Galateo ovvero de' costumi/XXIII
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Cap. XXIII. Altre osservazioni circa il favellare. Non si parli prima che si sia ben concepito il soggetto del discorso. Come si debba regolare la voce. Le parole sieno ben ordinate. Non si usin forme di dire pompose: non basse, e plebee: la maniera di pronunziare sia con dolcezza convenevole.
116. E perchè io ho conosciute di quelle persone che hanno una cattiva usanza e spiacevole; cioè che così sono vogliosi e golosi di dire, che non prendono il sentimento, ma lo trapassano e corrongli dinanzi a guisa di veltro che non assanni; perciò non mi guarderò io di dirti quello che potrebbe parer soverchio a ricordare, come cosa troppo manifesta; è ciò è: Che tu non dei giammai favellare, che non abbi prima formato nell’animo quello che tu dei dire; chè così saranno i tuoi ragionamenti parto, e non isconciatura: chè bene mi comporteranno i forestieri questa parola, se mai alcuno di loro si curerà di leggere queste ciancie. E se tu non ti farai beſſe del mio ammaestramento, non ti avverrà mai dì dire: Ben venga, messer Agostino, a tale che arà nome Agnolo o Bernardo e non arai a dire: — Ricordatemi il nome vostro e non ti arai a ridire, nè a dire: — Io non dissi bene: né Domin ch’io lo dica; nè a scilinguare o balbotire lungo spazio per rinvenire una parola: — Maestro Arrigo, no: Maestro Arabico: O ve’ che lo dissi! Maestro Agabito: che sono a chi t’ascolta tratti di corda.
147. La voce non vuole essere né roca, nė aspera. E non si dee stridere; nè per riso o per altro accidente cigolare, come le carrueole fanno. Nè mentre che l’uomo sbadiglia, pur favellare. Ben sai, che noi non ci possiamo fornire nè di spedita lingua, nè di buona voce, a nostro senno. Chi è o scilinguato, 0 roco, non voglia sempre essere quegli che cinguetti; ma correggere il difetto della lingua col silenzio e con le orecchie; e anco si può con istudio scemare il vizio della natura. Non istà bene alzar la voce a guisa di banditore; nè anco si dee favellare sì piano, che chi ascolta non oda. E se tu non sarai stato udito la prima volta, non dei dire la seconda ancor più piano: nè anco dei gridare; acciocchè tu non dimostri d’imbizzarrire perciocchè ti sia convenuto replicare quello che tu avevi detto.
118. Le parole vogliono essere ordinate secondo che richiede l’uso del favellar comune, e non avviluppate e intralciate in qua e in là, come molti hanno usanza di fare per leggiadria; il favellar de’ quali si rassomiglia più a notaio che legga in volgare lo istrumento, che egli dettò latino, che ad uom che ragioni in suo linguaggio come è a dire:
Immagini di ben seguendo false (Dante): e
Del fiorir queste innanzi tempo tempie (Petr.).
i quali modi alle volte convengono a chi ſa versi, ma a chi favella si disdicono sempre.
149. E bisogna, che l’uomo non solo si discosti in ragionando dal versificare, ma eziandio dalla pompa dello arringare, altrimenti sarà spiacevole e tedioso ad udire; comechè per avventura maggior maestria dimostri il sermonare, che il favellare; ma ciò si dee riservare a suo luogo. Chè chi va per via, non dee ballare, ma camminare; con tutto che ognuno non sappia danzare, e andar sappia ognuno; ma conviensi alle nozze, e non per le strade. Tu ti guarderai adunque di favellar pomposo. Credesi per molti filosofanti... e tale è tutto il Filocolo, e gli altri trattati del nostro messer Giovan Boccaccio; fuori che la maggior opera, e ancora più di quella, forse il Corbaccio.
120. Non voglio perciò che tu ti avvezzi a favellare si bassamente, come la feccia del popolo minuto, e come la lavandaia e la trecca1; ma come i gentiluomini, la qual cosa come si possa fare, ti ho in parte mostrato di sopra; cioè se tu non favellerai di materia nė vile, nè frivola, nè sozza, nè abominevole: e se tu saprai scegliere fra le parole del tuo linguaggio le più pure e le più proprie, e quelle che miglior suono e miglior significazione aranno senza alcuna rammemorazione di cosa brutta, nè laida, ne bassa; e quelle accozzare, non ammassandole a caso, nè con troppo scoperto studio mettendole in filza. E oltre a ciò se tu procaccerai di compartire discretamente le cose che tu a dire arai. E guardera’ ti di congiugnere le cose difformi tra sè come:
Tullio, e Livio, e Seneca morale (Dante)
L’uno era Padovano, e l’altro Laico (Burch.)
E se tu non parlerai sì lento, come svogliato, a nè si ingordamente, come affamato; ma come temperato uomo dee fare. E se tu proferirai le lettere, é le sillabe con una convenevole dolcezza, non a guisa di maestro che insegni leggere e compitare a’ fanciulli nè anco le masticherai nè inghiottiraile appiccate e impiastricciate insieme l’una con l’altra. Se tu arai dunque a memoria questi, e altri sì fatti ammaestramenti, il tuo favellare sarà volentieri e con piacere ascoltato dalle persone; e manterrai il grado e la dignità che si conviene a gentiluomo bene allevato e costumato.
- ↑ Rivendugliola di cose da mangiare.