Gazzetta Musicale di Milano, 1843/N. 39

N. 39 - 24 settembre 1843

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[p. 165 modifica]GAZZETTA MUSICALE ANNO II. N. 39. 24 Settembre 1845. DOMENICA. Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in i.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figuralo si inlitolcrjì AxDI MILANO musique, par îles inflexions vives, accentuées, et, mur ainsi dire, parlantes, exprime toutes les pasions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, •l porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des seniments propres à l’émouvoir. ■ J. J. Roussexu. Il prezzo dell’associazione alla Gazzetta e Mentologia classica musicale è dielTelt. Aust. I,. 12 persemestre, ed cITctt. Aust. I,. l i affrancata di porlo fino ai confinidella Monarchia Austriaca; il doppio per l’associazione annuale. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente c franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicalo nel Manifesto. - Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Ontenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli llllìci postali. — Le lettere, i gruppi, cc. vorranno essere mandati franchi di porto. I. Srinj Biografici. Intorno alla vita ed agli scritti di Franchino Gaffurio. - II. La Musica guardata nei bisogni presenti. - Ili. Critica Mklodra.’iiiatica. lloSTUDJ BIOGRAFICI memoria intorno alla vita ed agli scritti di Fbaachiao Ci affi tuo (1). encliè non molto dopo nasces^Jp|sero in Milano de’cangiamenti g.^gepolilici, pure videsi ivi asso* Asciato l’amor degli studj agli J|®3B?>Savveninieiiti militari, ed alle agitazioni dei partiti, ed in fatti il nostro Gaffurio continuò indefessamente a giovare al perfezionamento dell’arte sua prediletta. Ed adoperò tutti i mezzi, fatiche e dispendj, alfine di raccogliere le opere migliori in allora esistenti; or conoscendo che gli antichi, i quali furono i primi nell’ordine del tempo, lo sono anche nella perfezione dell’arte, e nell’imitazione della natura, che tanto egli raccomanda nelle sue opere, quasi presentisse di già il principio luminoso, ma soltanto semi-vero dell’Estetica di Le Batteux «omnis ars, onirti«st/ue etiam disciplina apud philosophuin «nititur imitat i naturarti, in t/uantum pois test» dic’egli nel capo X; rivolse quindi le sue cure onde render proficuo all’età presente quanto produssero i genj della passata, e fece il primo ed a proprie spese, tradurre da varj interpreti in lingua latina le opere greche di Aristide Quintiliano, di Manuele Briennio (2), di Tolomeo e di Bacchio Seniore i locchè afferma egli stesso di sé nel primo capitolo della sua opera: de Harmonia istrumentorum, colle parole Manuel Briennius et Bacchiai atque A risiides Quintilianus et Ptolomeus, quorum commentarla e greco in lalinutn opera nostra accuratissime conversa sunt (3). ■ (t) Continuazione. Vedi i 2V. 5), 52 e 36. (2) Nella Biblioteca Pubblica di Lodi trovasi un j esemplare di uno di questi scrittori greci tradotti per; cura ed a spese del nostro Gaffurio: esso porta per titolo: Manuclis Briennii harmoniac greco in latinum versuiti opus per Joanncm Franciscum Buranam Verone n se in adhorlationc et impcnsis Franchini Ga/furii j Laudensis Musiccs Professoris. Explcvit felieiter die: Jovis januarj 1497 liora XXI in domibus S. Marccllini portie Carname civitatis Mediolani. (5) È prova inoltre del suo sapere» così scrive i Bettinelli nel suo Risorgimento, parlando di Gaffurio n;» la traduzione di Aristide Quintiliano autor greco di; u Musica, intrapresa da Francesco Burana veronese ] «circa l’anno 1494 che manoscritta si serba in Ve- j u rona per testimonianza del Maffei h. Ed ora meditò altra opera mediante la quale potesse esaurire tutti i rami della scienza musicale. Prima però di promulgare codesta opera pensò di compendiare le sue sopraccennate di Teorica e Pratica, e di estendere a richiesta di molti il ristretto in lingua volgare ( benché si professasse dello scrivere materno inesperto per essergli insolito ) affinché tutti approfittassero dell’industria sua, «persino le donne religiose intente a laudare lo eterno Dio» com’egli si esprime nel primo capitolo di quest’opera col titolo latino (probabilmente usato da qualche ciarlataneria tipografica) Angelicutn ac diviutn opus musica; Franchiti i Gqffurii Regii Musici: (’) ecclesiaque Medio lati en sis phonasci materna lingua scriptum. Dedicò questa sua fatica a Simeone Crolla, patrizio milanese, peritissimo nelle cose musicali, di cui fa uu elogio tanto più delicato, perchè presentato sotto massime generali, e vide la luce nell’anno 4508 li 4G settembre, regnante il pontefice Giulio 11 e Lodovico XII re di Francia e duca di Milano, per mezzo di Gottardo da Conte. Nel frontispizio vedesi pure Gaffurio stando in cattedra’, le prime due pagine sono ornate da non ignobili contorni allusivi, ed in fine è rimarchevole un organetto al quale sta seduto un suonatore toccando li tasti e sulle canne di cui, invece della solita mano di Guido, vi è spiegato il sistema musicale coll" iscrizione: Introductorium Musices Frane. Gaffurio. Il contenuto di quest’opera riguarda per Io più le proposizioni musicali del suo prediletto Boezio. Vi si tratta però anche della, mutazione della scala secondo Guido, dell’uso delle sillabe, della mutazione de’tuoni ecclesiastici, e del contrappunto: e vi sono inoltre avvertimenti per i cantori, i q.uali si potrebbero replicare a’ medesimi anche al giorno d’oggi se la maggior parte di costoro intolleranti non fossero di ascoltarli e di praticarli. E finalmente dieci anni dopo, cioè nell’anno 