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sull’altre, e versano senza posa torrenti ad inondare la terra. Il mare trabocca dalle sue rive, i laghi si convertono in mari, i fiumi si convertono in laghi, in fiumi i ruscelli. Già l’orribil piena seco travolge le città e i loro abitatori, amici e nemici, deboli e potenti, umili e superbi, insieme confusi. Invano le madri atterrite cercano scampo co’ lor pargoletti su per le vette de monti, ché ivi le incalza ed inghiotte l’elemento vincitore.
Già due mondi sono sommersi, già tutta è spenta la maledetta razza; e pur tuttavia prosegue l’implacabil bufera; quindici cubiti le vindici acque si alzarono sopra i più alti monti della terra! Solo, in mezzo a questo naufragio della natura, sull’immenso pelago galleggiar si vede sicuro, perché ha Dio per timoniere, un fragil legno, che serba chiuso nel suo seno il seme d’un altro mondo!
Ben può il miscredente negare a sua posta universal catastrofe, che non solo l’intero genere umano risorge per renderci testimonio con tutto il corpo della sua storia ch’ei fu quattro o cinque mila anni fa da Dio castigato con un diluvio e che noi siamo una generazione rinnovellata dall’acqua; ma e le pietre stesse, le piante, gli animali, gli abissi, i continenti e i mari ci ripeton la stessa cosa. La terra macinata a luoghi a luoghi fin dentro le sue viscere; i suoi diversi strati accumulati gli uni sugli altri a guisa dei marosi d’un oceano infuriato; i monti, i piani, le valli che ascondono sterminati ammassi di conchiglie, di pesci, di piante marine pietrificate; elefanti d’Asia e d’Africa sepolti nella Gran Bretagna; coccodrilli dell’Egitto sprofondati sotterra in Germania; ossa di pesci dell’America e, scheletri di balene inabissati in fondo alle sabbie del nostro continente;