Fior di Sardegna/Capitolo XVII
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XVII.
Fu il primo giorno in cui don Salvatore riuscì a scoprire la corrispondenza di Nunzio con Lara. Sei mesi erano trascorsi dal ritorno dei bagni; don Salvatore non dubitava più di nulla e si conservava freddo verso Lara solo per dimostrarle che si ricordava bene di ciò ch’era accaduto «laggiù».
Del resto nessuna spiegazione era occorsa fra padre e figlia; il nome di Nunzio mai pronunziato da essi; evitato persino ogni ricordo dei bagni. — Una mattina don Salvatore trovò in giardino la metà di una busta su cui stava scritto. «Signorina,» poi sotto «...nu Lara» Senza dubbio era diretta a sua figlia. Chi mai poteva scriverle? Sapeva che Lara non riceveva mai lettere e non ne scriveva mai: chi dunque poteva scriverle? Don Salvatore pensò:
— Forse questa busta conteneva una dichiarazione... qualche zerbinotto di cui Lara riderà... Ma perchè non me l’ha mostrata? Già! da qualche tempo Lara non è più la stessa! Obbedisce, ma quasi non mi parla. Pare mi conservi del rancore per l’avventura di quel mascalzone di Logudorese...
Don Salvatore scosse la testa e proseguì a pensare. A un tratto un lampo gli brillò negli occhi; si fermò ed esaminò nuovamente il brano di busta. Quella mattina, benchè avesse deciso di uscire a cavallo, non uscì neppure di casa; ma rimase lunga ora passeggiando a grandi passi concitati sotto gli alberi brulli stridenti al vento freddo di gennaio. Lara lo vedeva dalla finestra e senza sapersene dire il perchè, provava uno stringimento di cuore, un presentimento vago e pauroso. Nè invano! A pranzo don Salvatore, cupo e taciturno come la mattina, interruppe a un punto il silenzio, esclamando:
— Lara!... — Lara tremò: alzò gli occhi, vide quelli del padre fissi su lei in guisa assai poco benevola e mormorò:
— Che c’è...
— Non sai dunque ciò che si dice a X***?
Lara respirò e disse con curiosità: — No! Cosa dunque?
— Eh nulla! Null’altro che tu fai l’amore con Nunzio M... quello spiantato di studente ch’era ai bagni l’anno scorso! — Lara sussultò; pure, vedendosi osservata dal padre si mantenne calma e alzò le spalle esclamando:
— Che pazzia! Chi può mai dirlo?
— Chi! — proseguì il padre guardandola sempre — tutti, perdio! Pare che siasene vantato lui stesso con un giovine di X*** dicendogli che vi scrivete ecc. ecc. e il giovine di X*** naturalmente si è fatto un dovere di dirlo a tutti...
Lara impallidì; cadeva nel tranello. Se avesse domandato al padre dove trovavasi Nunzio, don Salvatore non avrebbe risposto, perchè non lo sapeva; ma Lara non pensò a ciò. Pensò che Nunzio aveva trasgredito al patto da lei impostole di tener segreto il loro amore, e ciò per un istinto di vanità e di presunzione (perchè certo doveva esser un grande onore per lui l’amore di una fanciulla nobile e ricca), e provò un acuto dolore. Come non tradirsi? Don Salvatore si accorse del suo turbamento e per tutto il resto del pranzo sparlò orribilmente di Nunzio dandogli tutti i più ignobili epiteti che si possano immaginare. Lara certo non proseguì a mangiare; ogni parola del padre le giungeva al cuore come la fredda lama di un pugnale; la testa le si spezzava, e mentre avrebbe voluto difendere Nunzio, provava ella stessa una sorda avversione per lui che aveva tradito il segreto del suo cuore. Naturalmente, appena fu sola, si mise a piangere come una pazza, e poi a scrivere una lettera avvelenata al giovine. Somma imprudenza! Don Salvatore si accorse che scriveva, cosa insolita, e conchiuse fremendo che i suoi dubbi erano realtà. Il cavaliere aveva l’inferno nel cuore e la febbre nel sangue. Orrore e vergogna! Per sei mesi Lara aveva corrisposto a quel miserabile, e lui, don Salvatore, non si era accorto di nulla! Ah, la vile, la pazza, la corrotta sua figlia! Avea ben ragione donna Margherita allorchè diceva che Lara doveva finirla male dopo che non rispettava più la religione! Ed era stato lui, quel mascalzone vigliacco, che l'aveva corrotta a questo punto, che l’aveva perduta.