1518, il trentesimoquinto ch’egli copriva il posto di prefetto de’musici, regnante Leone X, e Francesco I re di Francia, e duca di Milano, usci da’torchi di Giacomo Gonteno la terza sua grand opera, de Harmonia Musicorum Istrumentorum. Porta essa in fronte alla prima pagina un Epigramma latino che qualifica il nostro (l) Questo nuovo titolo, il quale conservò egli anche sotto Francesco l sembra comprovare ch’egli fosse anche particolarmente addetto alla corte di Lodovico XII re di Francia. professore anche per poeta non ignobile, ed in cui finge l’autore un piccante dialogo fra sé ed il suo libro. In fine trovasi il breve e più volte citato compendio della vita dell’autore estratto dagli scritti del Lodigiano Panlaleone Melegoli. Compiacciomi poi di scorgere negli ultimi capitoli di questo trattato sparso di già il sente di varie idee, che svolse non ha guari un moderno autor bavarese, il P. Gebhardt, il quale diede alcuni anni addietro alla luce un’opera filosofica sull’armonia, ove parla del pari dell’armonia universale della creazione, dell’armonia morale, politica, e via discorrendo. Quest’insigne opera dell’istancabile Franchino non rimase però intatta dalla critica, ed avverandosi che Cantor cantorati lividus odil, fieramente si scagliarono contro di esso, Giovanni Spatario, ed altri suoi compagni bolognesi, irritati, perché in varj luoghi Gaffurio impugnava la dottrina di Bartolomeo Ramis già maestro dello Spatario, che pure era secolui in corrispondenza letteraria. Ma il nostro concittadino, ch’ebbe per massima Maledictus homo, qui negligit Januim suam, non si ristette neghittoso, e scrisse anch’egli una mordace operetta intitolata: Apologia Franchini Gaffurii adversus Johannem Spatarium et coinplices Musices Bononienses, stampata in Torino da Agostino Yimercali li 22 aprile dell’anno 4520, ma qui non finì la contesa, anzi seguirono molti altri scrittori non meno pungenti e dello Spatario e del Gaffurio e di altri ancora che sorsero in difesa dell’uno e dell’altro, su di che veggasi il sofra citato Sassi, il C. Mazzucchelli (script, tal. toni. Il, part. IY, pag. 2449) ove ragiona di Nicola Biirzio parmigiano, cli’ebbe anch’egli parte in quella lite, e l’opera del C. Frantuzzi, Notizie degli scrittori Bolognesi, ove parla di Spatario: «Lo scritto (t) di questi (dice egli dietro le traccie del Sassi) fu come un segnale di battaglia in Milano, onde molli discesero in campo a combattere chi in prosa, chi in versi per sostenere il Gaffurio, e fra questi Bartolomeo Filippini Varallense, Dionigio Brippio, Giacomo Antonio Bricci, patrizii milanesi e Gaudenzio Merula ed altri piacentini e parmigiani. In questa congiuntura il Franchino scrisse due lettere, una diret’a a tutto il ceto de’musili) Esso ha per titolo: Errori di Franchino Gaffario da M. Jounnc Spatario musico bolognese in sua difcnsionc e del suo precettore M. Bartolomeo llamos Rispunti sublilmente dimostrato. Impressimi Bononice per Rcncdictum Recloris 1624, in 4°. [p. 166 modifica]ci, l’altra al giovane Antonio Alberti studioso di matematica, filosofia e musica, con la quale ribattè i colpi degli avversarj insultando particolarmente il nome Spalarlo dicendo: Aon enim majores tui spatas fabricari solebant, eam. vaginas tantum consuerent atque componerent, onde spesso in essa lo chiama già vaginario, inserendovi qualche arguto epigramma Tutti questi scritti furono pubblicati a Torino da Francesco de Sylva l’anno-1521. Ma a dir vero, quasi lutti, piuttosto che Apologie dir si possono un ammasso di strapazzi, e d’ingiurie. Traltavasi in questa controversia particolarmente del valore e del genere de’differenti segni del canto misurato, e delle Ijroporzioni delle consonanze, avendo però a posterità reso giustizia al merito del nostro Gaffurio ritenendo que’da lui proposti, come lo conferma anche il signor Pietro Maroncelli nella recente sua vita del Corelli, dicendo, che alle figure della musica introdotte dal Marchetti di Padova, il nostro Gaffurio ne aggiunse delle altre, le quali riguardano particolarmente i segni del silenzio, ancor in uso al giorno d’oggi. Ciò che però ci rende veramente interessante la sua Apologia, si è che da essa rileviamo il titolo di alcuna sua composizione musicale. Benché dubitar non si poteva, che scrittore espertissimo e di grido fosse chi di essa scienza ci diede gli aurei precetti, e pose nella sua opera varj esempj, cui lo scrivere in canone non fu ignoto, nulla meno maggiormente viene ciò comprovato, perchè ivi conservasi la notizia della sua Messa intitolata: L’/iomme arme, di quella col titolo illustris Princeps, e dall’altra inscritta le Souvenir (t), le quali tutte furono da lui mandate alla cappella pontificia di Leone X quos celeberrimis cantoribus Leonis decimi Pontificis maximi misimus. E ben dovea egli essere conscio del proprio suo valore e perizia nel comporre, altrimenti ardito non avrebbe di far omaggio delle sue opere a quel magnificentissimo protettore dell’arte musicale, il quale dotato di buon orecchio e di una voce melodiosa l’avea sino dalla sua gioventù coltivala con molta attenzione, fu prima di essere cardinale cantore in S. Antonio di Firenze, ed il di cui sapere nella musica non era solamente singolare nella pratica, ma pur anche nella teorica, e che essendo sommo Pontefice non isdegnò di trattenersi nel soggetto dell’armonia, or spiegandone la lavorila sua teoria, or proponendone gli esempj sopra un istromeuto musicale, che teneva nella sua camera. Gio. Simone Mayr. (I) Affine di spiegare gli strani tiloli applicati alle composizioni ecclesiastiche, basta sapere, che