Galateo ovvero de' costumi/XXX
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Cap. XXX. Si riferiscono altre molte azioni, e molte maniere sconce e difformi, che debbono schivarsi, e con ciò si pone fine al Trattato.
174. Non si dee alcuno spogliare, e spezialmente scalzare in pubblico, cioè laddove onesta brigata sia; chè non si confà quello atto con quel luogo. E potrebbe anco avvenire, che quelle parti del corpo, che si ricuoprono, si scoprissero con vergogna di lui, e di chi le vedesse.
172. Nè pettinarsi, nè lavarsi le mani si vuole tra le persone; chè sono cose da fare nella camera, e non in palese; salvo (io dico del lavar le mani) quando si vuole ire a lavola; perciocchè allora si convien lavarsele in palese, quantunque tu niun bisogno ne avessi; affinchè chi intinge teco nel medesimo piattello il sappia certo.
173. Non si vuol medesimameute comparire con la cuffia della notte in capo. Nè allacciarsi anco le calze in presenza della gente,
174. Sono alcuni che hanno per vezzo di torcer tratto tratto la bocca, o gli occhi, o di gonfiar le gote e di soffiare, o di fare col viso simili diversi atti sconci. Costoro conviene del tutto che se ne rimangano. Perciocchè la dea Pallade, secondamente che già mi fu detto da certi letterati, si dilettò un tempo di sonare la cornamusa; ed era di ciò solenne maestra: avvenne, che sonando ella un giorno a suo diletto, sopra una fonte si specchiò nell’acqua; e avvedutasi de’ nuovi atti che sonando le conveniva fare col viso, se ne vergognò, e gittò via quella cornamusa. E nel vero fece bene; perciocchè non è stromento da femmine, anzi disconviene parimente a’ maschi, se non fossero cotali uomini di vile condizione che lo fanno a prezzo e per arte.
175. E quello che io dico degli sconci atti del viso, ha similmente luogo in tutte le membra. Chè non istà bene nè mostrar la lingua, nè troppo stuzzicarsi la barba; come molti hanno per usanza di fare. Nè stropicciar le mani l’una con l’altra. Nè gittar sospiri, e metter guai. Nè tremare, o riscuotersi; il che medesimamente sogliono fare alcuni. Nè prostendersi; e prostendendosi gridare per dolcezza: Oimè, oimè; come villano che si desti al pagliaio.
176. E chi fa strepito con la bocca per segno di maraviglia, e talora di disprezzo, si contraffà cosa laida, siccome tu puoi vedere; e le cose contraffatte non sono troppo lungi dalle vere.
177. Non si vogliono fare cotali risa sciocche, nè anco grasse o difformi. Nè ridere per usanza, e non per bisogno. Nè de’ tuoi medesimi motti voglio che tu ti rida; chè è lodarti da te stesso. Egli tocca di ridere a chi ode, e non a chi dice.
178. Nè voglio io che tu ti facci a credere che, perciocchè ciascuna di queste cose è un piccolo errore, tutte insieme siano un piccolo errore; anzi se n’è fatto e composto di molti piccioli un grande, come io dissi da principio; e quanto minori sono, tanto più è di mestiero, che altri v’affissi l’occhio; perciocchè essi non si scorgono agevolmente, ma sottentrano nell’usanza, che altri non se ne avvede: e come le spese minute, per lo continuare occultamente, consumano lo avere; così questi leggieri peccati di nascosto guastano col numero, e con la moltitudine loro la bella e buona creanza. Perchè non è da farsene beffe.
179. Vuolsi anco por mente, come l’uom muove il corpo, massimamente in favellando; perciocchè egli avviene assai spesso, che altri è si attento a quello che egli ragiona, che poco gli cale d’altro. E chi dimena il capo, e chi straluna gli occhi, o l’un ciglio lieva a mezzo la fronte, e l’altro china fino al mento; e tale torce la bocca; e alcuni altri sputano addosso e nel viso a coloro co’ quali ragionano. Trovansi anco di quelli che muovono siffattamente le mani, come se essi ti volessero cacciar le mosche; che sono difformi maniere e spiacevoli.
180. E io udii sì fattamente raccontare (chè molto ho usato con persone scienziate, come tu sai) che un valente uomo, il quale fu nominato Pindaro, soleva dire che tutto quello che ha in se soave sapore e acconcio, fu condito per mano della leggiadria e della avvenentezza.
181. Ora che debbo io dire di quelli che escono dello scrittoio fra la gente con la penna nell’orecchio? e di chi porta il fazzoletto in bocca? o di chi l’una delle gambe mette in su la tavola? o di chi si sputa in su le dita? e di altre innumerabili sciocchezze? le quali nè si potrebbon tutte raccorre, nè io intendo di mettermi alla pruova: anzi saranno per avventura molti che diranno, queste medesime, che io ho dette, essere soverchie.