Capitolo XXIV

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CAP. XXIV. De’ troppo verbosi: di que’ che vogliono parlar soli, di que’ che interrompono altri che parla: e de’ difetti di varie sorte, che in ciò si commettono. Onde sia, che spiaccia chi parla soverchio: essere odioso anche il soverchio tacere, e se ne reca la ragione.

124. Sono ancora molti che non sanno restar di dire; e come nave, spinta dalla prima foga per calar vela non s’arresta, così costoro trasportati da un certo impeto scorrono, e mancata la materia del loro ragionamento, non finiscono perciò, anzi o ridicono le cose già dette o favellano a vuoto.

122. E alcuni altri tanta ingordigia hanno di favellare, che non lasciano dire altrui. É come noi veggiamo talvolta su per l’aie de’ contadini l’un pollo torre la spica di becco all’altro; così cavano costoro i ragionamenti [p. 79 modifica]di bocca a colui che gli cominciò, e dicono essi. E sicuramente che eglino fanno venir voglia altrui di azzuffarsi con esso loro: perciocchè se tu guardi bene, niuna cosa muove l’uomo più tosto ad ira, che quando improvviso gli è guasto la sua voglia e il suo piacere, eziandio minimo; siccome quando tu arai aperto la bocca per isbadigliare, e alcuno te la tura con mano; o quando tu hai alzato il braccio per trarre la pietra, e egli t’è subitamente tenuto da colui che t’è di dietro.

123. Così adunque come questi modi, molti altri a questi somiglianti, che tendono ad impedir la voglia e l’appetitó altrui, ancora per via di scherzo e per ciancia sono spiacevoli, e debbonsi fuggire; così nel favellare si dee piuttosto agevolare il desiderio altrui che impedirlo. Per la qual cosa, se alcuno sarà tutto in assetto di raccontare un fatto, non istà bene di guastargliete, nè dire, che tu lo sai: o se egli anderà per entro la sua istoria spargendo alcuna bugiuzza, non si vuole rimproverargliele nè con le parole, nè con gli atti, crollando il capo, o torcendo gli occhi; siccome molti soglion fare, affermando se non potere in modo alcuno sostener l’amaritudine della bugia: ma egli non è questa la cagione di ciò; anzi è l’agrume e lo aloè della loro rustica natura e aspera, che si gli rende venenosi e amari nel consorzio degli uomini, [p. 80 modifica]che ciascuno gli rifiuta. Similmente il rompere altrui le parole in bocca è noioso costume, e spiace non altrimenti che quando l’uomo è mosso a correre e altri lo ritiene.

124. Nè quando altri favella, si conviene di fare sì, che egli sia lasciato e abbandonato dagli uditori, mostrando loro alcuna novità, e rivolgendo la loro attenzione altrove: chè non istà bene ad alcuno licenziar coloro che altri e non egli invitò.

125. E vuolsi stare attento quando l’uomo favella, acciocchè non ti convenga dire tratto tratto: Eh? o come? il qual vezzo sogliono avere molti. E non è ciò minore sconcio a chi favella, che lo intoppare ne’ sassi a chi va. Tutti questi modi, e generalmente ciò che può ritenere, e ciò che si può attraversare al corso delle parole di colui che ragiona, si vuol fuggire.

126. E se alcuno sarà pigro nel favellare, non si vuol passargli innanzi, nè prestargli le parole; comechè tu ne abbi dovizia e egli difetto; chè molti lo hanno per male, e specialmente quelli che si persuadono di essere buoni parlatori; perciocchè è loro avviso, che tu non gli abbi per quello che essi si tengono, e che tu gli vogli sovvenire nella loro arte medesima; come i mercatanti si recano ad onta, che altri profferisca loro denari, quasi eglino non ne abbiano e siano poveri e biso[p. 81 modifica]gnosi dell’altrui. E sappi che a ciascuno pare di saper ben dire; comechè alcuno per modestia lo nieghi.

127. E non so io indovinare donde ciò proceda, che chi meno sa, più ragioni: dalla qual cosa, cioè dal troppo favellare, conviene che gli uomini costumati si guardino, e spezialmente poco sapendo; non solo perchè egli è gran fatto, che alcuno parli molto senza errar molto; ma perchè ancora pare, che colui che favella, soprastia in un certo modo a coloro che odono, come maestro a’ discepoli; e perciò non istà bene di appropriarsi maggior parte di questa maggioranza, che non ci si conviene. E in tale peccato cadono non pure molti uomini; ma molte nazioni favellatrici, e seccatrici sì che guai a quella orecchia che elle assannano.

128. Ma come il soverchio dire reca fastidio, così reca il soverchio tacere odio; perciocchè il tacersi colà dove gli altri parlano a vicenda, pare un non voler metter su la sua parte dello scotto; e perchè il favellare è uno aprir l’animo tuo a chi t’ode, il tacer per lo contrario pare un volersi dimorare sconosciuto. Per la qual cosa, come que’ popoli che hanno usanza di molto bere alle loro feste e d’inebbriarsi, soglion cacciar via coloro che non beono; così sono questi così fatti mutoli mal volentieri veduti nelle liete e ami[p. 82 modifica] chevoli brigate. Adunque piacevol costume è il favellare, e lo star cheto ciascuno, quando la volta viene a lui.