Fior di Sardegna/Capitolo XVIII

Capitolo XVIII

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XVIII.


Dopo quella famosa notte don Salvatore non mosse più alcun rimprovero nè alcuna parola amara a Lara, per la buona ragione che non le parlava più. Preso da un disgusto e da un rancore indescrivibile, don Salvatore si diede più che mai alla vita di campagna, ritornando solo la notte a X*** per dormire. Lara lo vedeva soltanto a cena e in quei pochi momenti don Salvatore, burbero, accigliato con tutti, le dimostrava una specie di disprezzo sordo, muto, ma inesorabile.

Lara non si lamentava; non parlava quasi mai davanti a suo padre, e lungo la giornata andava di qua e di là per la casa, trascinando i piedi con una stanchezza da vecchia, sforzandosi a parer calma e indifferente, mentre non aveva pace, e cercava, cercava qualcosa che non poteva trovare. Ciò che accadeva nella sua anima, nessuno riusciva ad indovinarlo; il suo viso pallido non esprimeva nulla, nulla si leggeva ne’ suoi occhi più che mai profondi ed oscuri, velati dalle lunghe ciglia chine: forse neppure lei riusciva a capire ciò che accadeva in fondo al suo cuore, che doveva essere certo qualcosa di assai triste. Una sera, una domestica gettò sbadatamente una secchia di ranno in un angolo del cortile ove cresceva una pianta di giacinti fioriti. Tosto i fiori presero una tinta di piombo e si curvarono per non rialzarsi mai più. Pasqua, visti appassiti quei primi fiori nella pianta che aveva curato per tutto l’inverno, strillò a più non posso contro la serva; Lara, invece, chiesta in aiuto dalla piccina per gridare essa pure alla sbadataggine, alzò le spalle e rispose che anzi restava contenta di non vedere più quei giacinti che le davano ai nervi.

— Ma vieni! ma vieni! vieni a vedere... fanno pietà! — gridò Pasqua trascinando Lara verso i fiori. Lara li guardò a lungo, triste e impenetrabile, poi scosse la testa e sorrise amaramente: trovava i giacinti somiglianti al suo piccolo cuore.

Già! è un antico vezzo dire: — Il mio cuore è appassito! — allorchè ci opprime qualche dolore; però a Lara non era il dolore che le faceva rassomigliare il [p. 78 modifica]cuore a quei fiori seccati innanzi tempo. Il suo non era dolore, ma una specie di nausea, una noia immensa e terribile. Non amava più Nunzio, e su questo punto aveva ragione dicendo: — Il mio cuore è secco! — perchè dal momento che don Salvatore le aveva fatto credere essere stato il giovine a tradire volontariamente il loro segreto, qualcosa come il ranno sui giacinti era caduto sul suo cuore e lo aveva incenerito; ma il pensare: — E che cosa farò domani, e doman l’altro, e fra uno, due, tre anni! — le gravava la fantasia, la rendeva orribilmente triste. Oramai la vita le pareva senza scopo, senza avvenire, sicura di non dover amare mai più altro uomo, e vedeva i suoi giorni correre lenti, eguali, sempre eguali, in quella casa vasta, gelida, desolata. — l’oggi come ieri, l’indomani come l’oggi, sempre, sempre, sino alla morte! Il disprezzo del padre, la compassione che le dimostrava la madre, il ricordo di Mariarosa, che amava ed odiava nel medesimo tempo, ritenendosi tradita da lei e ribellandosi tutt’in uno a quel pensiero, ecco ciò che più le faceva rabbia, che l’umiliava e l’annoiava.

Avrebbe voluto rimaner sempre sola, e quando si trovava sola, specialmente all’ora del crepuscolo o nei giorni di festa, provava una paura strana, una tristezza infinita, mentre i ricordi che si affollavano nella sua solitudine la facevano piangere; avrebbe voluto andare a passeggio, sfoggiar vestiti, farsi amiche tutte le fanciulle di X*** per passare sorridente davanti a Mariarosa e dirle con lo sguardo: — Vile! mi hai tradita, ma ecco che sono felice lo stesso! — e in pari tempo, se usciva qualche volta a passeggio, ritornava stanca, sconfortata, con un bizzarro sorriso di disprezzo per la folla sulle labbra pallide; se vedeva Mariarosa, tremava tutta e non osava guardarla più in faccia, provava un vero e formidabile odio contro tutte le altre ragazze della piccola città, e Mariarosa imperava sempre sul suo cuore, grande, bella, allegra, sorridente.

