Fior di Sardegna/Capitolo XXXIV

Capitolo XXXIV

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Capitolo XXXIII Capitolo XXXV
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XXXIV.


... Vinse l’egoismo. Due mesi prima, avrebbe vinto la generosità: due mesi dopo, il pensiero del lungo inganno sofferto, della finzione quasi ignobile di Lara, di cui Marco indovinava la cagione, fece pendere la bilancia dal lato cattivo. Dopo lunghe ore di lotta e di spasimo, Marco decise di rendere a Massimo pan per focaccia. Riversando tutta la colpa contro il giovine, del cui ardire temerario si meravigliava altamente, Marco provava grande pietà per Lara. E decise salvarla: con lo strapparle dal cuore questo amore fatale che doveva finir male ad ogni costo, col farsi amare da lei, si vendicava di Massimo e rendeva felice Lara e ritrovava anch’egli la felicità tante volte perduta.

Non pensò neppure di assicurarsi coi suoi propri occhi se il pastore gli aveva detto la verità: agì subito, a sangue caldo, il volto ancora pallido di sorpresa o gli occhi stravolti, dopo alcune ore che gli parvero secoli. [p. 165 modifica]l’imbrunire si recò da Lara, che lo accolse col suo solito fare cortese ma freddo.

— Andiamo in giardino, — disse Marco, — ho da parlarti....

Uscirono: donna Margherita si affacciò alla finestra per non perderli di vista, ma ciò non impedì che Marco offrisse il braccio a Lara e la conducesse sotto gli alberi.

Era un bizzarro imbrunire: dal cielo velato piombava giù un caldo asfissiante, grave, umido: non un soffio di brezza, non una delle splendide tinte dei crepuscoli estivi. Nell’orto non si moveva una fronda, non cinguettava un uccello: i cactus bianchi, i gigli bianchi, le rose bianche olezzavano con un profumo fortissimo che inebriava; e su, sulle creste dei monti, vaghe strisce di nebbia tremavano con un triste sorriso grigiastro. — Quando furono tanto lontani da non essere intesi, Marco si fermò e guardò fisso la fanciulla, più triste ancora e fredda del solito, pallida sotto quel tetro crepuscolo di piombo. Solo allora essa si avvide del turbamento di Marco.

— Che hai? — gli chiese. — Perchè sei così pallido?

— Nulla, Lara!... E che dovrei avere quando tu ti pigli il più crudele gioco di me? Lara, mi pare che sia tempo di finirla!...

— E sempre sospetti! Che vuoi dire? Non ti comprendo....

— Andiamo avanti, e ascoltami. — Camminarono avanti, ma si fermarono vicini al castello. — Non mi comprendi dunque, Lara? Chiedi allora a questo cancello ciò che io voglio dire...

Lara tremò, si vide perduta. Marco sapeva tutto! Tuttavia cercò farsi coraggio ed esclamò con un sorriso forzato: — No, ne capisco più poco! Su, signor cancello; risponda lei! Non risponde!...

S’inchinò al cancello, ma, buon per lei, esso restò muto. A Marco fece male questo scherzo: i suoi nervi orribilmente tesi vibrarono come sotto una scossa elettrica e il suo volto divenne livido.

Lasciò il braccio di Lara, e disse ruvidamente: — Giù la maschera, Lara, giù! Il cancello non può rispondere, ma ti risponderò io per esso. Ieri notte, qui, proprio qui, [p. 166 modifica]tu, Lara Mannu, hai parlato d’amore con Massimo Massari!...

— Taci! — gridò Lara con terrore e spasimo. — Taci, per pietà!

Si appoggiò al cancello, tremando, e Marco vide i suoi occhi bagnarsi di lagrime. Quelle lagrime finirono col disarmarlo. Si guardò attorno, e visto che nessuno poteva vederli cercò di abbracciare la fidanzata per viemeglio confortarla del dolore che lui stesso le aveva cagionato ma Lara lo respinse dicendo!

— Lasciami! Come puoi abbracciarmi, dopo tutto? — Non cercò di negare, non potè: aveva finto abbastanza e si trovava orribilmente stanca e nauseata da quella commedia superiore alle sue forze. D’altronde, a che pro? Marco sapeva tutto: come lo sapeva? Glielo chiese, e Ferragna rispose con una menzogna. Ora, finita la parte di Lara, cominciava la sua.

— Me lo disse la stessa sorella di Massimo, Michela stamattina, con lo scopo evidente di farmiti disprezzare e abbandonare. Mi disse tutto... mi lasciò comprendere che Massimo ti amoreggia solo per vendetta, chè ti odia e ti disprezza, e non attende che il momento opportuno per svelare tutto al pubblico, e mostrare le tue lettere e deriderti!...

A misura che Marco parlava, Lara provava gli stessi sentimenti da lui provati la mattina nell’ascoltare il pastore: le lagrime le si seccarono negli occhi, e nelle sue vene il sangue dei Mannu si risvegliò, ardente d’odio e assetato di vendetta. — I vili! — esclamò. — I vili! I vili! I vili!...

Non sapeva dir altro. Marco gioiva per la riuscita, ma sul più bello Lara gli disse: — E tu perchè non te ne vai? Che fai lì? Vattene dunque e lasciami sola, chè saprò da me sola ben vendicarmi. Vattene, e disprezzami dunque. Me lo merito...

