Firenze sotterranea/Capitolo VI

Capitolo VI

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Capitolo V Capitolo VII

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VI


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Questo è il nostro amore per il popolo! Ci è una classe miserrima, malata, senza beneficio d’istruzione e di educazione. Ci pensate voi? No, perchè vi pare argomento troppo spicciolo.

Nel Ghetto di Firenze avete comportato si raccogliessero a poco a poco tre o quattrocento furfanti. Molti hanno tocco la galera, quasi tutti la prigione. Si sono veduti uomini e donne uscir dagli ergastoli, rintanarsi là, far proseliti, metter su scuole di borsaiuoli: si sono vedute famiglie buone, incontaminate, cedere al contagio e piangere al primo figliuolo sviato, poi a poco a poco abbandonarsi al delitto. E chi è andato in cerca di queste anime che si perdevano? Nessuno. Chi è entrato là de’ filantropi, che acciuffano croci, e propine, a emendare, correggere, confortare gli sciagurati? [p. 98 modifica]

Nessuno. Si è mai udita alzarsi una voce, che energicamente disvelasse una sì grave iattura, rispetto all’igiene e alla morale?

Eppure in quel Ghetto sono accadute orribili cose: e non si spiega come proprio nell’umbilico della città, abbiate potuto lasciar formarsi un luogo di tante brutture e unirsi tanti malvagi.

Tre o quattrocento bricconi, usciti da luoghi di pena, che han sostenuto tutti gran numero di condanne, stanno accasati a due passi dall’Arcivescovado, dal Duomo, dalle strade più signorili della città.

Il tanfo, il fetore, ogni maniera di sudiciume, stanze, che servono di camere e in un di latrina a dieci e quindici persone, tutto vi si riscontra che può da un momento all’altro mettere in pericolo la pubblica salute.

Uomini, donne, bambini, cani, stanno ammontonati gli uni sugli altri: cani irsuti, coperti di sanie e d’insetti ve n’ha a diecine per que’ corridori fetenti, accoccolati per que’ pavimenti fracidi, per quelle buche mezzo diroccate. Una volta [p. 99 modifica]c’era una vecchiarda, detta la canaia, che in certe ore del giorno accoglieva più di trenta di quelle sozze bestie intorno a sè. La canaia

Tali cose parrebber già quasi sogno in uno dei più biechi e sconci sobborghi di Costantinopoli.

Ventine di ladri entrarono nel Ghetto, o pigliando possesso di qualche bugigattolo abbandonato o per starsene di continuo in brigata con gli amici; amicizie contratte nelle prigioni, da cui portano e ricevono le ambasciate, quando uno di loro finisce di scontare la pena e torna al raddotto.

Anche qui sono stamberghe, nelle quali si trovano quindici, venti luridi pagliericci: per un soldo, due soldi, il pregiudicato, il ladro matri[p. 100 modifica]colato, il manutengolo ci va a dormire. E anche qui dormono tutti insieme: uno accanto all’altro, uomini e donne, e si spogliano, si vestono gli uni al cospetto degli altri.

Nella quiete in cui mi leggete immaginate gli orizzonti, le varietà e scabrosità di paesaggi, che si debbono scuoprire!

Non basta: i furfanti hanno nel Ghetto i loro luoghi di delizie: le loro stazioni di Capua: laide e turpissime fornici, da non capire come il vizio possa avere illecebre in condizioni sì disgustevoli!... Entrai una notte in uno di questi braghi dove diguazza l’umana viltà. Figuratevi due o tre soffitte, una che immette nell’altra, con nere vòlte tanto basse, da potervi stare appena in piedi un uomo di statura più che mezzana nel punto ove sono più alte. Dai lati piegano sempre più verso il pavimento, coperto di sozzure: è mestieri andare curvati. Vi erano tre animali, coperti di stracci immondi, animali, che scorgemmo, dopo attento esame, esser donne.

Vicino ad esse, accoccolati su una rozza panca, tre uomini, dal ceffo feroce: i loro amanti! Uno, che ha commesso vari omicidi, espulso fin dalla Francia per reati di sangue, e due ladri! L’omicida era lì di contrabbando: in tali ore egli non [p. 101 modifica]può uscire dal suo domicilio oltr’Arno. Furon chiamate due guardie della pattuglia, che lo arrestarono. Sconterà con quattro mesi di prigione il non essere una notte tornato a casa.

Quegli animali, o quelle donne, hanno in tre o quattro un solo vestito.... Se lo mettono un po’ per una! Ciascuna di esse deve recitare una parte. Per ogni nuovo personaggio, che entra in scena, ricevono venticinque centesimi!... Venticinque centesimi, e spesso più di venticinque pugni, colpi di coltello o di bastone, poichè si trova anche chi vuol rubare la triste mercede di quelle donne infami e affamate! Ecco sino a che punto arriva l’essere, che si vuol abbia nella mente e nel sembiante un raggio di luce divina e porti in sè uno spiro immortale! [p. 102 modifica]Ecco quali mostri sono in fondo alli oceani della vita, la cui superficie apparisce così azzurra, e appena increspata, ai leggieri osservatori.

