. E sì intenta è nella diletta salma, quasi a spiarne ancora qualche orma e senso di vita, che non s’avvede, la misera, come l’elemento a cui entrambi fuggivano, è già presso a ingoiarla insieme con l’ultim suolo che ancor la sostiene. Veramente sublime, è l’espressione di questa verginetta e del suo dolore! In lontano è figurato un monte altissimo che ancor torreggia con la sua cima sopra le acque diluviali, e io penso che sia l’Ararat, dove posò l’Arca di Noè e donde poi egli scese a riseminar d’uomini e [p. 171 modifica]di bruti la terra. Ancor più lontano appare su l’acque come picciol palischermo, il vital naviglio, gravido di nuove sorti e di nuovi tempi al creato.

Non cercate in questa tela né lo sfarzo dei colori, né lo splender della luce, né il lusso degli ornamenti e degli accessori, ché il lutto e la nudità della moribonda natura non consentivano al pittore giovarsi di questi aiuti e lenocini dell’arte. Il campo, come vedete, è un liquido deserto con due vette di scoglio e di monte, animato non più che da due figure umane, l’una già freddo cadavere, l’altra immota, stupida per dolore, dal cadavere appena diversa. Tutto è coperto d’ombre, con sol tanto di lume che basti a far vedere l’oscurità della scena. Ma appunto maggiore è il merito dell’artista, per aver posto, in tanta scarsità di modi e d’aiuti, tanta potenza d’espressione e d’affetto. Del disegno, a me straniero all’arte, non conviene tenere discorso; ma pure io l’udii lodare dagli intelligenti per correttissimo, e principalmente encomiare i bei partiti delle pieghe nelle due figure; bagnate sì, ma dovean esser altre nei panneggiamenti di persone testé uscite dall’acque? Solo, per non mancare all’uffizio del critico, dirò non parermi dall’intero del quadro troppo bene spiegato il soggetto. Infatti quel mare, quella oscurità. quel corruccio degli elementi, quella nave in lontano, quel monte, quelle due figure sopra uno scoglio, significar possono qualunque altra bufera e naufragio che non sien quelli universali del diluvio. Forse qualche maggior indizio di questo avrebbe dato il dipingervi lupi ed agnelli, tigri e lepri, leoni e cervi e altri animali fra loro diversi e nemici, tutti alla rinfusa, cercando scampo sulle più alte cime del monte. Né ciò facendo si sarebbe l’artista [p. 172 modifica]dilungato dal vero, avendo già i filosofi naturali notato, che nello spavento delle grandi bufere e altre desolazioni del nostro globo, anche le fiere lasciano il loro istinto per non curarsi più che della propria salvezza; sì potente eziandio ne’ bruti è l’amor della vita! A simili espedienti deggion mirare e aver ricorso gli artisti nelle storie di scuro significato, perocché non sempre son ivi a spiegarle il polizzino appié del dipinto, o la descrizione dell’illustratore.

Quest’opera egregia dell’Induno, non sarà certamente l’ultima fra quelle dei moderni pittori ond’è ricca la Galleria del nobile e liberal mecenate, il cui nome i fasti delle arti nostre grati e plaudenti ripetono.

Luigi Toccagni