— Pazzarella! — rispose lui sorridendo. — Io non ti disprezzo. Ti amo sempre, più che mai... Che parli di vendetta? Che puoi fare? Non sai dunque che se tuo padre venisse a conoscere...

— E’ vero!... — esclamò Lara con un sussulto, chinando il capo. Persino il conforto della vendetta le era tolto. Il pianto tornò ai suoi occhi: cercò dubitare della [p. 167 modifica]verità, delle parole di Ferragna, ma nol potè. Poteva forse dubitare che il cielo in quella sera era annuvolato, che la nebbia velava le cime dei monti?

No! Tutto ciò che Ferragna aveva detto, era vero: le memorie dell’odio avito, delle storie e delle vendette degli avi suoi con quelli di Massimo tornarono al suo pensiero: cento anni prima un Mannu aveva amoreggiato e tradito una Massari; cento anni dopo un Massari cercava vendicare quest’onta su una Mannu. Non v’era in ciò nulla di straordinario: la verità splendeva come un lampo livido e cruento davanti agli occhi di Lara.

La rabbia, il dolore, la delusione, l’odio le dilaniavano l’anima: nascose il volto fra le mani e si mise a piangere dirottamente.

Marco ne provò tal sconforto, che fu sul punto di ritirare la sua storiella; e forse l’avrebbe fatto se ad un tratto Lara non gli avesse detto con uno slancio di passione:

— Ora che odio quel vile, amo te, te solo! Fra due mesi, fra uno, quando tu vorrai sarò tua! — Marco rispose:

— Grazie, Lara! — ma non cercò più di abbracciarla, nè nel suo sguardo brillò quella gioia che avrebbe dovuto sentire nel cuore...

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Ecco perchè Lara non tornò più al cancello all’ora del convegno. Da quel giorno cambiò completamente riguardo al contegno da tenere con Marco. Mai fidanzata si mostrò più lieta, allegra e appassionata di lei; ma a Marco questa gioia faceva male, gli sembrava febbrile, fittizia. Ogni giorno osservava che la fanciulla diventava più magra e pallida, che i suoi occhi s’infossavano, che una ruga invecchiava il suo volto e che le occhiaie livide, quasi nere, le attorniavano gli occhi fulgenti di febbre e di dolore.

Qual dramma, qual triste dramma accadeva entro quell’anima? Marco, convinto che Lara odiava Massimo, non lo era del tutto circa il novello amore di lei, nato dall’odio, sotto un cielo di piombo e fra le lagrime, e, ahimè! nelle sue lunghe notti insonni si chiedeva se aveva fatto bene o male a mentire così, a mentire vilmente per la prima volta in sua vita. Spesso il rimorso batteva una nota [p. 168 modifica]nella chitarra scordata della sua mente, ma l’amore, pronto a coprire con le sue quella triste nota, non lasciavala arrivare sin al cuore. Marco pensava che, una volta sua, Lara avrebbe tutto obliato a furia di baci e di cure e affrettava coi voti il giorno desiato che si avvicinava. Le nozze erano fissate per gli ultimi di settembre. Lara preparava il corredo, preparava le mille cose necessarie per il novello stato della sua vita, ma intanto la febbre le rodeva il cervello, il dolore le consumava il sangue e l’esistenza. Per tre settimane non si avvide di nulla, non lesse nè cercò di leggere nel fondo tenebroso della sua anima. Credeva di amare il cugino e di odiare Massimo, si credeva forte, sana, felice all’idea di vendicarsi presto e in qualche modo diventando moglie di Ferragna. Che voluttà passare un giorno daccanto a Massimo, splendidamente vestita, bella nei veli da sposa, il volto raggiante felicità e vendetta, e schiacciarlo con uno sguardo di disprezzo, e dirgli con gli occhi: T’odio! non t’ho mai amato!... — Ma un giorno, in un momento di solitudine, in uno di quegli istanti psicologici difficili a spiegarsi, Lara scese in fondo alla sua anima e si accorse che moriva, che il suo corpo andava consumandosi, che tutta la sua energia era uno strana stampella che la sosteneva, ma che l’avrebbe ben tosto abbandonata, sola, distrutta, stesa sulla polvere dei suoi sogni perduti; delle illusioni svanite giorno per giorno nel cielo della sua fanciullezza. Si accorse che non amava Marco, che non poteva giammai amarlo, nè diventar sua, ma siccome odiava ancora Massimo, pensò ad un altro genere di vendetta. Abbandonarsi al suo destino, morire e lasciare al giovine il rimorso di averla uccisa. L’idea della morte si radicò talmente nel suo pensiero che finì persino col precisarne il tempo: agli ultimi di settembre, in una tiepida e gialla giornata di autunno, invece di andare a nozze con Marco, ella doveva morire. Il sogno delle notti d’inverno tornava alla sua povera anima dilaniata, dandole una calma e un ultimo sorriso da sepolcro. Un giorno Lara non potè levarsi da letto: non era malattia la sua, ma una stanchezza voluttuosa, invincibile, che la costringeva a restare immobile, immersa in un torpore vago, infinito. Fu un giorno di gioia per Lara. Dunque la morte arrivava [p. 169 modifica]davvero? L’indomani si levò con uno sforzo supremo; e la sera Massimo ricevè per la posta una lettera di Lara che lo pregava di recarsi in quella notte al cancello. Non si vedevano più da circa un mese.