in quei tempi i compositori erano si poveri d’invenzioni proprie, che adoperavan quasi sempre una melodia di qualche canzone popolare, la quale serviva per cosi dire a loro di tema fondamentale, onde fabbricarvi sopra l’artilizioso edilìzio delle loro arti contrappuntistiche. Da queste canzoni prendeva da poi la composizione, che per lo più era una Messa, il suo nome. E tali sono le due Messe sopraccitate ed intitolate, VNomine armi c le Souvenir fondate sopra due canzoni provenzali. LA MUSICA OIARD.VT.V J BISOCVI PRESENTI Il secondo campo della musica è il tea-; | Irò. Quale immensa arena di musicali faI tiche! Chi volesse ricondurlo alla sua religiosa istituzione, cioè, alle feste di Bacco, od ai misteri del medio evo, non intenderebbe bene il suo secolo; ma chi avvisasse potersi avviare al miglior vantaggio della vila morale, la penserebbe forse coi suoi contemporanei. Perchè se questo elemento passava una volta come indifferente, ora che assorbe grande parte de’ pensieri. e delle occupazioni del mondo civile; ora che è di nuovo sacrilegio, come in Alene, impiegar altrove i fondi destinati al teatro: ora che la maggiorità europea, come la plebe romana, mette subito dopo il pane gli spettacoli della scena, quale danno non emergerebbe se i promotori del meglio trascurassero quest’elemento! Molte sono le riforme che potrebbero introdurvisi, ma limitati noi dalla musica, noi guarderemo che sotto questo particolare aspetto. Il melodramma trovasi egli in armonia col suo secolo? Se non è, bisogna tirarvelo; voglio dire che è necessario di renderlo più profittevole, che non è, al bene della società. Certamente niuno lo crederà immutabile, nè tanto meno ribelle ad ogni ragionevole variazione. Ma dove mai avrebbe egli bisogno di cangiamenti? I Romantici hanno testé combattuto per le forme. Questa setta, veramente formalistica, avrebbe molto meglio meritato del progresso, se avesse rotta qualche lancia in favore d’una mutazione più sostanziale, e riconosciute invariabili le forme, avesse proclamata riformabile l’essenza del dramma. Questo poetico lavoro, guardato come semplice artificio, non può a meno d’essere una rappresentazione più o meno intrecciata-, tale fu dalla sua origine, cominciando dal primo tragico della Grecia; ma nè Eschilo, nè i suoi successori ed imitatori imposta non si erano la legge dell’intreccio amoroso sapendo benissimo che l’istituzione del dramma era politico-religiosa, diretta ai pubblici interessi, non alle private e casalinghe avventure. Col loro metodo perciò meglio esaurirono tutte le vicende interne, ed esterne dell’uomo come membro della società, trattarono tutte le passioni, e con esse l’amore senza parzialità alcuna. Ecco il dramma nazionale, e per conseguenza sociale, e morale. Nè ci stupiremo che i Greci abbiano ciò sentito, ove guardiamo, che gli spettacoli medesimi de’ popoli barbari, o poco civili, secondochè ne avvertono i viaggiatori, intendono a rappresentare fatti politici, guerrieri, religiosi, interessanti in ogni maniera. Ora essendoci noi moderni, qual che ne sia la cagione, ingiunta questa rigorosa legge dell’intreccio amoroso, fummo costretti a cominciare per una via stretta stretta, della quale annojati i novatori, gridarono contro le forme unitarie, contro la servilità classica, non badando che col loro contrario operare lasciavano il dramma nella sua infecondità. E così dura la noja, e durano gl’indicibili sforzi di coloro che ce la vogliono risparmiare con certe novità portentose, e con nuove forme di dir sempre le stesse cose. II dramma adunque gira un circolo veramente vizioso, percliè mutate le vesti e le sembianze non mutò i costumi, ed è ancora il caput mortuum della scuola metastasiana, e della giocondità del secolo; sborso. A tentare perciò’una vera, ed utile novità converrebbe condurre bel bello il dramma ad argomenti più importanti, più varj, più estesi, più sociali insomma, e poi se l’amore volesse trasformarsi in quello che tien pacifica la casa, affezionata la città, I concorde la nazione, in quello da cui ogni J bene e conforto deriva, od almeno cessasse dall’usanza vecchia di seminar guai, e di | corrompere il costume, bene meriterebbe anch’egli dell’universale miglioramento. Ma qualcuno dirà che forse avverrebbe al dramma rinnovato ciò che vediamo avvenire ad alcune tragedie di nuovo genere, le quali utilissime nell’argomento, elaboratissime nella condotta, piene di bella poesia, di nobili sentimenti, mancando appunto di quel fuoco, di quell’anima che vivifica tragedie d’alto stile, quelle cioè che oltre al farsi leggere, sanno anche commoverci, rapirci sulla scena, non piacciono, non interessano la colta udienza. Ciò potrebbe accadere, e per la novità, e per le contrarie abitudini. 3Ia questi ostacoli sono già preveduti. Nondimeno, a conforto de’riformatori, farò qui di passaggio un’osservazione. Nel nostro paese la musica è tutto, e la poesia (il libretto) è niente, dovunque questo male derivi, o dai poeti, o dagli uditori. Ebbene, da questo niente non si potrebbe cavare qualche cosa? In generale dopo il Melaslasio, che seppe interessare colla poesia, possiamo confessare, senza far torto a qualche altro lavoro teatrale uscito come lampo dal bujo dell’orrore drammatico, che ci disvezzammo dal buon senso in materia di poesia teatrale, il che ci rese sempre più indifferenti per le parole, ed ognor più esigenti per le note; così che quando un maestro, od un appaltatore volesse regalarci una buona musica ricca di bei motivi, e cantabili, poco c’importerebbe se fosse scritta sopra qualunque poesia, o prosa ridotta a