Ogni giorno che passava, accresceva nel cuore di Lara l’amicizia e l’affetto per Mariarosa: nelle lunghe veglie tristissime Lara non pensava più che a lei, ne sentiva il riso argentino, il chiacchierìo allegro e spensierato, [p. 79 modifica]vedeva l’alta ragazza bionda accarezzarle dolcemente il viso, e dirle tante paroline care che la facevano sorridere e obliare, e allora essa le chiedeva perdono, le esprimeva magnificamente tutto il suo affetto così cresciuto dopo la separazione, le sorrideva e si sentiva felice, — ma il domani, se avveniva di veder realmente l’antica amica. Lara le voltava scortesemente le spalle, facendole capire che la disprezzava al massimo grado, salvo poi a pentirsi di questa scortesia appena non vedeva più Mariarosa. Era infine una specie di fascino che si interrompeva all’apparire dell’affascinatrice. Dal canto suo Mariarosa, vista la strana maniera di procedere di Lara, non fece alcun passo verso di lei, non andò più a visitarla, ma, colta l’occasione, chiese un giorno a don Salvatore cosa significava il voltafaccia della figlia. Figuratevi ciò che don Salvatore le rispose! La chiamò nientemeno che «corruttrice» di Lara e la minacciò di accusarla al padre se per caso le venisse l’idea di proseguire ad aiutare Nunzio e l’amica nella loro corrispondenza segreta ormai rotta per sempre. Fu un colpo di fulmine per Mariarosa. Comprese tutto; provò qualcosa come l’odio per l’orgoglioso cavaliere e si propose di aiutare più di prima Nunzio e Lara. Però da due o tre mesi Nunzio non aveva più indirizzato a Mariarosa le lettere per Lara; dunque i due amanti avevano trovato altro modo di corrispondersi, se non avevano del tutto rotto la loro relazione; in tal caso l’opera di Mariarosa tornava inutile, e lei se ne desolava, allorchè le arrivò una lettera del giovine per Lara.

Come fare per consegnargliela? Impossibile recarsi da Lara. Darla poi in mano di altri per fargliela avere, Mariarosa non ci pensava neppure. Mentre cominciava a disperarsi, udì il padre dire che doveva recarsi per affari nello studio dell’avvocato Ferragna, e si ricordò che l’orto o giardino dei Mannu stava vicinissimo alle finestre di quello studio. Pregò vivamente il padre di condurla con lui presso l’avvocato, e siccome esso la guardò meravigliato, gli spiegò come qualmente avesse visto dall’orto di don Salvatore una stupenda cortina fatta al crochet nella finestra dello studio suddetto, e come [p. 80 modifica]desiderava vederla da vicino per eseguirla. Il padre rispose:

— Ma che! Non si va così in casa di un avvocato a studiare le cortine! E’ troppa libertà... Lui se ne offenderà!

— Oh, oh! mai più! Siamo buoni amici! — E tanto fece e disse, che il padre la condusse seco, e mentre egli parlava de’ suoi affari con Ferragna, Mariarosa «studiava» le cortine, in fondo allo studio. In realtà non riuscì mai ad eseguirle, ma nello stesso giorno, mentre Lara passeggiava nell’orto, triste e taciturna al solito, vide caderle vicino un piccolo sasso a cui stava attaccata una lettera. Si guardò attorno, ma non vide nessuno. Raccolse il sasso e aprì tremando la lettera. Era di Nunzio. Perchè le scriveva dal momento che lei gli aveva fatto sapere che tutto era finito fra loro?...

Era una lunga lettera ardente, piena d’amore e di disperazione: Nunzio giurava di non aver mai detto nulla, lo giurava sul suo onore, sulla memoria di sua madre; — le diceva che sarebbe morto senza il suo amore e le assicurava che, lei promettendo di aspettarlo due anni, lui avrebbe preso la laurea e, dopo quel termine, l’avrebbe resa la più felice fra le donne. — Se dopo i due anni egli non raggiungeva quella meta, o prima le avessero riferito che egli la tradiva dirigendo il benchè minimo pensiero ad altra donna, Lara era libera.

Quella lettera era un capolavoro: Lara ne fu talmente colpita, che, dopo averla letta, si scordò interamente di tutto ciò che aveva sofferto; sorrise al cielo d’aprile, sperò, amò di nuovo e le stesso giorno scrisse a Nunzio raccontandogli tutto e promettendogli di attenderlo non due, ma cinque o dieci anni. Però, siccome riusciva pericolosissima la loro corrispondenza, lo scongiurò di non scriverle più. — Tanto più che le lettere non potevano sempre piovere dal cielo, e lei, non fidandosi di nessuno, non poteva sempre recarsi al passeggio per passare davanti alla posta ed impostarvi ella stessa la risposta, come faceva in quel giorno. — Nunzio le ubbidì e non le scrisse più.

Ma questo incidente per Lara non fu che un lampo, nei primi giorni lesse e rilesse la lettera del giovine, [p. 81 modifica]lieta, speranzosa, sorridente come ai bei tempi dei bagni, — ma quando arrivò a saperla a memoria, le sembrò volgare, fredda, forse copiata da qualche romanzo, e a poco a poco la scordò, poi la bruciò, non credè più a ciò che conteneva e si pentì di aver risposto.

Ritornò ai suoi primi rancori contro Nunzio, causa del disprezzo e degli schiaffi sofferti dal padre, della rottura con Mariarosa che Lara adorava sempre, della vita noiosa e triste che conduceva, ecc., ecc. e riprese la sua apatica e finta indifferenza, il sorriso acre, il disgusto della vita.

Ah, sì, davvero, non c’era più speranza! Il suo cuore era seccato come i giacinti del cortile! Così almeno lei la pensava.