Capitolo XXII

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XXI XXIII
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CAPITOLO XXII.

Della bugia appropriata alla topinara.

Bugia, ch’è contrario vizio della verità, secondo che dice Aristotile, si è a celare la verità con alcuno colore di parole, per animo d’ingannare altrui per alcun modo. E sono bugie di molte [p. 70 modifica]ragioni: le bugie che si dicono per diletto, siccome le favole e le novelle: altre sono per ischifare alcuno suo danno senza danno altrui; e queste bugie non sono niente per lo Decreto; ma pure egli è male a dirle a chi le può schifare: poi sono bugie per falsità, che si dicono per ingannare altrui: appresso sono bugie per non attenere quello che altri promette ad altrui: altre sono che si dicono per usanza. E questi tre modi di bugie sono vietati per lo Decreto. Altre bugie sono quelle che s’usano con sacramento, spergiurandosi; e questo non è altro che rinnegare la fede d’Iddio. E puossi appropiare il vizio della bugia alla talpa, la quale talpa non ha occhi, e sta sempre sotterra; e s’ella appare all’aria, incontanente muore. In simile modo fa la bugia, la quale si conviene coprire di qualche colore di parole; e quando il lume della verità la vede, incontanente muore come fa la talpa. Salomone dice della bugia: Di tre cose teme il cuor mio, e della quarta è spaurita la mia faccia; del movimento della città, del ragionamento del popolo, della bugiarda accusa: sopra tutte l’altre cose la bocca che mènte si uccide l’anima. Ancora dice: È da amare innanzi il ladro, che lo continuo bugiardo. Santo Agostino dice: Per le bugie degli bugiardi appena la verità è creduta. Plato dice: Chi dice ciò che non sa, di ciò che saprà sarà tenuto sospetto. Socrate dice: La verità non sarà creduta al continuo bugiardo. Delle bugie si legge nelle Storie Romane d’una ch’avea nome Lemma, figliuola dello imperadore [p. 71 modifica]Anastagio, la quale s’innamorò d’uno suo donzello ch’avea nome Amantino; e ’l donzello non vogliendo acconsentirle per paura dello Imperadore, costei si pensò di farlo morire. Sicchè passando un dì dinanzi all’uscio della figliuola del re, dov’ella giacea, ella cominciò a gridare: Accorrete, accorrete, chè Amantino m’ha votuta sforzare. E incontanente fu preso il donzello, e menato dinanzi allo Imperadore, e fu domandato se era vero quello che dicea la donzella; ed egli rispose di no. E lo Imperadore si mandò per la figliuola, e domandò come era stato il fatto, ed ella non rispose niente. Ancora la domandò, ed ella niente rispondè. Ed essendo domandata più volte, e niente rispondendo, disse un barone con modo di beffa: ell’aver forse perduta la lingua. E lo Imperadore si maravigliò forte di ciò, e felle cercare in bocca, e trovossi avere perduta la lingua. E lo Imperadore, veggendo questo miracolo, si fe lasciare il donzello; e allora tornò la lingua di subito alla donzella, ed ella manifestò la verità in presenza d’ogni uomo. Poi riconoscendosi peccatrice; e del pericolo corso e del beneficio ricevuto sentendosi a Dio molto tenuta, entrò in un munistero; e qui finì la sua vita al servigio d’Iddio.