metro, e rima. Ora uno scrittore di nuovi drammi partendo con felici augurj da questo punto d’indifferenza, non potrebbe egli tentare un genere di opera per musica più acconcio ai nostri bisogni. voglio dire all’edificazione della società? Un uditore italiano, già avvezzo a tanti inganni e delusioni teatrali, si lagnerà egli col tempo d’una frode sì innocente, sì feconda di buoni effetti? Anzi confesserà col poeta, che simile all "’egro fanciullo ha dall’inganno suo ricevuta sanità e vita. Ma bisogna che gli orli del vaso siano aspersi di soavi liquori, e questa dolce aspersione debbe sempre venir dalla musica. Un altro conforto. Se oggidì in Italia non avessimo altro incoraggiamento a questa innovazione basterebbe l’esito felicissimo dello Stabat rossiniano. Non- mai profana composizione risvegliò tanto entusiasmo e maraviglia, non mai lirico dramma tanto piacque ad ogni classe di uditori come quella sacra elegia. Io non conto le attrattive aggiuntele dal nome di Rossini, perchè ove fosse stato lavoro! per Irascuraggine, o per fretta, o per altra cagione, mediocre (mediocrità che non poteva venirle dall’ingegno dell’autore), il nome e la celebrità del maestro non avrebbero bastato a farla gustare ed applaudire. Guardo solo la novità della cosa, la quale assai chiaramente nel suo esito dimostrò quanto siam noi disgustati e nauseati del vecchio, cioè della presente teatrale monotonia, quanto avidi d una musica che sopra quali si vogliano parole ci dica qualche cosa di nuovo. Nè lo Stabat da quanto odesi a dire, sarà l’unica composizione di questo genere che ci rallegrerà, che ci farà pigliar gusto ad una musica più ragionevole e salutare, più educatrice del sentimento morale e religioso. Che diremo poi quando questa nuova musa non parlerà più latino, [p. 167 modifica]— -167 — non canterà un semplice ed uniforme inno della liturgia, un brano straniero alla scena, ma intonerà un canticcj italiano acconcio al luogo, alla circostanza, opportuno agli uditori, ed ai tempi che vantano sopra ogni altro eccellenza d’educazione? Rimane dunque a vedere di quale indole possa essere questa nuova poesia che debbe surrogare la nullità della vecchia, il che speriamo di fare nell’articolo seguente. CRITICA. MELODRAMMATICA ROBERTO IE DIAVOLO di MEYERBEER Un distinto maestro compositore che ci onora della pregevole sua amicizia, in occasione che producevasi sulle scene del Teatro della Concordia in Cremona il Roberto il Diavolo di Meyerbeer, ebbe a dettare il seguente interessante articolo nel quale i pregi che distinguono quel sì lodato capolavoro sono con molta finezza discorsi. Parve a noi che i nostri lettori avrebbero aggradita la riproduzione di uno scritto mollo opportuno a far maggiore il desiderio di coloro tra i nostri amatori della buona musica, cui tarda ormai troppo l’udire anche sulle grandi nostre scene un’opera, che quasi tutti i primarii teatri di Europa produssero già da un pezzo. malta.0 Le priS^dllà^d’Eu^w non si saziarono di udirlo: nessuno sparlilo ebbe l’onore di un maggior numero di rappresentazioni: Parigi sola ne intese dalle 200 alle 300. Un cosi unanime suffragio, un tanto ed universale consentimento sarebbe già in buona lo6 EFquale*accoglienza’ ebbe" tra noi quest’Opera maravigliosa? - Gli intelligenti la festeggiarono come la ben venuta: gli amatori si tennero in una fredda ammirazione: i più la dicono bella a «ore di labbra, perse vi ha chi la spregia, ehi noi veramente non lo sappiamo, non è bisogno di risponder parola. Originalità, sapienza, ispirazione rifulgono ad ogni tratto in questo Roberto. Le prime due doti non ha chi non ve le ravvisi. Della terza polrebbesi da taluni Non è dentro a piccole forme, non è intorno ad idoleggiali concetti che piacesi la fantasia del maestro, abbellendoli di liriche immagini c colorito. E un grande poema drammatico ch’egli ha pensalo, e come biparti grandiose. Il perchè i’ maggiori pezzi di quest’Opcra si tolgono affatto dalle forme sinora usate e comunemente zionule successione’di tempi c ripetizioneh inolivi*, che quasi impronta di un medesimo stampo arie, duetti, e terzetti nelle opere comuni. Pare a noi che tra queste ed il Roberto di Meyerbeer corra presso a poco quel divario medesimo che fra un dramma di Aletaslasio ed una tragedia di Schiller o di Shakspcare. Ma per quanto noi siamo rapili alle care melodie del chiH’profimdam^nt^HdX^cni^snffSaS^’d^’li ^altrì? Avremmo voluto pigliare ad esempio Mclastasio ed Alfieri; ma quest’ultimo, tranne, la severità, non ci offecome quello in cui lottano il ciclo c l’inferno, il genio del bene c quello del male, c per se medesimo, e per la maniera onde fu dal poeta condotto, evorare visibilmente le potenze d’aWsso^richiedeva di sua. concetto ol ’ lutt "una’ | ’ola’,""non ìa J I ^ onc 1 I no^o 1 di | Il | ratiere lirico, tragico cil epico, a farne un solo, c ì) ncfi’aninio delbautorc.PI L‘h 00 1 E cosi adoperando serviva insieme il maestro mirabilmente alla natura del suo soggetto ed al gusto dei teatri oltramontani. Infatti le composizioni più distinte che su quelli ebbero altissima fama, sono tutti lavori a grandi proporzioni, a grandi concetti, o tali che vogliono essere molte volte udite per essere intese. E notisi che i repertorii dei più grandi teatri di Francia, di Germania e d’Inghilterra si limitano a otto o dieci Opere all’anno, le quali tutte più o meno si alternano; di che viene la necessità clic queste abbiano in sè tanto d’intrinseco da interessare quei pubblici per tutto il corso delle rappresentazioni. Tali sono la Muta di Portici di Aubcr, Zompa, di Hcrold, il Don