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e vengono per le loro visite o per le loro faccende, quale con premura ansiosa, quale colla gioja in fronte, ma nessuno bada al povero tapino che non ha forza d’implorare soccorso.

Una giovine dama di bell’aspetto, dolce ed onesto, dignitosa nello andare, elegante nelle vesti, tutte di raso nero, col suo libro di preghiere nelle mani, torna dalla chiesa alla casa; e, traversando l’androne, s’accorge di quel meschino che sta lì mezzo morente. E mossa a subita pietà, con accento straniero gli dice: — Che cos’hai, poveretto, che ti lamenti?

Il fanciullo non risponde. La signora toglie una moneta, gliela porge ma neppur si muove: tanto è debole e sofferente. Allora la dama chinasi verso di lui, prende la sua mano e — come stai, figliuolo? che hai? — gli ripete in tono amorevole. La mano è ghiaccia, ed il fanciullo con voce semispenta le risponde: — ho fame.

— Giovanni, Virginia, scendete, scendete gridò la signora affacciandosi al cortile. I due servi alla voce concitata della padrona discesero all’istante, ed ella stessa aiutando il fanciullo ad alzarsi: presto, presto, diceva, portate questo poveretto su in casa, bisogna scaldarlo, ristorarlo, vedete come è rifinito! — Il fanciullo lasciò portarsi su per le scale: da sè, anche avesse voluto, non avrebbe potuto. L’ottima dama lo fe’ entrare nella cucina dove ardeva un buon fuoco, gli porse con le proprie mani una scodella di brodo, del pane, della carne ed un bicchiere di generoso vino.

Come quel meschino veniva rifocillandosi, il calore tornava, le membra riprendevano vigore, e potè tenersi sui piedi mostrando così quanto fosse gracile e