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ci, l’altra al giovane Antonio Alberti studioso di matematica, filosofia e musica, con la quale ribattè i colpi degli avversarj insultando particolarmente il nome Spalarlo dicendo: Aon enim majores tui spatas fabricari solebant, eam. vaginas tantum consuerent atque componerent, onde spesso in essa lo chiama già vaginario, inserendovi qualche arguto epigramma Tutti questi scritti furono pubblicati a Torino da Francesco de Sylva l’anno-1521. Ma a dir vero, quasi lutti, piuttosto che Apologie dir si possono un ammasso di strapazzi, e d’ingiurie. Traltavasi in questa controversia particolarmente del valore e del genere de’differenti segni del canto misurato, e delle Ijroporzioni delle consonanze, avendo però a posterità reso giustizia al merito del nostro Gaffurio ritenendo que’da lui proposti, come lo conferma anche il signor Pietro Maroncelli nella recente sua vita del Corelli, dicendo, che alle figure della musica introdotte dal Marchetti di Padova, il nostro Gaffurio ne aggiunse delle altre, le quali riguardano particolarmente i segni del silenzio, ancor in uso al giorno d’oggi. Ciò che però ci rende veramente interessante la sua Apologia, si è che da essa rileviamo il titolo di alcuna sua composizione musicale. Benché dubitar non si poteva, che scrittore espertissimo e di grido fosse chi di essa scienza ci diede gli aurei precetti, e pose nella sua opera varj esempj, cui lo scrivere in canone non fu ignoto, nulla meno maggiormente viene ciò comprovato, perchè ivi conservasi la notizia della sua Messa intitolata: L’/iomme arme, di quella col titolo illustris Princeps, e dall’altra inscritta le Souvenir (t), le quali tutte furono da lui mandate alla cappella pontificia di Leone X quos celeberrimis cantoribus Leonis decimi Pontificis maximi misimus. E ben dovea egli essere conscio del proprio suo valore e perizia nel comporre, altrimenti ardito non avrebbe di far omaggio delle sue opere a quel magnificentissimo protettore dell’arte musicale, il quale dotato di buon orecchio e di una voce melodiosa l’avea sino dalla sua gioventù coltivala con molta attenzione, fu prima di essere cardinale cantore in S. Antonio di Firenze, ed il di cui sapere nella musica non era solamente singolare nella pratica, ma pur anche nella teorica, e che essendo sommo Pontefice non isdegnò di trattenersi nel soggetto dell’armonia, or spiegandone la lavorila sua teoria, or proponendone gli esempj sopra un istromeuto musicale, che teneva nella sua camera. Gio. Simone Mayr. (I) Affine di spiegare gli strani tiloli applicati alle composizioni ecclesiastiche, basta sapere, che in quei tempi i compositori erano si poveri d’invenzioni proprie, che adoperavan quasi sempre una melodia di qualche canzone popolare, la quale serviva per cosi dire a loro di tema fondamentale, onde fabbricarvi sopra l’artilizioso edilìzio delle loro arti contrappuntistiche. Da queste canzoni prendeva da poi la composizione, che per lo più era una Messa, il suo nome. E tali sono le due Messe sopraccitate ed intitolate, VNomine armi c le Souvenir fondate sopra due canzoni provenzali. LA MUSICA OIARD.VT.V J BISOCVI PRESENTI Il secondo campo della musica è il tea-; | Irò. Quale immensa arena di musicali faI tiche! Chi volesse ricondurlo alla sua religiosa istituzione, cioè, alle feste di Bacco, od ai misteri del medio evo, non intenderebbe bene il suo secolo; ma chi avvisasse potersi avviare al miglior vantaggio della vila morale, la penserebbe forse coi suoi contemporanei. Perchè se questo elemento passava una volta come indifferente, ora che assorbe grande parte de’ pensieri. e delle occupazioni del mondo civile; ora che è di nuovo sacrilegio, come in Alene, impiegar altrove i fondi destinati al teatro: ora che la maggiorità europea, come la plebe romana, mette subito dopo il pane gli spettacoli della scena, quale danno non emergerebbe se i promotori del meglio trascurassero quest’elemento! Molte sono le riforme che potrebbero introdurvisi, ma limitati noi dalla musica, noi guarderemo che sotto questo particolare aspetto. Il melodramma trovasi egli in armonia col suo secolo? Se non è, bisogna tirarvelo; voglio dire che è necessario di renderlo più profittevole, che non è, al bene della società. Certamente niuno lo crederà immutabile, nè tanto meno ribelle ad ogni ragionevole variazione. Ma dove mai avrebbe egli bisogno di cangiamenti? I Romantici hanno testé combattuto per le forme. Questa setta, veramente formalistica, avrebbe molto meglio meritato del progresso, se avesse rotta qualche lancia in favore d’una mutazione più sostanziale, e riconosciute invariabili le forme, avesse proclamata riformabile l’essenza del dramma. Questo poetico lavoro, guardato come semplice artificio, non può a meno d’essere una rappresentazione più o meno intrecciata-, tale fu dalla sua origine, cominciando dal primo tragico della Grecia; ma nè Eschilo, nè i suoi successori ed imitatori imposta non si erano la legge dell’intreccio