Giovanni di Mozart, il Freysctiùtz di Weber, il Guglielmo Teli di Rossini, gli Ugonotti di Meyerbeer, la Vestale di Sponlini ed ultimamente il Girlo VI di Halevy: opere tutte della maggiore importanza, c che per la ricchezza dei concetti formano il più dovizioso repertorio dei teatri d’oltremonlc: astruse troppo pel pubblico in Italia, che dopo otto o dicci rappresentazioni vuol vedere, un nuovo spettacolo. Lunge però la taccia clic vogliasi per noi rinegarc la gloria della musica italiana. Figlia di questo cielo sereno, educata alla sovrana armonia di una bella natura, favorita dai cari e scorrevoli suoni di una favella prediletta alle grazie ed alla poesia, t’inebria di una voluttà tutta celeste, c ti ricerca addentro nell’animo, c ti scuole ogni fibra, e per le vene ti diffonde un latte di tutta dolcezza. Spontanea, nativa qui l’odi suonar sulle labbra di un popolo, al quale è istinto la melodia, c il canto è natura. Immaginosa, vivace, patetica, dominatrice di lutti gli affetti, dalle scene d’Italia c d’Europa volge a suo talento i cuori dei popoli diversi di costumi e di lingua, quasi per lei facessero una sola famiglia. Dalle nebbie del Tamigi alle rive gelate della Ncva ella trapassa segnando il suo cammino di luminosi trionfi c dappertutto recando riverito cil illustre il nome italiano. dell’Ahghieri ^e Vl’cgli dtó "Minm/’chrLcrr^Sc C„ u’ c Ta’i /* ’ i"c I>i><dS sio ed Alfieri non ci tolgono sentire altamente le grandi bellezze di Shakspcare e di Schiller: le classiche opere dei pittori italiani non ci impediscono vagheggiare altresi le romantiche rappresentazioni fiamminghe; c i canti ispirati di Semiramide, di A’orma, di Anna Bonìerito^ommo11™^questo Robertl^U Diavolo, nè tTaìl* E^ndy/Xr^a^parcr nostro, vi è tanta copia di &ttisz!ttssva,£i melodioso, insinuante, vi è la bella romanza di Alice nel primo atto, la popolarissima Siciliana, la divina fissi*™ di Alice nel"tcrzo"’"e °i graziosinioUvi,°e motiva cosi, che nulla più. Per quelli clic non contenti £ ■ ’i ngònom °u’ |ioo d c ‘ ’dell’orto, non disgiunta mai dal gusto più squisito, noteremo l’imponente preludio dell’Opera, tutto sparso di dopo svolto in mille guise il primo pensiero, lutto risolvi in un coro della più semplice e bella fattura: noteremo la romanza di Rami,aldo, nella quale I’ ordei quanto atto, Sh frase,Vnd.’c’ssa’smnpltóssima" ghiera accompagnata con l’organo! quanta dottrina ■ Il dispoi Idi partita questo pezzo MI tcrc non esitiamo a dire clic pòchissl’im Vzzi ’di" siiniì genere potrebbero essergtijiosti aJ.onfromo.Jaghissieri, ispirato quasi sempre, c specialmente nella risoluzione nel modo maggiore dell’adagio, fedele nel colorito delle frasi, secondo le passioni espresse da eiaplesso di bellezza da essere proposto come ’ sovrano minima parte di quest’Opera, sia stata trasandata dall’autore, compresi gli stessi recitativi, c come la parte tanto eie f lei te c sempre ci venga c pr n ilo non solo la parola, ma persino la mimica azione. In tanta sublimità di lavoro, in tanta c si mirabile copia d, b, Ite/ze <1 ogni m anicra^c^ «P^chc «tata Roberto è ben degno clic lo accolgano festevolmente anche i teatri d’Italia. Non pretenderemo già noi che tutta su questi modelli si abbia a foggiare la musica nostra, e clic abbiano i nostri compositori a posporre a codesta musicale sapienza c profondità quelle melodie soavissime che sono tutta creazione del genio il!>liano. Il gusto del popolo sappimi! benissimo ~" principalissima regola di ogni convenienza nell’arti; c a noi non altrimenti che a questo popolo, scendono addentro nell’animo quelle semplici cantilene c quei toccanti motivi che si facilmente si scolpiscono nella memoria, c vanno ripetuti in sulle bocche di tutti. Ma per ciò clic alla semplicità sempre sta vicinissima la grettezza e la trivialità, desiderabile cosa ci pare che talvolta anche a noi si offrano da ammirare questi portenti di severa sapienza, cil alcun poco vi si vengano educando gli animi del popolo, nflinchè non cosi facilmente si rimanga contento a certe artistiche brutture ed insipide melensaggini di non poche Opere moderne, le quali, nate appena, sarebbero anche morte, se non le tenesse in vita la smania di novità. Così quando la italiana poesia venne meno tra quel diluvio di sonetti c canzoni che gli Arcadi furiosamente stampavano tutte ad un conio, Varano dapprima, e Aloidi dipoi la rialzarono sublime, richiamandola alla vera sua scuola, alla scuola deU’Alighieri. I sommi son sempre radi nelle arti: facciamo loro buon viso da qualsivoglia paese ci vengano. È morto oggidì ogni pregiudizio contro le straniere letterature, ìzi tutte insieme si fondono c si contemperano in ìa letteratura comune, le line delle altre giovandosi porgendosi da buone sorelle la mano. Perchè non dovrà la musica ancora seguitarne l’esempio? Ne verrà.antaggio grandissimo, quando i dovuti riguardi si serbino. CARTEGGIO Al signor C. di Parigi. Io avrei voluto far precedere alla rapida relazione clic vi farò della nostra esposizione di Belle Arti alcune osservazioni generali, clic bastassero ad indicarvi quale sia lo stato delle arti in Italia, c come queste’ sicno intese c quindi interpretate dai loro cultori. Ala siccome ciò richiederebbe un certo sviluppo, perciò sono attualmente costretto a rinunziarvi, troppo felice ancora se giungerò a stringere in due. sole lettere la edere rivista dei più interessanti lavori d’arte esposti in quest’anno. Chi sa se una terza lettera 110.1 completerà questa omissione^ offrendo così lo spettacolo obbhga nessuno.SEdorà TOininc’iamo.11' " ^ fa la liUcon vendon i artisti‘be°, {Titr^’q^oCtec