Fra la favola e il romanzo/Zaccaria/II
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II.
Nell’androne d’un palazzo situato dove meno angusta e più centrale è la via Papale, sta accosciato e tutto preso dai brividi d’un freddo convulso un essere che è, e non pare umano. È un piccolo fanciullo di circa dodici anni. Una lunga e lacera camicia di grossissima tela veste sola le sue membra, e si schermisce dal rigor della stagione avviluppandosi in un vecchio sacco. Quei cenci però lasciano allo scoperto le sue gambe e le braccia, i cui ossi soli informano la lurida pelle; la testa è grossa, il volto di persona ebete, la cute ha un color terreo, il ventre è gonfio e prominente. Egli trema e geme. Varie persone vanno e vengono per le loro visite o per le loro faccende, quale con premura ansiosa, quale colla gioja in fronte, ma nessuno bada al povero tapino che non ha forza d’implorare soccorso.
Una giovine dama di bell’aspetto, dolce ed onesto, dignitosa nello andare, elegante nelle vesti, tutte di raso nero, col suo libro di preghiere nelle mani, torna dalla chiesa alla casa; e, traversando l’androne, s’accorge di quel meschino che sta lì mezzo morente. E mossa a subita pietà, con accento straniero gli dice: — Che cos’hai, poveretto, che ti lamenti?
Il fanciullo non risponde. La signora toglie una moneta, gliela porge ma neppur si muove: tanto è debole e sofferente. Allora la dama chinasi verso di lui, prende la sua mano e — come stai, figliuolo? che hai? — gli ripete in tono amorevole. La mano è ghiaccia, ed il fanciullo con voce semispenta le risponde: — ho fame.
— Giovanni, Virginia, scendete, scendete gridò la signora affacciandosi al cortile. I due servi alla voce concitata della padrona discesero all’istante, ed ella stessa aiutando il fanciullo ad alzarsi: presto, presto, diceva, portate questo poveretto su in casa, bisogna scaldarlo, ristorarlo, vedete come è rifinito! — Il fanciullo lasciò portarsi su per le scale: da sè, anche avesse voluto, non avrebbe potuto. L’ottima dama lo fe’ entrare nella cucina dove ardeva un buon fuoco, gli porse con le proprie mani una scodella di brodo, del pane, della carne ed un bicchiere di generoso vino.
Come quel meschino veniva rifocillandosi, il calore tornava, le membra riprendevano vigore, e potè tenersi sui piedi mostrando così quanto fosse gracile e consunto. Sembrava uno scheletro che sorreggesse una grossa testa ed un ventre mostruoso.
— Ti senti meglio ora, non è vero? — dissegli la padrona guardandolo con grande compassione.
Egli la fissò stupidamente ed accennò di sì senza parlare.
— Come ti chiami?
Invece di rispondere il ragazzo chinò il capo.
— Come ti chiami? Con chi stai?
Nessuna risposta.
Vuoi mangiare domani un’altra buona minestra? — A quella domanda, con voce rauca subitamente rispose sì. Allora la signora scorgendo ch’egli tutto vergognoso voleva andarsene, posegli in mano qualche soldo, lo fece bene avvolgere nel sacco, e lo rimandò dicendogli: — torna domani a quest’ora, e troverai da ristorarti.