Tutti parlano del Ghetto: quanti lo conoscono bene? Il male vi si è a poco a poco talmente radicato, propagato, che oggi fa rabbrividire: ma non già a chi si rifiuta di studiarlo, a chi passeggia nelle sale fastose, e tien per uomo fantastico, che racconti sue visioni, uno scrittore sincero, affezionato alla città, che potrebbe esser detta la gemma d’Italia.

Il Ghetto fu sempre luogo d’infamia. Infamia per tutti, oltraggio ad ogni idea d’eguaglianza e di giustizia sociale, sin da quando servì come di carcere, ad una razza intelligente, operosa: sin da quando gli uomini, come dimentichi della loro origine, compivano la più scellerata delle soperchierie: quella di segregare quasi dal consorzio umano una gente, che avea la più splendida qualità: era gelosa della sua fede, de’ suoi tabernacoli, delle tombe de’ suoi cari, delle sue tradizioni, di ricordi gloriosi per cui si soffriva.

Poi il sacrilegio, la iniqua diseguaglianza, che deturpava la terra, cessò, e tutte le genti furono riconciliate nel sublime amplesso della ragione e della libertà. [p. 103 modifica]

Allora il Ghetto smise di esser prigione, diventò sentina, fogna dove scorse ogni fiumana di vizio. Sulle prime, i più schivando il dimorare tra le pareti, dove si era consumata una sì lunga e penosa ingiustizia, fu riparo alla miseria: e non poche famiglie, buone, intemerate, comecchè povere, vi rimangon tuttora.

Poi vi corsero da ogni parte i bricconi e vi racconterò di quale stoffa. Di repente la Polizia tutte le volte che si commetteva un delitto cominciò a far sorprese nel vastissimo casamento. E vi trovava quel che cercava. Ma i manigoldi provvidero a far in guisa da stornar le sorprese. Abitando ne’ sotterranei di quelli stabili fecero buche nelle pareti: e di cantina in cantina per quei fori giunsero a poter correre sotterra tanto tratto da procurarsi uscite dalle case di piazza dei Marroni, di piazza della Fraternità e via della Nave. E si noti che in quelle cantine non è luce, l’inseguimento difficile, pericoloso.

Il Ghetto si prestava mirabilmente con i suoi cupi androni, che si diramano per ogni verso, con le sue torte scalette, i corridoi, che s’intrecciano, e si scompartono in molteplici branche, con fughe di corti, di arcate, di terrazze, con le facili comunicazioni di casaccia in casaccia, di tetto in [p. 104 modifica]tetto alle gesta di uomini per mestiere flagiziosi. La Polizia, delusa in certi inseguimenti, fece murare parecchie uscite, ma anch’oggi le accade di vedersi sgusciar di mano un arrestato tra quelli andirivieni, quell’intricato seguito di stanzacce e di soffitte aperte a tutti.

La malizia degli abitanti è tale, che sfida ogni destrezza in chi voglia coglierli. La Polizia, se non piglia ogni precauzione è subito riconosciuta, al suo avvicinarsi, come nell’altro quartiere di cui vi ho parlato. Le donnaccole, scorgendo gli agenti in distanza, si mettono a urlare: Bell’e cotti! — Vuol dire che una o più guardie stanno per entrare nel Ghetto. Io avea udito più volte, passando, questo grido, e mi era sembrato curioso, non sapendo di che cottura le donne parlassero.

Per tutto ci sono specie di pozzi, forami ne’muri, sottoscala, e, tra le pietre, fenditure ove si nascondono chiavi false, grimaldelli, oggetti rubati. Più volte la Polizia ha fatto murare quei ricettacoli e sempre si trovano riaperti.

Anche qui i ladri, i reduci dal domicilio coatto, i pregiudicati, sono sostenuti da stormi di manutengoli. E operano con un’abilità senza pari.

Non è molto fu commesso un furto di gioie. Come ritrovare una perla, sia pur grossa, nel [p. 105 modifica]Ghetto? E tuttavia un sagacissimo agente vi riuscì. Dopo tante indagini, gli venne un’idea. Andò di sorpresa a trovar varie donne; snodando la treccia di una vecchia, vi scuoprì alcune perle.

Un giorno era stato rubato un portamonete. Fu raccolto dalla Polizia in una cortaccia del Ghetto. Ma dov’era il biglietto di cinquecento lire, che conteneva? Cerca, ricerca, interrogati, frugati i pregiudicati, a diecine, si trovò finalmente il biglietto ripiegato... sotto la lingua di uno di essi.

Ma venite con me proprio nell’interno del Ghetto. Sono sicuro di eccitare il vostro disgusto e il vostro stupore.