manierato, clic deve l’effetto 11011 alla forza del pennello ma alla stravagante sovrapposizione di enormi strati di biacca 0 di qualunque altro color.y.iù vi piaccia, servile imitadeve essere, e fra 1 primi, annoverato il Poggi, clic sente nell’anima il santo bisogno di avere uno stile proprio, cd una maniera affatto individuale di intendere c.l’interpretar l’arte. Ond’è clic in tutti i suoi dipinti vedesi sempre l’impronta d’una originalità che serve a staccarli dalla massa degli altri lavori, ond’è che egli è sempre ne’suoi pregi, e persino ne’suoi difetti un vero artista, ond’è clic la forza de’suoi concetti, il vigore del suo colorilo, la verità c la potenza nell’espressione, l’evidenza cd il gusto nei dettagli e nell’assieme colpiscono tanto maggiormente, in quanto clic v’ha in tutto questo il suggello d’un fare esclusivo, clic non fieri dietro a nessuna pedata e che cerea di aprirsi una via propria, lontana egualmente dalle folli esagerazioni come dai plagi servili. Il suo quadro dell’Adultera, a figure metà del vero, cd il suo ritratto del Borgia sono frallc tele migliori esposte quest’anno; v’è qualche cosa di antica bellezza in queste opere in cui tutto è saggio c moderato, in cui 11011 si andò in traccia d’uno di quegli effetti abbaglianti che non reggono innanzi alla critica, ma si geldì genere ed alcuni ritratti sono pur degni del pcnd’un semplice cenno, se la terribile brevità 11011 mi stesse alle spalle, fiera cd implacabile come una padrona clic vuol essere esattamente obbedita. tratti* e* di mezzc^gm’-c pienedi* brio’ d" effetto,°di ’vita c di somiglianza. L’attenzione del pubblico si ferma con compiacenza innanzi a questi risultati d’un pennello abile c grazioso che non dimentica i più legger dettagli, c clic sa dare al prosaico ritratto una decisi ‘"’una’figur^dfdo’nna sdrajata sul letto, e che seni cd una mezza figura d’una vecchia sorciera, d’un snecie di Unormand da ’villaaaio. sono due sauisil [p. 168 modifica]lavori mandati all’esposizione dal marchese Fcrroni, sommo dilettante che potrebbe essere a sua voglia un celebre artista. Entusiasta amatore della sua arte, il marchese I’crroni si è formato studiando i grandi modelli delle grandi scuole italiane; da ciò quei colorire pieno ili vigore e di suro, quella correzione di disegno, quella elegante squisitezza nelle forme della donna, e quella verità lontana dalle sciocchezze grottesche nel viso della vecchia sibilla. Sono davvero due magnifiche tele. Natale Schiavoni ha rinnovati i solili prodigi; ancora le sue teste femminili d’una inconcepibile bellezza, le sue quasi nude c dormenti fanciulle che affascinano gli sguardi, ancora quegli occhi che scintillano, quei sorrisi che esaltano, quelle treccie che sembrano impregnale d’una voluttuosa umidità, ancora insomma quegli incantevoli prestigi, quel colorilo portentoso, quel tutto assieme che fa dello Schiavoni un pittore affatto eccezionale. Alcuni rimproverano a Schiavoni di riprodurre eternamente le stesse idee, di replicare all’infinito le stesse fisonomic, di ricalcare implacabilmente gli stessi argomenti; ed il fatto è vero. Ma se Io Schiavoni, abbandonando quel suo genere dovesse divenire minore di sé stesso, se rinunziando a quella sua specialità dovesse abdicare all’idea di fare dei capolavori, ebbene! clic lasci gracchiare questi amabili critici, che continui intrepidamente sulla sua via, che seguiti a riprodurre, che moltiplichi le edizioni delle sue oliere, lo giurerei che il pubblico ed 10 preferiamo di rileggere trenta volte l’Ariosto, piuttosto clic perdere il nostro tempo per occuparci di certe prime edizioni che non avranno mai la gloria di divenire seconde. Il commendatore Mussini di Firenze offri all’esposizione un quadro colossale, ed allegorico, clic rappresenta Francesco I di Francia, meditante la conquista della Lombardia al cospetto della sua bella, uscita in quel momento dal bagno. In quanto al concetto io oserei premettere che in generale le allegorie sono per me qualche cosa di detestabile, di arcadico, di fossile, clic dovrebbe essere eliminalo dalla faccia delle arti c della letteratura. Le antiche allegorie, quelle della Psiche, di Circe, d’Ercole, di Cerere, e le mille altre create dalla ingegnosa falange de’ Greci poeti, io le intendo; erano mezzi letlcrarii od artistici destinati a semplificare le più astruse idee metafisiche, a materializzare un concetto morale onde renderlo più accessibile alle brevi intelligenze della moltitudine, erano una teoria psicologica ridotta per così dire allo stalo di romanzo, un principio astratto tradotto nell’evidente forma d’un avvenimento. L’allegoria, era quindi 11 risultato d’un ragionevole processo intellettuale, si ridùcea a pezzi la focaccia per farla entrare in tutte le bocche. Ma se l’allegoria subisce l’ordinejnverso, se d’un fatto evidente, chiaro, semplice si cerca di farne un enigma, se si prende l’avvenimento c si converte in astrazione; allora l’artista c il poeta diventano gli emuli generosi di quella cara creatura che trincia in tre o quattro pezzi una lunga parola, clic fabbrica due o tre versi sovra ciascuno di questi frammenti, e clic poscia vi domanda in clic consista l’intiero. La bella cosa gettare, molta abilità artistica, una vasta tela e un enorme quantità di colori per farsi il rivale d’uno sciaradista! Sì dunque! noi crediamo che la missione dell’arte debba essere intesa diversamente. L’esecuzione di questo quadro è certamente assai migliore del concetto; come disegno e come colorito si palesa uscito da una mano maestra. A me parvero per altro triviali