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di bruti la terra. Ancor più lontano appare su l’acque come picciol palischermo, il vital naviglio, gravido di nuove sorti e di nuovi tempi al creato.

Non cercate in questa tela né lo sfarzo dei colori, né lo splender della luce, né il lusso degli ornamenti e degli accessori, ché il lutto e la nudità della moribonda natura non consentivano al pittore giovarsi di questi aiuti e lenocini dell’arte. Il campo, come vedete, è un liquido deserto con due vette di scoglio e di monte, animato non più che da due figure umane, l’una già freddo cadavere, l’altra immota, stupida per dolore, dal cadavere appena diversa. Tutto è coperto d’ombre, con sol tanto di lume che basti a far vedere l’oscurità della scena. Ma appunto maggiore è il merito dell’artista, per aver posto, in tanta scarsità di modi e d’aiuti, tanta potenza d’espressione e d’affetto. Del disegno, a me straniero all’arte, non conviene tenere discorso; ma pure io l’udii lodare dagli intelligenti per correttissimo, e principalmente encomiare i bei partiti delle pieghe nelle due figure; bagnate sì, ma dovean esser altre nei panneggiamenti di persone testé uscite dall’acque? Solo, per non mancare all’uffizio del critico, dirò non parermi dall’intero del quadro troppo bene spiegato il soggetto. Infatti quel mare, quella oscurità. quel corruccio degli elementi, quella nave in lontano, quel monte, quelle due figure sopra uno scoglio, significar possono qualunque altra bufera e naufragio che non sien quelli universali del diluvio. Forse qualche maggior indizio di questo avrebbe dato il dipingervi lupi ed agnelli, tigri e lepri, leoni e cervi e altri animali fra loro diversi e nemici, tutti alla rinfusa, cercando scampo sulle più alte cime del monte. Né ciò facendo si sarebbe l’artista