Miserabile! Miserabile! Don Salvatore in quel punto sentiva di odiare Nunzio quasi fosse membro della famiglia Massari; anzi, se gli avessero proposto di uccidere un uomo senza correre alcun rischio, avrebbe ucciso Nunzio piuttosto che il suo avito nemico Paolo, capo della famiglia Massari. Bisogna dire che nella sua immensa collera Lara occupava il minimo posto; sì, certo, se Nunzio non l’avesse cercata, non l’avesse affascinata, Lara sarebbe rimasta pura, innocente, degna sempre di suo padre e di sua madre, non avrebbe infine commesso l’immane delitto di amarlo, lui, un povero, uno spiantato, un pazzo da legare, un vile, un brigante, un imbroglione, un uomo senza cuore, senza cervello, un mostro... e chi ne ha di più ne aggiunga. — Più di una volta, gli occhi torbidi di don Salvatore si posarono sul fucile appiccato alla parete. A che pensava? Muto, immobile, le braccia incrociate sul petto, il volto pallido e gli occhi splendenti di un fosco bagliore di acqua torbida al riflesso del lampo, in quei momenti don Salvatore rappresentava il vero tipo del sardo che odia, che si lascia dominare da questa primissima passione della sua terra, e, dimentico di ogni pietà, di ogni istinto, anche paterno, medita la vendetta, il sangue che solo potrà lavare l’onta recata al suo onore.
Per lui Lara era disonorata: essa amava un povero, il figlio di un pastore: dunque aveva scordato i suoi doveri, era diventata pazza, non più sua figlia, ma figlia del capriccio, della colpa, del disonore! — Lasciò che Lara finisse la sua lettera e che poi se ne andasse, dopo il permesso a pena strappato da donna Margherita, in casa di Mariarosa.
Allora don Salvatore entrò nella cameretta della fanciulla e cercò le lettere di Nunzio, ma invano. Dopo quasi due ore di ricerche non aveva ancora trovato nulla e stava per abbandonare la speranza di trovar nulla, pentito di non aver sorpreso Lara mentre scriveva e in pari tempo giubilando al pensiero che forse si era ingannato, allorchè si ricordò che una volta da bambino, in quella stessa camera, aveva nascosto una moneta fra il marmo e la tavola del cassettone. — Levò via le chicchere e i giocattoli che ornavano il cassettone, sollevò il marmo e mandò un sordo gemito. L’ultimo barlume di speranza svaniva: le lettere erano là!
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La scena che quella sera si rappresentò in casa Mannu (scena del resto assai comune in Sardegna, e forse anche altrove, nelle case ove ci sieno ragazze che non pensano a farsi monache...) non è facile a descriversi. Tutti gli insulti possibili e immaginabili furono prodigati alla povera Lara, che, essendosi alla fine provata a scusare il suo amore, dicendo: — Tutto questo, perchè è povero! Ma se fosse stato ricco!... — ricevè due schiaffi solenni da don Salvatore, che la stordirono e le fecero battere la testa sul muro in un modo orribile. Quei due schiaffi rimasero impressi nella sua anima, insieme ai ricordi più terribili della sua vita. Una volta Lara, mentre dormiva sotto un albero, fu svegliata da qualche cosa di viscido e schifoso che le passava sul viso: era uno di quegli schifosissimi vermi che escono in primavera di sotterra. Lara mandò un urlo e immediatamente si ricordò dei due schiaffi ricevuti in quella famosa sera. Un’altra volta, ed è l’anno scorso, Lara assistè alla lunga e dolorosa agonia di una sua parente. Ebbene, vorrete crederlo? durante tutta quella terribile ora Lara non fece che pensare intensamente ai due schiaffi del padre!
Fra le altre belle cose, don Salvatore la minacciò di rinchiuderla in una camera, legata, o magari di metterla in una casa di correzione; le disse che non avrebbe più riveduto Mariarosa, a cui prodigò anche una buona parte di vituperi, avendo appreso dalle lettere di Nunzio che lei appunto era l’istrumento della loro corrispondenza, ovvero la mezzana, come don Salvatore diceva senza tanti complimenti; e per aggiungere dolore e vergogna alla disgraziata, le disse che era stata appunto Mariarosa ad informarlo di tutto.
Questo fu il colpo di grazia per Lara. — Nunzio l’aveva tradita, Mariarosa la tradiva, tutti la disprezzavano, l’odiavano, la deridevano... Che le restava dunque? Il vuoto si formava intorno a lei, la nebbia diventava più fosca, più nera e irrespirabile, l’unica stella del suo cielo era scomparsa! Che le restava? Che? Il padre l’odiava al punto di minacciar di ucciderla se continuava nella via della perdizione e del disonore. A furia di sentirselo dire, finì col credere di aver commesso davvero una colpa corrispondendo a Nunzio. Dunque non le restava più nulla! Nè l’amore di lui, nè l’amicizia di Mariarosa, nè l’affetto della famiglia, nè l’onore, nè la speranza, nè la libertà. Gli schiaffi ricevuti le romoreggiavano nel cervello: pareva che le mani di don Salvatore si fossero introdotte nella sua testa e le frugassero, le sconvolgessero il cervello. Non una lagrima le cadde dagli occhi: la sua gola era serrata da un nodo, le mani le tremavano, un lampo di pazzia le traluceva negli occhi. Si ritirò nella sua camera a testa china, trascinando i piedi sul suolo, come un cane frustato, e fu da quella notte che cominciò a dirsi che in verità era stata felice nei sei mesi trascorsi dopo il ritorno dai bagni!...