Fra la favola e il romanzo/Beneficio fatto non va perduto/VI

Beneficio fatto non va perduto - VI

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VI.



Sono scorsi tre giorni da quello tanto nefasto alla famiglia Gerli. Le lettere di Marsiglia narrano tutte le particolarità del naufragio, quelle di Firenze sempre più confermano il furto e la fuga del Doretti. A Maurizio altra via non resta che dichiarare il proprio fallimento. Aduna piccol numero di amici, e con essi si consiglia. Dopo lungo discutere, l’antico suo socio, ch’è fra questi, così prende a dirgli: — Ascoltami, Maurizio. Tolga Dio ch’io ti suggerisca un ripiego che non sia degno di te: ma questo tuo è un caso eccezionale, e deve essere governato diversamente dagli altri. Tu qui m’hai mostrato una nota di capitali che ti rimangono disponibili per soddisfare a’ tuoi obblighi; e fra questi veggo indicata la tua casa lungo l’Ardenza, nella quale abiti da circa venti anni. A seconda di questo bilancio tutti i tuoi debiti sarebbero saldati pagando ai creditori un 75 per cento. Ma questo non è fallire, è liquidare con un modesto ribasso che ciascun creditore ti concederà, vista la immeritata sventura che così impensatamente ti ha colpito. Vuoi tu un consiglio? Togli dalla nota la tua [p. 35 modifica]casa: essa non era un capitale in commercio, è bene tuo particolare. Giustifica in qualche modo la vendita fattane ad un amico, e, se vuoi, anche a me; che se ciò ti sembra di non facile riuscita, lascia che io figuri tuo creditore per una certa somma, e salva almeno qualche cosa per la tua famiglia, per te, per tentare nuove speculazioni e rimetterti in essere. I creditori non avranno a patire che una ulteriore per dita di un 12 o un 15 per cento, e l’avranno scampata col sacco pieno. Tu sai che i fallimenti ora si dichiarano soltanto quando il debitore, fatto bottino, esibisce un quindici o un venti per cento, e la derrata non è sempre così pingue.

Mentre l’amico siffattamente parlava, Maurizio guardavalo fiso nel volto e tentennava il capo. Ed allorchè quegli, dando fine al suo discorso, gli disse: — dunque approvi, non è vero, Maurizio? Accetti la mia proposta? — egli alzandasi con dignità, severamente rispose: — No, ricuso. E quando t’ho dato io il diritto di confondermi con quegli esseri abbietti che preferiscono la perdita dell’onore a quella degli averi? No; io non fui, non sono, e non sarò mai nel novero di costoro. I miei creditori affidarono a me le loro merci non già perchè mi sapevano ricco, ma perchè la mia riputazione era quella di un uomo onesto e probo. Non sarà mai che io inganni la loro fiducia. Che colpa hanno essi se la sorte mi fu contraria? Tutto quanto m’appartiene è loro proprietà. Non sia giammai che io m’avvilisca a indegni sotterfugi, a dolose operazioni, proprie solo degli uomini che non hanno nè fede nè onore. Vivrò nella miseria; ma con la fronte pura da qualunque macchia, e con la coscienza scevra da ogni rimorso potrò [p. 36 modifica]affrontare di nuovo e di buon animo il lavoro e la fatica. Il pane sudato mi sarà soave e proficuo assai più del pane rubato.

Maurizio si tacque. L’amico volle scusarsi; gli altri, chi ammirò i nobili sentimenti di lui, chi in cuor suo ne rise chiamandolo dabben’uomo, chi volle ancora tornare sull’argomento. Ma Maurizio restò immobile, e a capo di pochi giorni il banco Gerli più non esisteva. La villetta, la casa, le mobilie di lusso erano state vendute all’incanto; tutti i conti erano stati saldati; i creditori avevano ottenuto un 80 per cento.... e Maurizio non possedeva più nulla.