Galateo insegnato alle fanciulle/Lezione V - Il pettegolezzo

Lezione V - Il pettegolezzo

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LEZIONE V.

Il Pettegolezzo.

Le fanciulle che troppo chiacchierano, facilmente sono anche pettegole, perchè, quando hanno terminato di narrare i fatti proprii, [p. 21 modifica] entrano nel campo altrui per trovar nuova materia di conversazione. Per lo più esse poco amano lo studio ed il lavoro, ed invece di cercare in utili occupazioni, nei buoni libri e nelle serie conversazioni di persone virtuose e dotte l'alimento alla vivace loro fantasia, alla loro intelligenza, all’istintiva loro curiosità, lo mendicano o meglio lo involano nei santuario delle famiglie di loro relazione, per poi diffondere imprudentemente con colori vivaci ciò che hanno udito, fra quanti conoscono. Oh! Mariuccia mia, sta lontana da questo brutto difetto, che fa trascendere alla maldicenza, che da Giovio è paragonata al solletico, al principio del quale si ride e continuandolo si muore.

Quanto male può fare una pettegola colla sua imprudente loquacità, colla sua mormorazione, contraria alla carità, che Iddio da noi desidera!

La sunnominata Zerlina era pur troppo pettegola. Elia sentiva una grande smania di stare alla finestra e sulla porta di casa, per vedere chi entrava da’ suoi vicini e chi ne usciva. Ella poi aveva l’orribile abitudine d’ascoltar agli usci, per udire, senz’essere veduta, ciò che i parenti e gli amici dicevano di lei o di altri, per poi riferirlo e farne un grosso guaio, e di frugare nelle carte altrui, di leggerne di nascosto le lettere per aver la spiegazione di qualche mezza parola sfuggita dal labbro di un imprudente. Interrogava le persone di servizio per sapere che cosa mangiavano i signori A. ed i signori [p. 22 modifica]B., come vestivano, come giudicavano Tizio, Caio ecc., per poi farsi un vanto, andando a trovar questi ultimi, di mostrarsi di tutto informata e di riferire coi fiocchi e le frange l’udito.

— Una parola detta forse indifferentemente o in confidenza tra marito e moglie, tra madre e figli, ripetuta da un terzo o da un quarto, prende spesso un carattere di malignità ed irrita la persona alla quale è diretta.

Cosicché Zerlina, per sola legpgerezza, rendeva nemiche fra di loro più famiglie, che si sarebbero, senza di lei, slimate ed amate. Sono incalcolabili i dispiaceri, le discordie, che il pettegolezzo può produrre nelle famiglie.

Tra le amiche spesso v’ha un momento di espansione, nel quale per intiero s’apre l’animo nostro, si narra ciò che abbiamo di più intimo, accennando alla causa delle nostre maggiori gioie e de’ nostri dolori. Guai se l’amica, che s’è prima a noi confidata, per invitarci a far altrettanto, si vale di ciò che è riuscita a strapparci dal labbro, in un momento forse d’orgasmo e ci tradisce! Guai, se invece di custodire gelosamente il segreto confidatole, se ne serve come di soggetto di leggera o maligna conversazione! È inurbano, è indelicato l’insistere per avere la rivelazione d’un segreto; quando questa venga però fatta, è infamia il non mantenerlo celato con ogni maggior riguardo a qualsiasi costo, com’è leggerezza imperdonabile l’eccitare la curiosità altrui vantandosi d’aver un segreto di [p. 23 modifica] importanza da custodire — Se però, a questo proposito, fìglia mia, tu vuoi un buon consiglio da tua madre, la quale vorrebbe poterti salvare da ogni pericolo ed evitarti anche il minimo dispiacere, eccotelo: Conserva in cuor tuo scrupolosamente i segreti altrui ed anche i tuoi. Neppure all’amica intima, non confidare un segreto delicato, che ti prema serbare per sempre ignoto. Ciò che assolutamente non vuoi che si sappia, nè oggi, né mai, non lo dire. Per causa di vicende disgraziate, di circostanze impreviste, l’amica può diventarti nemica, può trovare il suo interesse danneggiando la tua fama o quella di qualche altra persona, può essere pervertita, forzata a parlare a tradirti, o credersi svincolata dal suo giuramento per mutate condizioni.

Zerlina era intima di Dorotea, che abbiamo veduta non poco vana e leggera. Trovandola un giorno più triste del solito, le si pose al fianco, dichiarandosi a lei tenera amica, allo scopo di interrogarla, per conoscere la causa della sua afflizione. Dorotea in prima taceva, poi accusava, per non commettere imprudenze, un mal essere di salute, la soverchia elettricità dell’atmosfera, una lettura troppo patetica fatta e simili. Ma la cattiva Zerlina, non sentendo appagata la sua curiosità e sospettando invece ch’ella avesse motivo di lagnarsi d’una sua cognata, colla quale conviveva, e che spesso rimproveravala per la sua vanità, incominciò a dirle, che avrebbe avuto [p. 24 modifica] bisogno d’essere meglio compresa e più amata in famiglia; che sebbene non parlasse, pure tutti s’accorgevano ch’ella era una vittima di sua cognata, la quale da lei pretendeva cose esagerate e superiori al poter suo, e censurandola fuor di casa, le faceva un cattivo nome. Dorotea, sentendosi a stuzzicare il dente, che pur troppo le dolea, si fece rossa come una ciliegia e poi si sfogò a dire il peggio che poteva di colei, che pel suo bene, forse con un po’ di severità, l’ammoniva, Zerlina cercò alla meglio di consolarla e poi appena si trovò con altre persone, che conoscevano Dorotea, non potè trattenersi dal ripetere tutto ciò che questa le aveva detto, in confidenza, dell cognata, dipingendo, con vivaci tinte, l'infelicità della prima e l’insopportabile cattiveria della seconda; per cui ambedue divennero la favola del paese. Non paga di ciò Zerlina, un giorno trovandosi da sola con la suddetta cognata, commise la grave imprudenza di compiangere Dorotea, di augurarle un avvenire più lieto ed infine di ripetere tutto ciò che Dorotea stessa aveva detto contro di lei. — È facile immaginare come questo pettegolezzo abbia avuto fine. Le due cognate, se prima a mala pena si tolleravano, non poterono da quel giorno in poi più parlarsi, senza dirsi cose dure, e la convivenza riuscendo loro, in tal guisa, insopportabile, dovettero separarsi, per trovare un po’ di calma.

Non sarebbe stato meglio se Zerlina avesse [p. 25 modifica] saputo tacere o si fosse incaricata della parte di conciliatrice, rilevando le buone qualità di entrambe e ripetendo all’una sola il bene detto dall’altra, invece del male?

Plutarco narra che il filosofo Zenone, alfine di non essere forzato dal dolore dei tormenti a palesare alcun segreto, si recise la lingua coi denti e sputolla nel volto al tiranno.

Oh! quanto meglio sarebbe che certe fanciulle pur si mordessero nella lingua, prima di compromettere la pace delle famiglie colle loro imprudenti ed inopportune ciarle.