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nel sasso, per ogni dove incrostati foglie, piante, frutti di specie a noi sconosciute, che non si trovano se non nei climi da noi più lontani sono purtroppo irrefragabili testimoni d’un diluvio universale e del soqquadro spaventoso a cui soggiacque per esso il nostro mondo. I re non contenti di far iscrivere in carte i grandi avvenimenti del regno loro, ne eternano la memoria sul marmo e sul bronzo; e Dio, non contento di fare a Mosè descriver le paventose meraviglie della giustizia e della possanza sua, ne pietrificò eziandio la storia su tutta la faccia della terra.
Io mi sono a disegno allargato in questa descrizione per mostrare quanto difficil, per non dire impossibile, starebbe ad ogni più grande artista il trattare colla corrispondente ampiezza e sublimità, senz’altro aiuto che i colori, un soggetto, il quale abbraccia tutto l’universo, tutta la natura che sotto la man di Dio si dissolve. Poche tornerebbero per sì gran cimento le forze dell’arte, né a quello bastato sarebbe, per avventura, il terribil pennello di colui che dipinse il Giudizio finale in Vaticano.
E però, ch’io sappia, non abbiamo d’artista italiano nessuna famosa pittura su questo soggetto, e il Pussino, francese di nazione, italiano di scuola, morì sotto il lavoro.
Prudenza o modestia dunque da lodarsi nel nostro giovin pittore, si è l’aver tolto a trattar di sì smisurato argomento una piccola parte, un episodio, com’egli lo intitola. Così anche il Bellosio si contentava di chiamare una scena del Diluvio quel suo quadro, tuttavia tanto grandioso, che abbiamo, pochi anni sono, ammirato nelle sale di Brera. Questo dell’Induno è pregevole sopra tutto per la semplicità dell’invenzione e della composizione.