Fra la favola e il romanzo/Beneficio fatto non va perduto/XI
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XI.
Venne la primavera. La natura risvegliandosi, dopo il sonno invernale, piena di vigore, in brevi giorni gli alberi furono rivestiti di una rigogliosa vegetazione; il sole splendeva benefico, l’aere diveniva mite e pieno di fragranza. Alla cascina le fanciulle aveano ripreso la loro ilarità, l’aspetto di Paolo infondeva speranza; ed anche la Caterina e Maso, sotto le loro vecchie spoglie, aveano aria di rinverdire nuovamente. Tale abbondanza di vita in quanto lo circondava, giunse a consolidare la salute di Maurizio per modo che in breve tornò ad appetire ogni sorta di cibi, e nelle ore più dolci usciva a diporto pe’ campi con tutta la sua corte, com’egli diceva, e sempre più riconfortavasi nell’aspetto de’ suoi angeli, nella compagnia di Paolo, nella devozione de’ fedeli servitori.
Maurizio adunque era risanato; e parve a Paolo giunto il tempo di mandare a compimento il suo disegno, per l’effettuazione del quale erasi fino allora occupato. Propose perciò, a festeggiare la guarigione del suo benefattore, di fare una passeggiata in carrozza. Il Gerli acconsentì; ed un bel mattino in una comoda carrettella a due cavalli presero posto Maurizio, le due figlie e Paolo. Prima di lasciare la cascina, il giovane cogliendo un momento opportuno per essere da solo con la Sofia, così le parlò: — Signorina, mi dica che tutto quanto io sono per fare sarà approvato da lei. — La fanciulla, interdetta alla repentina domanda, risposegli: — Come vuole, signor Paolo, che io approvi ciò che non conosco? — Ma all’istante riprendendosi, ed offrendo la mano al giovine che v’impresse un bacio pieno di amore e di rispetto, soggiunse: — Paolo, se è pensato da voi, non può essere che bene: dunque approvo.
— Grazie, Sofia, grazie — esclamò il giovine nella massima contentezza.
Fu fatto un lungo giro, dopo il quale si entrò in città dalla porta san Marco; e, percorrendo la via Vittorio Emanuele, si girò a sinistra per la via della Tazza. Presso il caffè della borsa un cartello collocato di fresco su d’una porta decorata con molta eleganza, attirava gli sguardi dei passanti e degli uomini di commercio che per solito fanno capannelli in quella via nell’ora dei negozî. Alcuni di essi, ravvisato il Gerli, affrettavansi a fargli di cappello cerimoniosamente. Maurizio che da lunga stagione non era più penetrato in città, rimaneva maravigliato da quella specie di ovazione, quando alzando gli occhi al cartello lesse: — Banco M. Gerli e C.° Non sapendo vincere lo stupore che quella improvvisa vista gli cagionava: — chi è, esclamò, chi è che pensa a far rivivere il mio nome? O è questa una crudele irrisione?
Allora Paolo tutto sommesso e coll’intento di velare la sua nobile azione, prese a dire: — No, mio benefattore, no, padre mio, chè per tale io sento di amarvi, non è un’irrisione codesta; non è una illusione: no, signor Maurizio, è realtà. E sono io, il vostro beneficato, che a mani giunte vi prego di proseguire i vostri beneficî, ed imploro da voi perdono se a vostra insaputa osai aprire il banco sotto il patrocinio del vostro nome venerabile. D’ora innanzi voi siete non già il mio socio, ma il mio direttore, il mio padrone, come già foste per lo passato. A me, sconosciuto nel mio paese, senza parenti, senza amici, sarebbe interminabile la via per acquistare una clientela, un avviamento ne’ negozi della nostra piazza; voi invece, voi, mio benefattore, con la vostra fama intemerata non avete che a mostrarvi per assicurare la mia fortuna. — E qui narrava al Gerli come la sorte lo avesse assistito nel dipartirsi da lui, quali fossero stati i suoi guadagni, e quali or fossero i suoi capitali.
Intanto la carrozza andava lungo l’Ardenza, ed arduo sarebbe il riferire i sentimenti da cui il Gerli e le figlie erano animati alle parole del giovine, le quali chiaro mostravano l’immenso suo affetto, ed il convincimento di ben operare. La carrozza andava. Com’è naturale, per le differenti emozioni niuno badava alla strada percorsa. Maurizio tacitamente stringeva la mano a Paolo, e le fanciulle più con gli sguardi che con le parole rendevangli grazie; e negli occhi della Sofia sembrava che tutta fossesi trasfusa l’anima sua. Ad un tratto la carrozza girò di fianco, passò un cancello, percorse rapidamente un breve spazio, e s’arrestò dinanzi al portichetto dell’antico casino Gerli, dal quale discendevano Maso e Caterina ad incontrare i loro padroni.
— Come! noi qui nuovamente? — esclamò Maurizio, — ma questa non è più la nostra casa!
— Sì, padre mio, — rispose Paolo mettendo piede a terra per ajutare il Gerli a discendere dalla carrozza, sì, essa è di nuovo la vostra casa; ma proprio vostra, rivendicata col vostro denaro. Degnatevi d’entrare e vi farò noto ogni cosa.
Paolo narrò a Maurizio come al suo ritorno in patria fossegli riuscito scoprire che il Doretti partendo da Firenze avea cambiato nome, e s’era rifuggito in Alessandria di Egitto dove speculando con le sostanze altrui, avea ammassato molto denaro. Per mezzo di potenti personaggi di colà, e ajutato dal governo italiano, avea ottenuto con la minaccia del carcere che il Doretti restituisse gran parte degli averi rubati. La quota toccata al Gerli era depositata presso il Ministro dell’interno, ed essa avrebbe servito al pagamento della villetta riacquistata già da Paolo a nome di Maurizio Gerli, se a questo così piacesse. Il giovine pose fine al suo racconto dicendo: ed ora, mio benefattore, concedetemi, ve ne scongiuro, di godere dell’opera mia, vedendovi tornato al vostro antico stato. Il passato sarà un sogno per voi; il futuro non potete ricusarlo, se non per voi, per le vostre dilette figliuole.