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chio a ricordare, come cosa troppo manifesta; è ciò è: Che tu non dei giammai favellare, che non abbi prima formato nell’animo quello che tu dei dire; chè così saranno i tuoi ragionamenti parto, e non isconciatura: chè bene mi comporteranno i forestieri questa parola, se mai alcuno di loro si curerà di leggere queste ciancie. E se tu non ti farai beſſe del mio ammaestramento, non ti avverrà mai dì dire: Ben venga, messer Agostino, a tale che arà nome Agnolo o Bernardo e non arai a dire: — Ricordatemi il nome vostro e non ti arai a ridire, nè a dire: — Io non dissi bene: né Domin ch’io lo dica; nè a scilinguare o balbotire lungo spazio per rinvenire una parola: — Maestro Arrigo, no: Maestro Arabico: O ve’ che lo dissi! Maestro Agabito: che sono a chi t’ascolta tratti di corda.
147. La voce non vuole essere né roca, nė aspera. E non si dee stridere; nè per riso o per altro accidente cigolare, come le carrueole fanno. Nè mentre che l’uomo sbadiglia, pur favellare. Ben sai, che noi non ci possiamo fornire nè di spedita lingua, nè di buona voce, a nostro senno. Chi è o scilinguato, 0 roco, non voglia sempre essere quegli che cinguetti; ma correggere il difetto della lingua col silenzio e con le orecchie; e anco si può con istudio scemare il vizio della natura. Non istà bene alzar la voce a guisa di