la figura e la posa di Francesco I, ed un po’ grossolani i vezzi della bella bagnante: per conto mio preferirei alla dea seminuda qualcuna di quelle ancelle graziose c gentili che le si affannano intorno. Non è però questo il primo caso in cui trovo che l’anticamera merita talora una ragionevole preferenza sul salon. (Sarà continuato) TEATRO RE GUSTAVO MODERA E GLI ARTISTI DA LUI DIRETTI Le rappresentazioni degli artisti diretti dal Modena vanno ogni sera più persuadendo clic il loro direttore c maestro li pose e sa tenerli su quella via, che è l’unica per la salvezza dell’arte, c dalla quale generalmente parlando tutti i capocomici, artisti, attori, commedianti, recitanti c clic so io della Penisola, rifuggono, direi quasi con superba alterezza, persuasi che la loro scuola facile c falsa sia la migliore, perchè trova frequenti e clamorosi applausi. Ma, buon Dio! da chi? Da quegli stessi che posti davanti ad un quadro, tanto più te lo esaltano, quanto più ne sono vivaci i colori, a nulla badando poi se le carnagioni sembrino tali veramente, se la composizione pecchi di confuso c manchi deH’csprcssione che il subbictto richiede, se finalmente il disegno, dote indispensabile ad un pittore;ome ad un aritmetico l’addizione, sia corretto o non aa. E poiché 111 e caduta dalla penna questa similitudine, continuerò a servirmene per dire, che gli artisti diretti dal Modena, stanno tuttavia esercitandosi nel disegno, e che quindi non possono per anco colorir con franchezza; ma non dubitale; convicn incominciare a contornar con riserbo, per finire a contornar presto c bene, e quando una figura è ben contornata riesce poi assai meno difficile a colorirla cd a colorirla in modo vero ed effettivo. Contuttociò andando al Teatro Re non crediate già di andar ad assistere ad una scuola di clementi d’arte rappresentativa, anziché a rappresentazioni complete; quantunque quegli artisti sicno in attualità di tirocinio, l’accortezza del direttore, il quale non consulta già le convenienze ma le singole loro attitudini, sa cosi bene a ciascheduno distribuire le parli, che quella insoddisfazione che potrebbe per avventura generarsi da chi sta facendo la propria pratica, riesce o poco sensibile o nulla. E se qualche lieve noja talvolta pur ne venisse, non dovremmo noi tollerarcela in pace, persuasi clic ne saremo poi risarciti dalla formazione di buoni attori futuri? D’altronde non tutti gli artisti diretti dal Modena, com’è naturale, sono di un medesimo grado di forza; alcuni ve n’hanno fra questi che si lasciano alquanto addietro dai proprii colleghi, c ben sapete inoltre eli’ egli volle eziandio circondarsi di qualche attori provetti, i quali invece dal cominciare a pensare a star con franchezza in isccna, non dovettero d’altro occuparsi che di liberarsi da quelle, maniere convenzionali che se non in grado eminente, avevano però senza dubbio in qualche dose tradizionalmente contralte. Quindi é che noi ripetiamo adesso con giubilo, quanto già dicemmo altre volte, cioè che questa compagnia, nella quale la Dio mercè più non si odono nè voci sforzate, nè parlatone predicate in piano e forte, nè riconoscimenti che sono la caricatura del singhiozzo c del palpilo, nò bruschi passaggi da alcune parole dette con lentezza c gravità ad un’improvvisa c precipitévole celerilà, che non d’altro dà prova se non clic di qualche scioltezza di lingua, questa compagnia, diciamo noi, a malgrado dei soli suoi sette mesi di vita e della giovanissima età della maggior parte de’ suoi componenti e supcriore a tutte le altre nostre clic calcano le scene dall’Alpi al Lilibco. Fra quegli artisti provetti di cui dicemmo è senza dubbio notevole c degna di particolare menzione la signora Angiola botteghini. Le parti di madama Jacquart, della d’Hermily, c di mogie nei due Sargenti, la qualificano attrice a poche seconda. Essa ha il talento di farvi piangere c ridere nella prima, di interessarvi colla nobiltà ilei contegno c colla finezza c tranquillità del dire nella seconda, malgrado la nessuna simpatia del carattere del personaggio a lei destinato, ili commovervi altamente nella terza e di dare all’affetto un accento di verità tale, da servire al Modena del più degno riscontro; si direbbe che in quella parte agisca in alcuna delle situazioni più importanti per forza magnetica, e clic l’emanazione artistica del di lei collega, le si comunichi in certi istanti e quasi la identifichi ad esso. Subito dopo a parer nostro chi in questa compagnia occupa colla signora Angiola Botteghini uno dei primi posti, è il signor Vincenzo Lancetti, destinato alle parli caratteristiche. Natura non largì a questo giovane attore un fisico molto felice, ma egli sa trarne coll’arte parliti degni di lode. Pochi attori saprebbero tramutarsi com’egli fa, pochi attori trovar quell’csprcssionc svariata clic vi fa dubitare se il Pari della Cabala (Camaradcric), sia sostenuto da quel medesimo attore che vi fa l’usurajo nella Clotilde, o il Marchese De la Rapinièrc nelle Memorie del diavolo, o il Lorenzo nell’Arfico/o 9C0. Chi occupa in questa compagnia un altro posto onorevole, sebbene pressoché nuova alle scene è senza dubbio madamigella Adclia, che non manca altresì nè di lineamenti gentili, nè d’occhi vivaci. Nella Calunnia, nella Cabala, nel Bicchier d’acqua, ci dimostrò chiaramente ch’ella è destinata a ricscirc in quelle parti clic richiedono l’esposizione delle raffinatezze dell’alta società; non le dissimuleremo però che nella parte di Duchessa nel Bicchier d’acqua avremmo in generale desiderato da lei un emetter di voce un po’ meno lento e meno