Gemme d'arti italiane - Anno I/Rinaldo e Armida
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RINALDO E ARMIDA
quadro ad olio
di Mauro Conconi
Qual cauta cacciatrice, Armida aspetta Rinaldo al varco. Ei su l’Oronte giunge, Ove un rio si dirama, e, un’isoletta Formando tosto a lui si ricongiunge.
… Come è là giunto, cupido e vagante Volge intorno lo sguardo, e nulla vede, Fuor ch’antri ed acque e fiori ed erbe e piante; Onde quasi schernito esser si crede.
Ma pur quel loco è così lieto, e in tante Guise l’alletta, ch’ei si ferma e siede, E disarma la fronte e la ristaura, Al soave spirar di placid’aura.
… Sì canta l’empia; e ’l giovinetto al sonno Con note invoglia sì soavi e scorte:
Quel serpe a poco a poco, e si fa donno Sovra i sensi di lui, possente e forte:
Né i tuoni omai destar, non ch’altro, il ponno Da quella queta immagine di morte.
Esce, d’agguato allor la falsa maga, E gli va sopra, di vendetta vaga.
Ma quando in lui fissò lo sguardo, e vide Come placido in vista egli respira, E ne’ begli occhi un dolce atto che ride, Benché sian chiusi (or che fia s’ei li gira?), Pria s’arresta sospesa: e gli s’asside Poscia vicina, e placar sente ogn’ira Mentre il risguarda; e’n sulla vaga fronte Pende omai sì, che par Narciso al fonte.
Questi pittorici versi del Tasso valgono meglio di ogni nostra parola ad illustrare il quadro, qui riprodotto ad intaglio; ossia, più propriamente parlando, diremo che il dipinto del Conconi è un tentativo per far dire alla tela il concetto sì mirabilmente espresso dal divino Torquato. E vedi appunto l’Armida del quadro, pendere sulla vaga fronte del dormente guerriero, cupida, amorosa, più che nol fosse il giovinetto della favola, che morì al fonte languendo, preso dalla propria immagine. Benché sia questo il primo istante in cui essa vagheggia Rinaldo tu puoi già presentire nell’espressione del volto di lei, tutta la famosa scena, della quale sono poscia fatti spettatori Ubaldo e il guerriero Dano, allorché ascosi nel giardino incantato, veggono che ad essa … scintilla un riso Negli umidi occhi, tremulo e lascivo.
Sovra lui pende: ed ei nel grembo molle Le posa il capo e il volto al volto attolle.
Anzi dirai che quella tenera donna, di tratti sì dolci e gentili, non può d’alcun modo stringere nella destra un ferro omicida, se pur nol facesse semplicemente per vezzo, atta solo com’è, a recar danno o morte altrui per eccesso di voluttà e d’amore. Ed avremmo per ciò stesso a notare di menda il Conconi, che nel dar persona all’Armida, scordò ch’era dessa una fattucchiera, e tale essendo, imprimere le doveva nel volto alcun che di perfido e d’infernale, siccome a colei che adoperava tutt’arti diaboliche, per far uscire a vuoto la sacra impresa dell’esercito crociato. Se non che ci rende inclinati all’indulgenza, il considerare qual prepotente seduzione
eserciti, sovra una mente infervorata e giovanile, il verseggiar del Tasso, il quale pure, è da credersi, riprodusse in Armida qualche maga lusinghiera della Corte di Ferrara, e spese le più dilicate e vive tinte dell’estro, ad eternare riminiscenze o brame dell’anima sua altamente amorosa e poetica.
Abbenché poi gli intendenti severi trovino nel comporre, e spezialmente nel colorire del Conconi, alcune parti meritevoli di critica, noi non esitiamo a presagire aversi fra non lontano tempo a riconoscere in lui un dipintore assai valente, il quale (data opera da prima con assiduo studio a rinvigorirsi nelle parti tecniche dell’arte) quando vorrà potentemente interrogare sé stesso, troverà nella propria fantasia e nel cuore ricchezze inestimabili, che prenderanno dal suo pennello soavi forme e parlanti.
G. B. Bazzoni