amoroso sapendo benissimo che l’istituzione del dramma era politico-religiosa, diretta ai pubblici interessi, non alle private e casalinghe avventure. Col loro metodo perciò meglio esaurirono tutte le vicende interne, ed esterne dell’uomo come membro della società, trattarono tutte le passioni, e con esse l’amore senza parzialità alcuna. Ecco il dramma nazionale, e per conseguenza sociale, e morale. Nè ci stupiremo che i Greci abbiano ciò sentito, ove guardiamo, che gli spettacoli medesimi de’ popoli barbari, o poco civili, secondochè ne avvertono i viaggiatori, intendono a rappresentare fatti politici, guerrieri, religiosi, interessanti in ogni maniera. Ora essendoci noi moderni, qual che ne sia la cagione, ingiunta questa rigorosa legge dell’intreccio amoroso, fummo costretti a cominciare per una via stretta stretta, della quale annojati i novatori, gridarono contro le forme unitarie, contro la servilità classica, non badando che col loro contrario operare lasciavano il dramma nella sua infecondità. E così dura la noja, e durano gl’indicibili sforzi di coloro che ce la vogliono risparmiare con certe novità portentose, e con nuove forme di dir sempre le stesse cose. II dramma adunque gira un circolo veramente vizioso, percliè mutate le vesti e le sembianze non mutò i costumi, ed è ancora il caput mortuum della scuola metastasiana, e della giocondità del secolo; sborso. A tentare perciò’una vera, ed utile novità converrebbe condurre bel bello il dramma ad argomenti più importanti, più varj, più estesi, più sociali insomma, e poi se l’amore volesse trasformarsi in quello che tien pacifica la casa, affezionata la città, I concorde la nazione, in quello da cui ogni J bene e conforto deriva, od almeno cessasse dall’usanza vecchia di seminar guai, e di | corrompere il costume, bene meriterebbe anch’egli dell’universale miglioramento. Ma qualcuno dirà che forse avverrebbe al dramma rinnovato ciò che vediamo avvenire ad alcune tragedie di nuovo genere, le quali utilissime nell’argomento, elaboratissime nella condotta, piene di bella poesia, di nobili sentimenti, mancando appunto di quel fuoco, di quell’anima che vivifica tragedie d’alto stile, quelle cioè che oltre al farsi leggere, sanno anche commoverci, rapirci sulla scena, non piacciono, non interessano la colta udienza. Ciò potrebbe accadere, e per la novità, e per le contrarie abitudini. 3Ia questi ostacoli sono già preveduti. Nondimeno, a conforto de’riformatori, farò qui di passaggio un’osservazione. Nel nostro paese la musica è tutto, e la poesia (il libretto) è niente, dovunque questo male derivi, o dai poeti, o dagli uditori. Ebbene, da questo niente non si potrebbe cavare qualche cosa? In generale dopo il Melaslasio, che seppe interessare colla poesia, possiamo confessare, senza far torto a qualche altro lavoro teatrale uscito come lampo dal bujo dell’orrore drammatico, che ci disvezzammo dal buon senso in materia di poesia teatrale, il che ci rese sempre più indifferenti per le parole, ed ognor più esigenti per le note; così che quando un maestro, od un appaltatore volesse regalarci una buona musica ricca di bei motivi, e cantabili, poco c’importerebbe se fosse scritta sopra qualunque poesia, o prosa ridotta a metro, e rima. Ora uno scrittore di nuovi drammi partendo con felici augurj da questo punto d’indifferenza, non potrebbe egli tentare un genere di opera per musica più acconcio ai nostri bisogni. voglio dire all’edificazione della società? Un uditore italiano, già avvezzo a tanti inganni e delusioni teatrali, si lagnerà egli col tempo d’una frode sì innocente, sì feconda di buoni effetti? Anzi confesserà col poeta, che simile all "’egro fanciullo ha dall’inganno suo ricevuta sanità e vita. Ma bisogna che gli orli del vaso siano aspersi di soavi liquori, e questa dolce aspersione debbe sempre venir dalla musica. Un altro conforto. Se oggidì in Italia non avessimo altro incoraggiamento a questa innovazione basterebbe l’esito felicissimo dello Stabat rossiniano. Non- mai profana composizione risvegliò tanto entusiasmo e maraviglia, non mai lirico dramma tanto piacque ad ogni classe di uditori come quella sacra elegia. Io non conto le attrattive aggiuntele dal nome di Rossini, perchè ove fosse stato lavoro! per Irascuraggine, o per fretta, o per altra cagione, mediocre (mediocrità che non poteva venirle dall’ingegno dell’autore), il nome e la celebrità del maestro non avrebbero bastato a farla gustare ed applaudire. Guardo solo la novità della cosa, la quale assai chiaramente nel suo esito dimostrò quanto siam noi disgustati e nauseati del vecchio, cioè della presente teatrale monotonia, quanto avidi d una musica che sopra quali si vogliano parole ci dica qualche cosa di nuovo. Nè lo Stabat da quanto odesi a dire, sarà l’unica composizione di questo genere che ci rallegrerà, che ci farà pigliar gusto ad una musica più ragionevole e salutare, più educatrice del sentimento morale e religioso. Che diremo poi quando questa nuova musa non parlerà più latino,