monotono. Anche nella Clotilde di Soulié trovò un meritalo favore nel pubblico sostenendone la parte protagonista. Senza smanie, senza gridori, senza contorcimenti, riuscì a produrre sotto le spoglie di quel personaggio un effetto, clic prima non era stato prodotto sui milanesi che dall’attrice francese madamigella Abit, c vedendo madamigella Adelia, non ci ricordammo di quell’altra che un solo istante, quando Clotilde cioè rompe il suggello def dispaccio diretto a Giuliano. Madamigella Abit era trascinata a quell’atto indiscreto, come da una forza irresistibile, e se lo faceva perdonare dal pubblico. Madamigella Adclia in quel momento mancò, e noi glielo diciamo, non già con amino di biasimarla, ma per metterla in sull’avviso ond’ella rifacendo quella parte, possa anche in questo punto mettersi al livello del rimanente. Chi dimostra tanta intelligenza quant’ella ne dimostra, chi va al pari di lei in traccia del patetique sans cris che è la pietra di paragone del buon senso di un artista, non s’arresterà, speriamo, sul principio di una carriera che ha così bene inauI gura’a. i Ora potremmo discendere a parlarvi della giovane: Botteghini, delle sorelle Caracciolo, del signor Salvij ni, del Vostri figlio di quell’ammirabile Luigi che lutti i ricordiamo, c di molti altri ancora. Sia la carta ci I manca. Dunque ad altra occasione. G. I. NOTIZIE MUSICALI DIVERSE — Min,o. - /. li. Teatro alla Scala. - Le Opere si succedono alla Scala con una certa frequenza; c appena un mese clic e cominciata la stagione d’autunno, c già quattro spartiti furono offerti ad appagare le esigenze dei signori abbonati. Le ultime due opere prodotte, furono la Lucia e la Beatrice. L’esecuzione di queste due Opere lasciò certo luogo a molli desiderii, e suscitò assai vive delle non lontane ricordanze; ma pure non deve essere considerata come inaccessibile agli elogi, e massime agli elogi parziali. La Dc-Giuli nella Lucia ebbe degli istanti abbastanza felici, cd il tenore Gardoni sviluppò un aggradevole voce, che ha però assai bisogno d’essere coltivata. Il Dc-Bassini fu molto applaudito, ed in qualche punto meritò d’esscrlo. La Colleoni nella Beatrice non ci fece ohbliarc la Frczzolini, cd il tenore Ferretti ci fece, desiderare di vederlo sostenere una parte più adattata ai suoi mezzi: non c’è niente che sia in maggior antagonismo quanto il genere di voce del Ferretti con quello clic si richiede per portar la parte di Orombello. Si promettono quanto prima dei nuovi spartiti, dei nuovi artisti, insemina si cerca di supplire alla qualità colla quantità. E questo il destino a cui pel decadimento delI’ arte sono costrette di assoggettarsi le grandi imprese, che girano con terrore lo sguardo d’intorno per cercare degli artisti e che non finiscono che per trovare delle mediocrità. — L’iberia Musical, giornale artistico che si stampa a Madrid, ci dà delie fredde notizie sull’esito della Favorita di Donizctti, datasi a quel teatro del Circo. Fra i lamenti che innalza questo foglio periodico, non taceremo quello con cui rimprovera all’impresa di aver fatta una cattiva distribuzione di parti. Questo sbaglio, tanto comune anche in Italia, è uno di quei fatti che recano maggior torto c maggior danno all’arte. Soventi per esso cade un’Opera, clic avrebbe ottenuto splendido successo, c si formano dei giudieii clic possono macchiare la riputazione d’un povero maestro, clic vede condannata la sua Opera grazie alle meschinità od al cattivo collocamento degli artisti clic debbono interpretarla. Gl’impresarii, i direttori di teatro dovrebbero riflettere seriamente su tali inconvenienti, massime se desiderano di essere considerati come i protettori e non come i carnefici dell’ingegno. „. compreso il nuovo suo genero Thalbcrg. La France Musicale invece dice • Lablachc c sempre a • Parigi; l’operazione clic gli si fece in Inghilterra, vo«Icndogli levare un dente, sembra aver cagionato dei • guasti terribili alla mascella. Quantunque la malattia • non abbia nulla d’allarmante, essa produce all’illustre • cantante dei dolori abbastanza grandi per obbligarlo - a restare a Parigi, onde ricevere le cure de’medici, ■ e forse ciò gli impedirà di intraprendere il viaggio in • Italia che aveva progettalo di fare con tutta fa sua «famiglia •. Noi desideriamo che la maggioranza abbia questa volta ragione, c che l’onore del cavadenti di Londra e la mascella del grande artista sieno in un ragionevole stato di salute. — Tamburini partiva il IO settembre da Parigi per raggiungere a Vienna Rubini, da dove doveano recarsi ambedue immediatamente a Pietroburgo. L’apertura di quel nuovo teatro italiano è-fissata pclla sera deH5 ottobre. — Un celebre coreografo, Bournonville, che ha introdotto i halli nella Danimarca, c clic occupò nel 1780 cd 81 il posto di primo ballerino danzante al teatro dell’Accademia reale di Parigi, mori iiliiinameiitc nell’età di 83 anni al reale castello di Fridcnsborg, posto nell’il’isola Seeland, dove il re Federico VI aveva fatto preparare un asilo pella vecchiaja di questo grande artista. Suo figlio, Carlo Bournonville, fu il maestro della Grahn, della Niclseti e della Fieldstcd. — A Marsiglia la truppa italiana die’ termine alle sue rappresentazioni collo Stabat di Rossini, il cui successo passò tutte le aspettazioni: alla quarta sera v’era folla, e una folla piena di fanatismo. L’esecuzione di questo capolavoro formerà epoca nei fasti musicali di Marsiglia. GIOVAMI RICORDI EDITORE-PROPRIETARIO. Dall’I. R. Stabilimento Razionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVARCI RICORDI Contraila degli Omenoni!f. 1720.