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Marco lo credè ma lo fece giurare di non dire ad altri quel segreto, se davvero voleva mostrarsegli grato. Dal canto suo s’impegnò formalmente di non pronunziar il suo nome.

Il pastore giurò e se ne andò contento di essersi in qualche maniera sdebitato, senza accorgersi che aveva spezzato il cuore del suo benefattore tre anni prima che ciò dovesse necessariamente accadere, lasciandolo immerso nella lotta spaventosa dei suoi sentimenti. Triste, terribile lotta! Una di quelle lotte che spezzano l’anima, come i pugni di ferro la fronte, che insensibilmente sfiorano le chiome, sotto cui fremono e imbiancano la radice di queste, che bruciano gli occhi col pianto secco della disperazione, pianto senza lagrime, senza singulti, senza spasimo, che si indura sul cuore e vi rimane sopra schiacciandolo come una pietra. Non tenteremo di descrivere questa lotta, essendoci impossibile. Oh, la penna, la penna di Victor Hugo per un’ora sola, per descrivere queste lotte interne, queste tempeste in un cranio! Senza di essa chi mai potrà descriverle? Non la mia povera penna, di certo...


XXXIV.


... Vinse l’egoismo. Due mesi prima, avrebbe vinto la generosità: due mesi dopo, il pensiero del lungo inganno sofferto, della finzione quasi ignobile di Lara, di cui Marco indovinava la cagione, fece pendere la bilancia dal lato cattivo. Dopo lunghe ore di lotta e di spasimo, Marco decise di rendere a Massimo pan per focaccia. Riversando tutta la colpa contro il giovine, del cui ardire temerario si meravigliava altamente, Marco provava grande pietà per Lara. E decise salvarla: con lo strapparle dal cuore questo amore fatale che doveva finir male ad ogni costo, col farsi amare da lei, si vendicava di Massimo e rendeva felice Lara e ritrovava anch’egli la felicità tante volte perduta.

Non pensò neppure di assicurarsi coi suoi propri occhi se il pastore gli aveva detto la verità: agì subito, a sangue caldo, il volto ancora pallido di sorpresa o gli occhi stravolti, dopo alcune ore che gli parvero secoli.