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lieta, speranzosa, sorridente come ai bei tempi dei bagni, — ma quando arrivò a saperla a memoria, le sembrò volgare, fredda, forse copiata da qualche romanzo, e a poco a poco la scordò, poi la bruciò, non credè più a ciò che conteneva e si pentì di aver risposto.
Ritornò ai suoi primi rancori contro Nunzio, causa del disprezzo e degli schiaffi sofferti dal padre, della rottura con Mariarosa che Lara adorava sempre, della vita noiosa e triste che conduceva, ecc., ecc. e riprese la sua apatica e finta indifferenza, il sorriso acre, il disgusto della vita.
Ah, sì, davvero, non c’era più speranza! Il suo cuore era seccato come i giacinti del cortile! Così almeno lei la pensava.
XIX.
Una sera di luglio, tre mesi dopo l’avventura della lettera e del sasso, mentre Lara passeggiava al rezzo dei grandi alberi del giardino a braccetto con Pasqua, che descriveva il costume di estate che doveva farsi fare, due uomini parlavano appunto di lei nel vano della finestra dello studio di Ferragna.
Uno era lui stesso, Marco, l’altro un bel giovine biondo, alto, ben vestito, molto elegante e molto bello, dal riso facile e sonoro, la pronunzia leggermente straniera, benchè fossa nativo di X*** e lo sguardo franco, ardente, luminoso.
Era infine Massimino, o Massimo, come egli si firmava e si faceva chiamare per più eleganza, il figlio maggiore di Paolo Massari, che avendo quell’anno, nonostante tutti i cattivi pronostici di don Salvatore, preso la laurea d’avvocato, veniva a pigliar pratica nello studio di Marco Ferragna.
Prima di accettarlo, Marco, per mantenersi sempre in buona armonia con don Salvatore, gli aveva chiesto, a quest’ultimo, se non gli dispiaceva che Massimino Massari pigliasse pratica nel suo studio. — Prima don Salvatore, per sfogare in qualche maniera la sua bile, aveva